Circa 50 anni fa, il 4 settembre 1970, Salvador Allende veniva eletto alla testa del Cile. Iniziarono allora i mille giorni eccezionali della “via cilena al socialismo” e del governo di Unità Popolare. Tre anni di festa rivoluzionaria, un tentativo di costruzione di un “potere popolare”, ma anche di drammi e di sconfitte per uno dei movimenti operai più organizzati dell’America latina. Il colpo di Stato dell’11 settembre 1973, forgiato con il sostegno attivo e decisivo degli Stati Uniti di Richard Nixon e Henry Kissinger, segna l’inizio della dittatura neoliberale di Pinochet (1973-1990). In occasione di questo anniversario, pubblichiamo un breve estratto dell’opera di Franck Gaudichaud: “Chili 1970-1973 : mille jours qui ébranlèrent le monde”, Rennes, Presses universitaires de Rennes, 2013.
L’UP (Unità popolare) è una coalizione eterogenea di partiti politici che va dal Partito comunista al piccolo Partito radicale, passando per il PS e alcuni settori democristiani in rottura con il loro partito. Il 17 dicembre 1969, questi diversi partiti riescono a mettersi d’accordo su un programma che deve servire alla campagna presidenziale di Salvador Allende (eletto come rappresentante della coalizione).
Per riassumere, la “via cilena al socialismo” è innanzitutto un’applicazione sui generis della teoria della via pacifica al socialismo, cara alla politica internazionale del PCUS. Al di là del mito di una creazione specificatamente cilena, vi si può vedere chiaramente la messa in campo di un modello influenzato dall’inserimento del Cile nel gioco internazionale della “guerra fredda” (1). Intellettuali organici dell’UP come Joan Garcés preferiscono parlare di “via politica” o “istituzionale” (per opposizione alla via insurrezionale o armata) (2).
Secondo lo storico Luis Corvalan Marquez, l’UP ha “messo in campo un programma che corrispondeva a una visione pacifica, istituzionale e a un’ampia alleanza nazionale e popolare. Questa visione rifletteva in maniera predominante le concezioni del suo candidato Salvador Allende e del PC. In questo modo, non rispondeva al concetto di Fronte dei lavoratori, né al ricorso alla via armata proposta in precedenza dal PS” (3). Cosa spiega allora la partecipazione del PS? Carlos Altamirano ha risposto a più riprese a questa domanda. Secondo lui, “(…) le istituzioni cilene era legittimamente convenienti (aprovechables) per il movimento rivoluzionario. Ma non nella prospettiva di compiere un ciclo storico fino alla costruzione del socialismo, ma solo in quella di affrontare da posizioni di forza più favorevoli -politiche, sociali e militari- la rottura con lo Stato borghese” (4)
La tattica della “via cilena al socialismo”, si fonda essenzialmente su quattro tesi centrali, articolate tra di loro:
• La tesi della “rivoluzione a tappe” e della possibilità di una transizione graduale al socialismo, utilizzando tutto il potenziale delle istituzioni in campo.
• La tesi della “flessibilità istituzionale” e della specificità della Stato cileno che è supposto poter sostenere un sistema politico stabile, che garantisce così il mantenimento del funzionamento della “democrazia”.
• La tesi della costituzionalità delle forze Armate e dunque del loro rispetto incrollabile del suffragio universale.
• La tesi dell’alleanza di classe con la cosiddetta “borghesia nazionale progressista”, in seno a un progetto di sviluppo industriale autocentrato, anti-monopolista e anti-imperialista.
La volontà dell’Unità popolare è di uscire dal solco dei governi precedenti, avendo come obiettivo l’applicazione di coraggiose riforme democratiche e anti-imperialiste, quali ad esempio l’attuazione di un’autentica ridistribuzione delle ricchezze (5):
• La nazionalizzazione delle risorse naturali essenziali del paese, tra cui il rame (“il salario del Cile”) in mano all’imperialismo americano.
• Una riforma agraria che approfondisse quella iniziata dal governo democristiano.
• La nazionalizzazione di una parte dei grandi monopoli industriali e del sistema bancario e di una parte del settore della distribuzione.
• Numerose riforme sociali progressiste (le “40 misure”), senza precedenti per la loro ampiezza nella storia del paese.
In generale, il programma economico dell’UP annuncia un insieme di misure destinate a favorire lo sviluppo economico del paese e a utilizzare al massimo le sue capacità produttive. Questo obiettivo, Allende intende raggiungerlo attraverso un intervento governativo forte, grazie alla costruzione di un capitalismo di Stato che controlli i principali monopoli del paese. Quella che allora viene chiamata “la costruzione della nuova economia”. Questa teoria propone l’edificazione di un’“Area di proprietà sociale e mista“ (APS) formata dalla nazionalizzazione del settore minerario (rame, salnitro, ferro, carbone, …), dal settore bancario e dal commercio estero, e dai “monopoli industriali strategici” e dalle “grandi imprese e monopoli della distribuzione” (6).
In una prospettiva di lungo periodo, la strategia dell’UP -in particolare il suo progetto di alleanza tattica con la “borghesia nazionale”- si iscrive nella continuità dei Fronti popolari della fine degli anni Trenta, ma con delle caratteristiche molto differenti legate al fatto che questa è egemonizzata da due partiti marxisti, maggioritariamente operai. Gli storici Gabriel Salazar e Julio Pinto qualificano l’UP di coalizione “nazional-populista” accompagnata da un discorso rivoluzionario. Questa analisi si basa in particolare sull’utilizzazine che la sinistra si propone di fare dello Stato e di un programma in continuità con il periodo aperto dagli anni Trenta da diversi tentativi di sviluppo capitalista autocentrato (7).
Secondo noi, l’inconveniente della nozione di “nazional-populismo” è che tende a essere una sorta di ripostiglio teorico, che non permette di comprendere veramente le caratteristiche di questo governo, la sua base sociale organizzata in particolare dal sindacalismo, il suo radicamento popolare, il suo orientamento socialista e la sua articolazione con i grandi partiti popolari che si rivendicano del marxismo. Infatti, non possiamo in nessun caso confondere un governo democratico radicale come quello di Salvador Allende con il “populismo integrale” di regimi come quelli di Vargas o Peron, in Brasile o in Argentina (8). Sarebbe dunque sbagliato negare il carattere specifico dell’UP, in altri termini il suo carattere sui generis e originale.
Una caratteristica della tattica dell’Unità popolare è la posizione dei militari all’interno della transizione al socialismo. L’idea di una possibile conquista pacifica e graduale del potere va di pari passo con una visione ingenua delle forze armate. La tesi che predomina tra i partiti che partecipano all’UP è quella di un’eccezione storica dello Stato democratico cileno e della sottomissione legalista delle forze armate alle decisioni politiche civili (9). Come aveva mostrato il sociologo Alain Joxe, fin dalla fine degli anni 1960, una messa in prospettiva storica resiste male a questo genere di argomenti (10)… Secondo Fernando Mires, la strategia dell’Unità popolare è stata marcata da “due peccati originali” (11): da un lato, la fissazione e l’attaccamento incondizionato allo Stato; d’altro, le grandi limitazioni del suo programma in termini economici e partecipativi. Gabriel Smirnow, nello stesso senso, sottolinea le tre debolezze della sinistra governativa: il progetto di alleanza di classe, la politica nei confronti delle forze armate, l’utilizzazione dell’apparato istituzionale (12).
Quanto al “potere popolare”, è declinato, nei testi ufficiali, da una versione minimalista ad una più estesa: da un semplice appoggio delle basi popolari organizzate alla politica del governo fino alla creazione dei germi di un nuovo Stato, nella prospettiva di una rapida transizione al socialismo. Il programma dell’UP comporta un paragrafo chiamato esplicitamente “El poder popular” e afferma che le “trasformazioni strutturali proposte sono delle trasformazioni rivoluzionarie”. La sua applicazione risiede “nel controllo da parte del popolo organizzato del potere politico ed economico, espresso nell’area statale dell’economia e della pianificazione generale di quest’ultima. È questo potere popolare che assicurerà il raggiungimento dei compiti segnalati”. In maniera generale, la referenza al “potere popolare” in Salvador Allende rinvia a un’ampia alleanza di fasce popolari (13). Alla domanda “Cos’è il potere popolare?”, il nuovo presidente risponde in forma evasiva: “Il potere popolare significa che noi metteremo fine ai pilastri sui quali si appoggiano le minoranze che, da sempre, hanno condannato il nostro paese al sottosviluppo. (…) Termineremo questo processo di “denazionalizzazione”, ogni volta più importante, delle nostre industrie e fonte di lavoro che ci sottomette allo sfruttamento straniero, (…) Questo è il compito del governo popolare, vale a dire di ognuno di noi, ripeto, creare uno Stato giusto, capace di dare il massimo di opportunità a tutti quelli che vivono sul nostro territorio” (14).
È dunque lo Stato che è messo al centro del processo di trasformazione, senza che sia detto in seno a che tipo di relazioni di produzione e di modo di accumulazione, questo progetto si inserisce.
La costituzione di questo “potere popolare” è pensata a partire da due ipotesi: un’ipotesi politica e un’ipotesi socio-economica (che si intrecciano) (15). L’ipotesi politica afferma che l’UP “trasformerà le attuali istituzioni, per instaurare un nuovo Stato dove i lavoratori e il popolo eserciteranno realmente il potere”. Questo futuro “Stato popolare” si deve costruire sia sulla base di organismi regionali e locali, grazie alla costituzione dell’”Assemblea del popolo” e di una “nuova Costituzione”. Una trasformazione di quest’ampiezza, per via legale, suppone di detenere la maggioranza assoluta in Parlamento, mai ottenuta dall’UP. Una delle prime manifestazioni di questa enorme limitazione è “lo statuto delle garanzie costituzionali” che i democristiani impongo in cambio del loro appoggio per la conferma ufficiale dell’elezione di Allende (16). Queste “garanzie costituzionali”, oltre a introdurre numerosi “trabocchetti” verso il programma, introducono il concetto di “autonomia delle forze armate” (ripreso in seguito dalla giunta di Pinochet), vietando così ogni tipo di intervento da parte “di altri organismi di fatto, che agiscono in nome di un supposto “potere popolare””(17).
Dal 1970, l’opposizione ad Allende voleva assicurarsi che questi non riuscisse a rafforzare la sua assise politica appoggiandosi su organismi di doppio potere (18). L’ipotesi socio-economica della sinistra governativa si basava, invece, nella costituzione di una nuova struttura produttiva e nell’aumento dei redditi dei più poveri. Le tematiche dell’incorporazione delle classi popolari nell’amministrazione diretta dell’economica, dell’autogestione e del controllo operaio sono praticamente assenti. Infatti, la partecipazione dei lavoratori è affrontata molto timidamente dato che, ed è un fatto importante, nel programma vi è solo un’allusione ad un’eventuale partecipazione al funzionamento delle imprese nazionalizzate.
Sempre secondo Fernando Mires, si tratta di un programma politico che “marginalizza” ogni prospettiva di partecipazione diretta di una maggioranza delle fasce popolari, allorché nel settore privato, che resterebbe maggioritario, nulla è previsto sul diritto di controllo dei lavoratori sulla produzione. Secondo alcune stime autorevoli, più di 500’000 persone sarebbero così orfane di programmi di partecipazione politiche organizzate (19). Dal punto di vista dei soli salariati, Mario Duran calcola che un numero approssimativo di 700’000 lavoratori sono così “esclusi” dal progetto di partecipazione dei lavoratori in seno al settore nazionalizzato o all’Area di proprietà sociale (20). Come conclude H. Vega, “Quando il progetto economicista dell’UP viene proposto, il 65% dei lavoratori ne resta fuori. I limiti del programma d’azione hanno una duplice conseguenza: da un lato la forza dei lavoratori incorporati è gravemente limitata e, dall’altro, ci si schiera a favore di un’alleanza con i settori medi la cui pratica mostrerà i propri limiti” (21).
L’UP intende mobilitare la sua base popolare attorno a due assi (22). Il primo è il suo radicamento nelle organizzazioni sociali tradizionali: il movimento sindacale (CUT, sindacati industriali, professionisti e contadini) e le organizzazioni poblacionales (dei quartieri popolari), per l’essenziale i comitati di quartiere (juntas de vecinos) che erano stati promossi dall’amministrazione Frei, con l’obiettivo di canalizzare le rivendicazioni dei settori urbani marginalizzati (23).
L’altro elemento mobilitante è più originale, dato che pone effettivamente la questione di una nuova forma di potere popolare costituente: si tratta dei comitati dell’Unità popolare (CUP). Questi ultimi sono stati concepiti per mobilitare militanti e simpatizzanti per partecipare alla campagna elettorale in favore di Allende. Malgrado ciò, “I CUP non saranno solo degli organismi elettorali. Saranno gli interpreti e i combattenti delle rivendicazioni immediate delle masse, e soprattutto si prepareranno a esercitare il potere popolare”. È quindi lecito domandarsi quale sia stata la loro attività reale.
Più in generale è necessario sottolineare che l’arrivo di Allende alla Moneda, il palazzo presidenziale, avviene nel quadro di una straordinaria mobilitazione collettiva in tutto il paese, che preannuncia la “battaglia del Cile”, magistralmente messa in luce dai documentari di Patricio Guzman (24). È quest’ondata di speranza ad essere legittimata dalle urne il 4 settembre 1970 dopo una campagna elettorale contraddistinta da un’agitazione fuori dal comune: un’esperienza che è già in sé una “grande rottura” del consenso regnante in seno alle classi dominanti. Il 4 settembre è effettivamente il giorno della “celebrazione” per eccellenza: “la folla balla, grida, cerca di sentire quello che dicono i dirigenti attraverso microfoni improvvisati che deformano discorsi infuocati” (25).
È questo formidabile slancio popolare che porta alla presidenza della Repubblica Salvador Allende, medico e massone, più volte candidato a questo tipo di elezione, vecchia volpe abituata agli arcani parlamentari, ma anche eccellente tribuno e militante socialista convinto, capace di arringare le folle e di mobilitare i lavoratori (26). Questa vittoria viene ottenuta sul filo del rasoio, con solo una maggioranza relativa del 36.2% dei voti espressi, possibile solo grazie alla divisione della destra e delle elites. Non potendo superare le loro stesse contraddizioni, gli oppositori al “Chico” (soprannome di Allende) si affrontano con due progetti distinti: uno incarnato da Radomiro Tomic, rappresentante della Democrazia cristiana, che incarna l’ala sinistra del partito e che ottiene il 27,8% dei voti; l’altro da Jorge Alessandri, candidato della destra conservatrice e liberale, con il 34,9% dei voti. Dal 5 settembre, Salvador Allende – nel suo discorso allo stadio nazionale – reitera la sua concezione di una transizione al socialismo legalista e istituzionale, “appoggiato dalla mobilitazione organizzata delle masse popolari” (27).
In definitiva, come affermato da Victor Farias, convergono nel progetto dell’UP forme ibride dove domina un “potere popolare istituzionalizzato” – sotto stretto controllo statale e ridotto ad alcuni settori sociali – che si combinerà con un “potere popolare di massa” (28), che chiameremo “potere popolare costituente”. Il governo ha saputo e potuto sviluppare questo tipo di organizzazione? È riuscito a superare i limiti inerenti al suo programma e al contesto storico nel quale assume il potere? In che misura il movimento sociale urbano ha potuto, invece, auto-organizzarsi in direzione di questo famoso “potere popolare”? È a questo che si cercherà di rispondere in questo libro.
*Franck Gaudichaud è dottore in scienze politiche e maître de conférence in Civiltà ispano-americana all’Università di Grenoble 3. È membro del comitato di redazione della rivista Dissidences e dell’associazione “France Amérique Latine.
1. J. Fernandois, «”Peón o actor” Chile en la Guerra Fría (1962-1973)», Estudios Públicos, Santiago, N°72, 1998 p. 149-171. Bisogna comunque specificare che si tratterebbe di un grave errore riassumere la storia del PCC a quella di semplice «agente di Mosca», dato che si tratta di un partito legato alla storia nazionale.
2. J. Garcés, « Vía insurreccional y vía política: dos tácticas », Revista de la Universidad técnica del Estado, Santiago, N°13/14, marzo-junio 1973, p. 7-39.
3. L. Corvalán Marquéz, Los partidos y el golpe del 11 de septiembre: contribución al estudio del contexto histórico, Santiago, CESOC, 2000, p. 19.
4. C. Altamirano, Dialéctica de une derrota, México, Ed. Siglo XXI, 1977, p. 67.
5. Per conoscere il programma e la strategia l’UP, e numerosi altri documenti: www.archivochile.com.
6. Vedi il paragrafo consacrato alla costituzione dell’Area della proprietà sociale.
7. Questi autori spiegano che «la centralizzazione del nazional-populismo in ciò che è stata chiamata «la transizione al socialismo» sarebbe stata legittimata da una «biforcazione discorsiva» rivoluzionaria (G. Salazar, J. Pinto, Historia contemporánea de Chile, Santiago, LOM, 1999, T. I, p. 151-166).
8. Sulla natura del populismo cileno: P. Drake, Socialismo y populismo en Chile 1936-1973, Universidad Católica de Valparaíso, 1992.
9. T. Moulian, Conversación interrumpida con Allende, Santiago, ARCIS-LOM, 1999, p. 67-71.
10. A. Joxe,Las fuerzas armadas en el sistema político chileno, Santiago, Ed. Universitaria, 1970 et P. Quiroga, «Las Fuerzas Armadas y la visión-de-mundo (un acercamiento)», Alamedas, Santiago, 1993, p. 58-62.
11. F. Mires, La rebelión permanente. op. cit., p. 347-355.
12. G. Smirnow,Le développement de la lutte pour le pouvoir pendant l’Unité populaire, Université Paris VIII, Thèse de troisième cycle, 1977, p. 232.
13. H. Cancino, La problemática…,op. cit., p. 125-132.
14. Salvador Allende – Obras Escogidas (1970-1973), Barcelona, Editorial Crítica, 1989, p. 219.
15. H. Vega, L’économie du populisme et le projet de passage au socialisme proposé par l’Unité populaire, Université Aix-Marseille II, Thèse d’Etat en économie, 1981, p. 296-319.
16. L. Corvalán Marquéz, Los partidos y el golpe del 11 de septiembre, op. cit, p. 36.
17. L. Vitale, «El gobierno de Salvador Allende » in Para recuperar la memoria histórica, op. cit., p. 183.
18. E. Novoa, «L’utilisation de la loi sous le gouvernement Allende», Chili, un pays laboratoire, Actes du colloque organisé à Bruxelles, Maison de l’Amérique Latine, 1998, p. 11-24..
19. Vedere le statistiche citate da F. Mires (La rebelión permanente, op. cit., p. 355).
20. L. Vitale, «El gobierno de Salvador Allende», op. cit., p. 206.
21. H. Vega, L’économie du populisme, op. cit., p. 316.
22. F. Castillo, J. Larrain, R. Echeverría, «Las masas, el Estado y el problema del poder en Chile», op. cit..
23. F. Vanderschueren, «Significado político de las juntas de vecinos en poblaciones de Santiago», EURE, Santiago, Vol. I, N°2, julio 1971.
24. P. Guzmán, La Batalla de Chile, Chili/Cuba/Venezuela, 1975-1979.
25. T. Moulian, Conversación interrumpida con Allende, Santiago, ARCIS-LOM, Col. Sin Norte, 1999, p. 17-20.
26. Per un documentario nostalgico e sensibile su Allende : Cf. P. Guzmán, Salvador Allende, Patricio Guzmán Producciones, 2004 e anche il libro : M. Amorós, Compañero Presidente, Valencia, Publicaciones de la Universidad de Valencia, 2008.
27. S. Allende, «Discurso en el Estadio Nacional», 5 de septiembre de 1970 in Gonzalo Martner (comp.), S. Allende 1908-1973. Obras Escogidas., Santiago, Ed. Antártica, 1992.
28. V. Farias,La izquierda chilena, op. cit., Introduzione al Capitolo I del tomo I.