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Usato, gettato e abbandonato. Ecco gli aggettivi che vengono immediatamente in mente quando si parla del personale dell’ex Lugano Airport SA. E lunedì scorso, in Consiglio comunale a Lugano, ne abbiamo avuto un’ulteriore completa dimostrazione. Quasi tutti i membri delle istituzioni luganesi sono concordi nel quantificare in 500’000 Fr. il gesto di carità con il quale liquidare i 69 dipendenti dello scalo aeroportuale. Molto concretamente, se il calcio nel sedere travestito da piano sociale è esteso a tutti gli ex dipendenti, si arriva a una cifra pro-capite di 7’250 Fr., ossia l’equivalente di un salario e mezzo, al massimo due. Abbiamo visto piani sociali nel privato assolutamente superiori. Per esempio, la chiusura del Customer Care della VF International di Stabio nel 2017 ha significato per le 43 persone coinvolte il ricollocamento in diversi dipartimenti del gruppo, il tutto accompagnato da importanti incentivi finanziari. Anche il piano sociale firmato appena qualche mese con la direzione di Mikron, seppur insufficiente, oscura ampiamente la miseria offerta dalla Città di Lugano.

Questa situazione ci porta ad alcune riflessioni. In primo luogo, non dovrebbero più esserci dubbi circa la manipolazione indegna da parte del Cantone e del Municipio quando, diversi mesi fa, denunciavano come “nemici” dei lavoratori e delle lavoratrici coloro che chiedevano la chiusura dello scalo ma allo stesso tempo proponevano misure alternative solide a tutela del personale (misure presentate dall’MPS con una mozione chiara nel settembre 2019).

Un argomento pretestuoso quello della difesa dei posti di lavoro sviluppato unicamente per combattere i due referendum. Appena decisa la liquidazione di LASA e la costituzione di un aeroporto privato, Zali e compagnia hanno letteralmente scaraventato giù dalla scaletta gli oltre 60 impiegati dello scalo. Addirittura, Zali e i suoi quattro compari in Consiglio di Stato, si sono chiamati fuori da qualsiasi impegno nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori, invocando la mancanza di obblighi giuridici in questo senso…

Questa esperienza costituisce l’ennesima controprova di una semplice verità. La difesa dei diritti e dei posti di lavoro costruita sulla ricerca spasmodica di alleanze con le istituzioni politiche, in particolare governative, non può che condurre a cocenti sconfitte per le lavoratrici e per i lavoratori. Pensare di difendere i posti di lavoro nei salotti istituzionali invece che organizzando la lotta a partire dai posti di lavoro, comporta solo un’accumulazione senza fine di sconfitte sociali e un rafforzamento della convinzione collettiva che certe scelte non possono essere modificate, un sentimento profondo dell’inutilità di qualsiasi opposizione alle politiche borghesi e padronali.

Purtroppo, è su questa linea che si sono mosse troppo a lungo le direzioni dei sindacati OCST e UNIA. I due sindacati hanno fin dal principio appoggiato con granitica fede ogni passo deciso e proposto dal Cantone, dal Municipio e dal consiglio di amministrazione di LASA. Non sono stati in grado di leggere l’evidenza dei conti decennali di LASA, i quali indicavano chiaramente come l’aeroporto fosse un cadavere tenuto in vita dalle continue iniezioni di denari pubblici a fondo perso, non proponendo di conseguenza nessuna alternativa a salvaguardia dei posti di lavoro. Hanno accolto con silenzioso favore (e fervore) lo studio megalomane dell’Università di San Gallo che schizzava scenari di grande sviluppo dell’aeroporto di Lugano. Coerentemente hanno negato il loro sostegno ai referendum, legittimando indirettamente la politica del Cantone e del Municipio (chi tace acconsente…).

E quando le autorità pubbliche hanno completamente virato, scegliendo di ridimensionare fortemente l’aeroporto e di regalarlo ai privati, i sindacati si sono presi una colossale legnata nei denti, senza alternative se non quella d’implorare un piano sociale degno di questo nome, ma senza neppure avere l’ombra di un minimo rapporto di forza per concretizzare questo pio desiderio.

Oggi non possono che manifestare dalle tribune del Consiglio comunale di Lugano la loro indignazione per il miserevole piano sociale, il quale non fa altro che riflettere la loro debolezza e la disastrosa scelta di collaborare con le autorità pubbliche invece che di tentare di dare vita a un movimento indipendente di lotta delle lavoratrici e dei lavoratori. Una subordinazione totale che ha impedito loro addirittura di organizzare un tardivo sciopero al momento dell’annuncio della pesante ristrutturazione e dei due soldi previsti dal piano sociale… È così che una quarantina di persone ha perso il proprio posto di lavoro. E neppure i 22 rimanenti sembrano aver assicurazioni in questo senso. Infatti, la Commissione della gestione del Consiglio comunale di Lugano auspicava, lo scorso 28 settembre, che «per le 22 persone assunte dalla Città per l’aeroporto si possa trovare una soluzione anche con i privati». Tradotto: non vi è alcuna certezza che tutte queste lavoratrici e lavoratori conservino il loro posto (e a quali nuove condizioni di lavoro?!) quando i privati fagociteranno lo scalo luganese.

E concludiamo su un ultimo aspetto. I due sindacati spingeranno fino all’estremo la loro collaborazione con il Municipio di Lugano, ossia sostenendo di fatto la privatizzazione dell’aeroporto? Se per l’Ocst questo scenario rientra perfettamente nella sua politica storica, sorprenderebbe invece che Unia lo segua su questa linea. Sarebbe la prima volta, a nostra memoria, che Unia Ticino non combatte un progetto di privatizzazione…