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Con l’avvicinarsi della mezzanotte, la mancanza di risultati ufficiali – e anche di exit poll e di conteggi rapidi – ha iniziato a creare un’atmosfera di tensione e ad alimentare il sospetto. Poi, si è verificata una svolta inaspettata. Unitel, uno dei canali più popolari nella notte delle elezioni e con il maggior numero di spettatori nel Paese, che aveva ripetutamente posticipato le sue proiezioni, ha annunciato che il conteggio rapido dei voti da parte dell’istituto di sondaggi Ciesmori era finalmente noto. I risultati hanno avuto l’effetto di una bomba: anche i più ottimisti tra i responsabili della campagna del Movimento verso il socialismo (MAS) non avrebbero potuto immaginare un tale risultato: Luis Arce Catacora ha superato facilmente il 50% dei voti ed è diventato presidente senza bisogno di un secondo turno [1]. L’ex presidente Carlos Mesa, che ha presentato una lista elettorale finalizzata al “voto utile” per evitare il ritorno del MAS, era indietro di 20 punti [Ciesmori, il 19 ottobre alle 12.10, comunicherà i seguenti risultati: MAS/Luis Arce 52,4%, Comunidad Ciudadana/Carlos Mesa 31,5%, Creemos/Luis Fernando Camacho 14,1%].

Tutte le analisi della campagna elettorale e quelle fatte il giorno stesso delle elezioni relative alla soglia massima di voti che poteva essere raggiunta dal ticket Luis Arce/David Choquehuanca – considerato la coppia di candidati con la minore possibilità di aumentare la propria udienza elettorale – sono state spazzate via. Il MAS si prepara quindi a tornare al Palacio Quemado [palazzo del governo a La Paz] con un voto plebiscitario. Anche se ci fosse stato un solo candidato anti-MAS, se l’opposizione avesse raggiunto l’unità, non sarebbe stato sufficiente. Il fatto che la presidente ad interim Jeanine Áñez abbia rapidamente riconosciuto la vittoria del MAS e si sia congratulata con Luis Arce, ha indubbiamente contribuito ad evitare che il clima di tensione e la potenziale instabilità avessero la meglio sulla lentezza del conteggio ufficiale, dopo una giornata di votazioni esemplare visti i protocolli applicati in questi tempi di pandemia.

Il MAS ha ottenuto la maggioranza anche in Parlamento. Nella sua roccaforte a La Paz, ha ottenuto il 65% dei voti contro il 32% dell’opposizione, mentre ha ottenuto una percentuale significativa di voti, il 35%, a Santa Cruz, dove il conservatore Luis Fernando Camacho – leader delle proteste di piazza dello scorso novembre, che, nel contesto di una rivolta della polizia e di un pronunciamento militare, ha portato al rovesciamento di Morales e al suo esilio in Argentina [2] – ha rafforzato la sua posizione.

Leadership

Con questi risultati in vista [quindi prima dei risultati ufficiali finali], Luis Arce dovrà costruire la propria leadership presidenziale, con un Evo Morales che tornerà in Bolivia meno forte di prima, ma senza dubbio influente, e un vicepresidente, David Choquehuanca, lontano da Morales e con una propria base tra i leader Aymara negli altipiani di La Paz. Ma non solo: Luis Arce dovrà dimostrare che il suo modello economico – una delle carte più forti del MAS durante i suoi 15 anni al potere – può funzionare anche in tempi di crisi economica e di incertezza aggravata dalla pandemia. Per il momento, nel suo discorso di domenica sera, Luis Arce è stato umile, ha fatto autocritica e ha promesso l’unità nazionale.

Qual era la posta in gioco di queste elezioni? Più che dei programmi elettorali, le elezioni hanno affrontato interpretazioni controverse relative ai 14 anni del MAS al potere e ai quasi 12 mesi di mandato di Jeanine Áñez, una senatrice conservatrice che, approfittando del vuoto di potere dopo il rovesciamento di Evo Morales e delle dimissioni del presidente del Senato che avrebbe dovuto assumere la presidenza, si è inaspettatamente istallata al Palacio Quemado.

Fin dall’inizio, il governo provvisorio di Jeanine Áñez ha cercato di demonizzare il MAS, cercando di presentarlo come una forza “narco-terrorista”, caratterizzando la sua gestione come un infame miscuglio di autoritarismo, corruzione e spreco di risorse pubbliche, lontano dalle immagini di successo economico promosso anche dalle istituzioni internazionali. In questa narrazione radicale, alcuni hanno addirittura parlato di una “dittatura” in cui si poteva parlare solo sussurrando nei caffè per non essere perseguitati dall’autoritarismo indigeno. Tuttavia, come spesso accade nelle rivolte anti-populiste, il revanscismo ha prevalso sulle promesse istituzionaliste e repubblicane, che in Bolivia è stato accompagnato da una gestione amministrativa particolarmente carente della crisi del coronavirus. Secondo i dati ufficiali, sono stati registrati 8’000 decessi.

Molti hanno visto nel governo di Jeanine Áñez un tentativo delle classi medie e superiori “bianche” per riconquistare un potere parzialmente perduto dopo il 2006. Ma il MAS, pur essendo stato sciolto lo scorso novembre, è riuscito a ricostituirsi dal Parlamento – dove ha continuato a mantenere la sua maggioranza dei due terzi – e nelle strade, mantenendo il suo posto come unica forza di base organizzata del Paese. Il governo di Áñez era a volte abbastanza simile a quello della rivoluzione argentina del 1955 [la dittatura civile-militare che seguì il colpo di Stato del settembre 1955 che rovesciò il presidente costituzionale Juan Perón]: molti non hanno esitato a definire Evo Morales un “tiranno latitante” [3] e non hanno percepito il fatto che, nonostante tutto, il MAS continuava a esprimere un blocco etno-sociale di matrice plebea. L’eccesso di azione repressiva del ministro dell’Interno Arturo Murillo, che ha minacciato gli oppositori con la detenzione e la persecuzione, ha avuto un effetto paradossale, in quanto ha preso di mira non solo il MAS, ma anche espressioni più ampie dei movimenti sindacali e sociali.

A livello strettamente elettorale, Carlos Mesa si è affidato troppo al “voto utile”, supponendo che la maggioranza volesse evitare a tutti i costi il ritorno del MAS. Forse non ha nemmeno tentato di entrare in contatto con il mondo indigeno-popolare. Ma, come abbiamo visto durante le elezioni, un tale rifiuto del MAS – che nei social network strumentalizzati e nei media sembrava assoluto – non esisteva; almeno non con la forza espressa sui social network e sui media. Il “voto utile” non è andato al di là del 30% dei voti.

Il secondo dato elettorale è la conferma della difficoltà per i leader di Santa Cruz di andare al di là della loro regione. Luis Fernando Camacho, che nel 2019 sembrava aver vinto molti paceños [abitanti del dipartimento di La Paz], ha ottenuto un risultato mediocre nella regione in cui ha sede il governo, pur consolidandosi come forza regionale. Santa Cruz ha scelto il proprio “voto utile” per difendere i propri interessi regionali e regionalisti.

Il MAS

Allo stesso tempo, la vittoria del MAS dimostra che era possibile vincere con un candidato diverso da Evo Morales, e che i suoi sforzi per farsi rieleggere [cambiando la costituzione nel 2016] hanno finito per condurre il suo governo in una situazione di stallo, permettendo una sorta di “controrivoluzione” che alla fine lo ha cacciato dal potere. L’incapacità di questa “controrivoluzione” di liberarsi del MAS non toglie che il rifiuto della rielezione di Evo Morales per un periodo di tempo indeterminato non sia stato diffuso e che il modo di esercitare il potere da parte del governo “masista” sia imploso lo scorso novembre. La rivolta si è conclusa con un colpo di stato, il che non esclude la possibilità che ci siano state massicce mobilitazioni (dal basso) e una forte crisi (dall’alto) che spiegano la tumultuosa uscita dal potere del MAS.

Tuttavia, la repressione e il posto occupato da regioni come Santa Cruz o Beni nelle pianure hanno iniettato una nuova mistica nella campagna elettorale, che è mancata nel 2019, quando la fiducia nell’apparato statale aveva sostituito la mobilitazione popolare. La crisi ha anche portato alla nascita di una nuova generazione di leader, come Andrónico Rodríguez, successore di Morales nei sindacati dei coltivatori di coca. Contadino, laureato in scienze politiche, Andrónico Rodríguez esprime la nuova sociologia del mondo rurale, sempre più interconnesso con le città. In questa campagna, molti “Andronics” sono apparsi, permettendo che diversi leader sociali logorati da un approccio preconcetto alla politica e allo Stato, fossero messi in secondo piano.

Fin dall’inizio, il MAS ha agito con relativa autonomia da un Evo Morales esiliato a Buenos Aires e limitato nei suoi movimenti. I parlamentari, con a capo Eva Copa [senatrice, presidente del Senato dal 14 novembre 2019, eletta da El Alto], hanno scelto la moderazione di fronte alle richieste di resistenza provenienti dall’Argentina. La verità è che non c’è stata una massiccia richiesta per un “ritorno di Evo”. Piuttosto, ciò che si è manifestato è stato un netto rifiuto degli atti offensivi del nuovo governo, come i tentativi di bruciare i wiphala [bandiera plurinazionale] nelle manifestazioni anti-MAS e altri episodi considerati razzisti, come i continui riferimenti alle “orde MAS” e la pletora di articoli di stampa sul “nemico pubblico numero uno” [4] o sul “cancro della Bolivia” [5]. Il “voto utile” del mondo popolare periferico rurale e urbano era, senza dubbio, a favore di Arce, e questo ha definito il suo vantaggio finale.

Contrariamente a parte della solidarietà internazionale contro il colpo di stato, persa in slogan vuoti, il MAS è riuscito a capire la nuova fase e a scommettere sul risultato elettorale, con gli impegni che questo richiedeva, al di là della resistenza nelle strade. Questo è stato particolarmente vero per chi è rimasto in Bolivia, che ha capito la complessità di quanto era successo a novembre: il processo che si è concluso con una “proposta” militare di dimissioni di Morales – che tecnicamente costituisce un colpo di Stato – si è inserito in una crisi di maggiori dimensioni, tra cui la popolarità iniziale di Jeanine Áñez e l’usura stessa di Evo Morales. Questa relativa autonomia amplia il margine di azione del MAS. Mentre quel tenore moderato che è Luis Arce – un economista tecnico costretto a giocare il gioco della campagna, cantando o giocando a basket in pubblico – ha aggiunto questo profilo popolare al suo prestigio di manager economico, che gli ha permesso di rispondere, senza esagerare, agli attacchi da destra.

Il futuro

La nuova sfida per il MAS sarà quella di governare senza disporre del potere che aveva tra il 2006 e il 2019. Questo periodo “epico” della rivoluzione non può più ripetersi. La sua gestione farà parte di uno scenario post-progressista in tutta la regione. Alla fine, dovrà trasformarsi in un partito più aperto alla condivisione del potere e ad accettare una maggiore alternanza di potere, senza pensare all’uscita dal il governo come una pura catastrofe.

Lo scenario è più favorevole di quanto si era immaginato nei giorni precedenti: da un lato, il grande vantaggio nelle urne è un capitale elettorale fondamentale in un contesto di polarizzazione; dall’altro, diversi attori politici, economici e sociali avevano già escluso la possibilità di un ritorno del MAS al palazzo del Governo.

Per finire, l’epica “rivoluzione dei pititas” – come veniva chiamato il movimento di novembre – si è rarefatta nonostante gli articoli, i supplementi dei giornali e i tentativi di costruire una narrazione di “liberazione”. Tuttavia, le rivolte urbane sono una costante nella storia nazionale della Bolivia – sia progressista che reazionaria – e il nuovo governo dovrà riconciliare i pezzi di una società divisa secondo linee etniche, sociali e regionali. Che in questi tempi travagliati il risultato sia manifestato a livello elettorale non è cosa da poco, né per la Bolivia né per il continente.

* Articolo pubblicato su Le Monde diplomatique edición Cono Sur, 19 ottobre 2020. Pablo Stefanoni è caporedattore della rivista Nueva Sociedad. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS.

1. Se un candidato ottiene la maggioranza assoluta o più del 40% dei voti con almeno dieci punti di vantaggio sul secondo classificato, non c’è un secondo turno; altrimenti si svolge un secondo turno entro sessanta giorni tra i due candidati che sono arrivati primi. (NdR)

2. Fernando Molina, La carta de la oposición boliviana, https://nuso.org/articulo/la-carta-de-la-oposicion-boliviana/

3. https://twitter.com/tutoquiroga/status/1291001530049597445

4. https://eldeber.com.bo/opinion/el-enemigo-publico-no-1_184334

5. https://www.lostiempos.com/actualidad/opinion/20191116/columna/cancer-bolivia