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La morte nello scorso mese di agosto dell’ultranovantenne Cesare Romiti è stata l’occasione per tutti i grandi giornali della borghesia per celebrare le gesta di questo manager che per lunghi anni ha gestito la grande azienda e multinazionale italiana, diventandone anche Presidente, dopo il ritiro nel 1996 del padrone della Fiat, il monarca della città e del paese, “l’Avvocato” Giovanni Agnelli.

La Stampa è arrivata a titolare “L’’uomo che ha sconfitto gli anni ‘70”, quel decennio che la classe capitalista vuole cancellare (e/o far dimenticare) perché espressione della più grande e prolungata mobilitazione sociale e politica della classe lavoratrice italiana, una stagione di lotta che, iniziata verso la fine degli anni 60, ha comportato le più grandi conquiste democratiche e sociali per l’insieme delle classi subalterne.

Romiti, ma dietro di lui c’era la proprietà, la famiglia Agnelli, il capitale, non ha sconfitto gli anni ’70, ha sconfitto delle donne e degli uomini in carne ed ossa, la classe lavoratrice, ha sconfitto quello che era il settore più combattivo e trainante della classe operaia italiana, in questo modo modificando complessivamente i rapporti di forza tra le classi ed aprendo la strada alla piena restaurazione padronale che sarebbe avvenuta nei decenni successivi. Resta fondamentale anche oggi capire come quella sconfitta sia avvenuta ed anche quali responsabilità siano da attribuire ai diversi soggetti e gruppi dirigenti che sono stati in campo.

Nella notte tra il 14 e 15 ottobre di 40 anni fa, infatti, a Roma nella sede del ministero del lavoro (titolare il democristiano Foschi) il “capo” della Fiat,  Romiti, scriveva di suo pugno, su richiesta degli segretari di CGIL (Lama) CISL (Carniti) e UIL (Benvenuto), l’accordo capestro che stroncava la lunga lotta delle lavoratrici e dei lavoratori della più grande azienda italiana per difendere il posto di lavoro cominciata il 10 settembre 1980 : 35 giorni (in realtà 37) ininterrotti di assemblee, di cortei, di blocco di tutti i cancelli, di manifestazioni di massa dei metalmeccanici, degli studenti, delle altre categorie, della solidarietà di una intera città e del paese intero.

Una lotta che aveva coinvolto i lavoratori di tutte le decine di stabilimenti della Fiat presenti nel paese; una lotta di classe durissima con una valenza politica nazionale ed anche storica. Nella sola regione piemontese le lavoratrici e i lavoratori dell’auto erano oltre 100.000; 150.000 o più nel complesso del paese, per non parlare di quelle e quelli che lavoravano nell’indotto auto.

Quell’accordo espelleva dalla Fiat 23 mila lavoratrici e lavoratori, modificando in profondità i rapporti di forza tra le classi e chiudendo la lunga stagione delle lotte e delle conquiste operaie apertosi con le mobilitazioni del 1968 e l’autunno caldo del ’69.
Nel pomeriggio del 15 ottobre il Consiglione (cioè l’assemblea dei delegati di tutte le fabbriche Fiat di Torino), respingeva con forza quell’accordo. Il giorno successivo anche le assemblee dei lavoratori “bagnati dalla pioggia e dalle lacrime” come ha scritto Raffaello Renzacci, un militante sindacale che ancora rimpiangiamo, respingevano l’accordo e così si pronunciavano le assemblee degli insediamenti Fiat nelle altre città; ma i dirigenti confederali controfirmavano il testo preparato da Romiti e si apriva il lungo e lento declino del movimento di classe e l’involuzione del sindacalismo in Italia che ci ha portato alle grandi difficoltà prodotte dalle offensive antioperaie e antisindacali del terzo millennio (legge Fornero, attacco allo Statuto dei lavoratori, Jobs Act, leggi sulla precarietà, ecc.) ed oggi alla vera e propria dichiarazione di guerra contro la classe lavoratrice annunciata dal nuovo presidente della Confindustria Bonomi.

Noi vogliamo ricordare coloro che sono il nostro riferimento sociale, le donne e gli uomini della classe lavoratrice, vogliamo ricordare quelle centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori, ma anche l’insieme del mondo del lavoro che ha lottato per oltre un decennio non solo per una condizione migliore, ma anche per un mondo migliore.

Il circolo di Torino di Sinistra Anticapitalista insieme all’Associazione “Laboratorio di Cooperazione e Ricerca), lo vuole fare in primo luogo, attraverso una grande mostra fotografica del fotografo Giovanni Palazzo, che focalizza non solo quei giorni di lotta, ma i volti e i sentimenti delle/dei sue/suoi protagoniste/i. Lo farà con una giornata seminariale di approfondimento e dibattito politico con numerosi partecipanti.

Lo farà infine pubblicando un opuscolo che ricostruisce quella lotta con un articolo d’interpretazione e lettura degli avvenimenti scritto venti anni fa da Franco Turigliatto, responsabile lavoro nel 1980 della Lega Comunista Rivoluzionaria, un’organizzazione allora ben presente con i suoi militanti operai in tutti gli stabilimenti torinesi della Fiat e con un lungo saggio inedito di Dino De Amicis e Diego Giachetti, due storici, che hanno lavorato a fondo sulle mobilitazioni di quegli anni e sul sindacato dei consigli, che ricostruisce non solo la lotta dell’autunno ’80, ma anche il quadro delle precedenti mobilitazioni operaie per spiegare le dinamiche complessive dello scontro finale.