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Pubblichiamo il testo di un’interpellanza depositata oggi dai nostri parlamentari che chiamano in causa, ancora una volta, Norman Gobbi e la polizia cantonale in materia di gestione dei permessi. (Red)

A neppure due settimane dall’ammissione del guardasigilli Norman Gobbi di non rispettare leggi e giurisprudenza in materia di rilascio di permessi per stranieri – con l’avallo dell’intero Consiglio di Stato –, emerge un nuovo caso che illustra come questa politica illegale stia ormai filtrando in tutto il Dipartimento delle Istituzioni.

Non è più un caso ma un vero e proprio sistema.

In data 16 settembre 2020, il Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata, spediva una direttiva, a firma del “Cap E. Arrigoni” e del “Sgtm c P. Degani”, indirizzata a tutte le agenzie di sicurezza e d’investigazione attive nel cantone.

In questa missiva si annuncia in maniera perentoria che «fino a nuovo avviso, non verranno rilasciate o rinnovate autorizzazioni Lapis a lavoratori con permesso G o lavoratori con permesso B residenti in Ticino da meno di 5 anni».

Una decisione tanto drastica quanto – come vedremo – illegale. Le ragioni di questo nuovo grave abuso dello stato di diritto? Secondo i due responsabili il problema risiede nel fatto che «le Autorità italiane non ci forniscono più le informazioni di Polizia necessarie per poter stabilire se i richiedenti sono in possesso di tutti i requisiti citati dall’art. 8 Lapis». E ancora: «considerato che per le richieste di lavoratori indigeni vengono effettuati accertamenti approfonditi, l’assenza di tali informazioni riguardanti personale straniero si traduce in una chiara disparità di trattamento e pertanto non ci consente di poter rilasciare le relative autorizzazioni».

Parole gravi perché sovraccariche di palesi menzogne e assurdità. Vediamole. La Legge cantonale sulle attività private di investigazione e sorveglianza (Lapis) fissa fra le altre cose che ogni agente di sicurezza deve disporre di un’autorizzazione rilasciata dal Dipartimento delle istituzioni, da rinnovare ogni tre anni. La Lapis stabilisce (art. 5) che ogni agente (dipendente) deve soddisfare i seguenti requisiti:

a) avere la cittadinanza svizzera o di uno Stato dell’Associazione europea di libero scambio o dell’Unione europea ed essere maggiorenni in possesso di diritti civili;

b) avere il domicilio politico o almeno un domicilio d’affari nel Cantone;

c) essere persone di buona condotta;

d) possedere un’adeguata formazione (www.ti.ch/cpsicur);

e) disporre del permesso di soggiorno che li autorizzi all’esercizio dell’attività lucrativa, se stranieri;

f) avere stipulato, presso una compagnia svizzera, un contratto d’assicurazione per le conseguenze derivanti dalla responsabilità civile le cui prestazioni minime sono fissate dal regolamento.

Il Regolamento Lapis (art. 6) a sua volta stabilisce che alla domanda devono essere allegati:

a) l’estratto del casellario giudiziale rilasciato da non più di tre mesi;

b) la dichiarazione dell’Ufficio di esecuzione e fallimenti comprovante l’inesistenza di attestati di carenza di beni e di procedure fallimentari a carico del richiedente;

c) copia di un documento di legittimazione valido;

d) il certificato attestante il superamento degli esami previsti al termine della formazione professionale specifica; e) un esemplare dell’eventuale tessera di legittimazione dell’organizzazione;

 f) due fototessere del richiedente e dei suoi eventuali collaboratori;

g) la copia di una proposta vincolante di contratto di assicurazione a copertura della responsabilità civile; h) una copia dei contratti di lavoro di tutti i dipendenti;

i) se straniero, il permesso di soggiorno che lo autorizzi all’esercizio dell’attività lucrativa;

j) per gli agenti che portano un’uniforme, la lista dettagliata dei capi d’abbigliamento e la relativa documentazione fotografica.

Inoltre se i dipendenti sono stranieri residenti all’estero o in Svizzera da meno di 5 anni, devono fornire (in originale e rilasciati da meno di tre mesi):

  1. il certificato comprovante l’inesistenza di procedure fallimentari a carico del richiedente;
  2. il certificato del casellario giudiziale;
  3. l’estratto dei carichi penali pendenti.

Come si può vedere, la legge e il suo regolamento fissano gli stessi requisiti per i lavoratori indigeni o stranieri. Anzi, per quest’ultimi sono richiesti dei documenti supplementari (quelli rilasciati dal loro paese di residenza/provenienza). E la legge ticinese non richiede nessuna “informazione di Polizia” trasmessa dalle Autorità italiane. Per quanto è dato sapere, le autorità italiane preposte al rilascio del certificato comprovante l’inesistenza di procedure fallimentari a carico del richiedente, come anche il certificato del casellario giudiziale e l’estratto dei carichi penali pendenti non hanno assolutamente cessato di rilasciare questi documenti.

Per confermare quanto affermiamo, basterebbe chiederlo al ministro Gobbi e ai suoi servizi che continuano a rifiutare permessi di soggiorno grazie ai casellari giudiziali provenienti dall’Italia…

E non esiste nessuna disparità di trattamento. Se il Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata impone che «per le richieste di lavoratori indigeni vengono effettuati accertamenti approfonditi» non previsti dalla Lapis, quella che si configura non è una disparità di trattamento ma bensì un abuso legale!

Tra l’altro, l’articolo 8 Lapis non fissa i “requisiti in possesso dei richiedenti” ma bensì i criteri che possono essere alla base di un rifiuto dell’autorizzazione a esercitare l’attività di agente di sicurezza! Ma soffermiamoci su questo articolo.

La Lapis stabilisce chiaramente i criteri di un rifiuto dell’autorizzazione:

a) in ragione di una condanna per reati che denotano carattere violento o pericoloso o per crimini o delitti commessi ripetutamente, è iscritto nel casellario giudiziale, fintanto che l’iscrizione non sia cancellata;

b) dà motivi di ritenere che esporrà a pericolo sé stesso o terzi;

c) è sotto curatela generale o è rappresentato da un mandatario designato con mandato precauzionale;

d) è fallito o si trova in stato di insolvenza comprovato da attestati di carenza beni;

e) per i suoi precedenti, non presenta sufficienti garanzie per un corretto adempimento delle sue attività.

Anche in questo frangente, non si fa riferimento a nessuna fantomatica “informazione di Polizia” rilasciata dalle autorità competenti italiane. Appare evidente che la decisione dei responsabili del Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata non solo è ridicola nei suoi contenuti ma costituisce un ennesimo atto illegale, contrario al diritto cantonale e, soprattutto, ai diritti dei lavoratori stranieri. Negare il rinnovo dell’autorizzazione a esercitare significa semplicemente provocare centinaia di licenziamenti fra gli agenti di sicurezza stranieri, residenti nel nostro cantone o nella vicina Italia. Secondo gli ultimi dati recenti, questo settore impiegherebbe tra le 1’100 e le 1’300 persone a tempo pieno. In realtà molte di più, considerando la grandissima diffusione degli impieghi a tempo parziale tipica di questo campo di attività. Con tutta probabilità, il 30-40% di questi posti di lavoro sono occupati da straniere e straniere. La decisione illegale del Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata rischia così di gettare sul lastrico centinaia di famiglie. I motivi di questa scelta indecente assumono sempre più la colorazione della xenofobia…

Infine, non possiamo fare a meno di sottolineare l’assoluto cinismo dei due responsabili del Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata, quando concludono la loro missiva invitando le agenzie di sicurezza e d’investigazione ad avvisare i loro dipendenti per tempo, così da evitare di «contattare telefonicamente il Servizio per chiedere ulteriori spiegazioni». I dipendenti che perdono il posto di lavoro non hanno neppure diritto a una spiegazione…

Fatte queste premesse chiediamo al Consiglio di Stato:

  1. C’è qualcuno che verifica che le direttive emesse dal Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata, dalla Polizia Cantonale e, infine, dal Dipartimento delle Istituzioni siano confacenti al diritto cantonale e nazionale?
  • Non considera questo nuovo grave abuso di legge come la chiara espressione di una tendenza sempre più xenofoba all’interno dei servizi del Dipartimento delle Istituzioni?
  • Come commenta il consigliere di Stato Norman Gobbi questo ennesimo caso di sospensione dello stato di diritto o di chiaro disprezzo delle leggi vigenti?
  • Cosa intende fare il Consiglio di Stato per ripristinare immediatamente lo stato di diritto, in particolare annullando la direttiva del Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata, urgenza motivata dal fatto che i mancati rinnovi già decisi potrebbero provocare diverse centinaia di licenziamenti;
  • Qualora dei dipendenti avessero già perso il posto di lavoro a causa della decisione del Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata, il Consiglio di Stato si attiverà per garantire il loro reintegro oppure prevede di pagare dei danni morali per rispondere al danno causato a centinaia di lavoratrici e lavoratori?
  • Il Consiglio di Stato intende prendere delle misure nei confronti dei responsabili firmatari della direttiva, responsabili di un grave mancato rispetto della legge e, con tutta probabilità, all’origine di centinaia di licenziamenti di lavoratrici e lavoratori stranieri?

Per il Gruppo MPS-POP-Indipendenti
Matteo Pronzini, Simona Arigoni, Angelica Lepori