Il controllo sul Dipartimento delle Istituzioni diretto dal Rex Gobbi va estesa anche ad altre attività
Abbiamo appreso con soddisfazione che anche la Commissione della Gestione del Parlamento ticinese, finalmente!, si è accorta di come questo cantone stia ormai vivendo in una condizione di “vacatio legis”, così come voluto dal rex Norman Gobbi.
Ci sono volute diverse interpellanze, denunce e trasmissioni televisive affinché la Commissione della Gestione si degnasse di chinarsi, dopo mesi di denunce, su questa grave sospensione dello Stato di diritto.
Il nostro giudizio ed il valore dell’Alta vigilanza da parte di rappresentanti degli stessi partiti di coloro che devono essere vigilati è noto e non ci facciamo grandi illusioni sulle conclusioni a cui arriveranno fra qualche mese.
Ciò detto ed ammessa ma non concessa la buona fede della Commissione della Gestione l’annunciata Alta vigilanza non può, a nostro avviso, limitarsi a una approfondita analisi della prassi adottata dell’Ufficio della migrazione in materia di procedure di rilascio e rinnovo dei permessi per stranieri, in particolare dei frontalieri, su ordine del capo del Dipartimento delle Istituzioni e sostenuta acriticamente dall’insieme del Consiglio di Stato.
Infatti la superiorità delle “decisioni dipartimentali” rispetto alle leggi cantonali, federali e internazionali, è un principio che sembra ormai permeare la maggior parte dei servizi sotto il dominio di Norman Gobbi.
L’MPS ha sollevato con la sua interpellanza deposita lo scorso 27 settembre, la grave e illegale decisione assunta dal Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata di sospendere in maniera indeterminata il rilascio, ai lavoratori con permesso G o ai lavoratori con permesso B residenti in Ticino da meno di 5 anni, l’autorizzazione necessaria per esercitare l’attività di agente di sicurezza. Alla base di questa decisione, una supposta “disparità di trattamento” fra i lavoratori indigeni, sottoposti a una serie supplementare di controlli non previsti dalla La Legge cantonale sulle attività private di investigazione e sorveglianza (Lapis), e i lavoratori stranieri, per i quali le Questure italiane non rilascerebbero più certe non meglio precisate “informazioni di Polizia”, richieste” tuttavia non previste dalla Lapis. Questa “fucilazione sistematica” di lavoratori stranieri, soprattutto frontalieri, significa non solo far perdere il lavoro a centinaia di persone ma anche calpestare per l’ennesima volta tutta una serie di leggi, creando un’instabilità giuridica che si ripercuote immediatamente a livello dei diritti dei lavoratori attivi in questo cantone.
Con il suo atto parlamentare l’MPS aveva posto sei domande precise. Segnaliamo, in entrata, l’ormai scandaloso atteggiamento del governo che si arroga il diritto di selezionare le domande alle quali rispondere, pur trattandosi di quesiti posti da parlamentari democraticamente eletti. Anche in questo caso, il guardasigilli Norman Gobbi ha ordinato ai suoi collaboratori di rispondere a due sole domande.
Detto questo, le risposte fornite non fanno altro che gettare legittimi dubbi e alimentare consistenti preoccupazioni in merito alla problematica sollevata. In primo luogo, il Dipartimento delle Istituzioni cerca di spiegare quali sarebbero le “informazioni di Polizia” supplementari richieste alle autorità di polizia italiane. In sostanza, per il Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata «l’esperienza (ancora recente) ci insegna che, purtroppo, informazioni imprescindibili per la verifica di questo requisito [di “buona condotta”] non sono contenute né nell’estratto del casellario giudiziale italiano, né nel certificato dei “carichi pendenti”, ma solo nelle banche dati di polizia (italiane)»[1]. Ebbene, l’estratto del casellario giudiziale italiano è sufficiente per negare centinaia di permessi di lavoro a frontalieri, ma invece non sarebbero sufficiente a rilasciare l’autorizzazione per esercitare l’attività di agente di sicurezza? Ma quali saranno queste “informazioni imprescindibili” contenute esclusivamente nelle banche dati di polizia della vicina Penisola? Naturalmente, né Gobbi, né i suoi fedeli collaboratori lo dicono. Ma come, estratto del casellario giudiziale e i carichi pendenti rilasciati dall’Italia sono ritenuti validi per rilasciare un permesso di lavoro G, per esempio a un chirurgo, mentre invece non sono sufficientemente validi per rilasciare un’autorizzazione necessaria a gestire il traffico stradale nei pressi di un cantiere oppure a presidiare l’entrata di un centro commerciale?! Il ministro Gobbi si degna d’informarci che il flusso di queste “informazioni imprescindibili” tra l’Italia e la Svizzera è stato interrotto a inizio anno dal Centro di cooperazione di Polizia e Doganale di Chiasso (CCPD) per «un’interpretazione sui limiti dell’Accordo internazionale in vigore [quale?!] che mette in difficoltà la Dirigenza italiana del CCPD e impedirebbe loro di trasmettere le informazioni richieste»[2]. Ma che razza d’informazioni erano, visto che la loro trasmissione sembrerebbe non rispettare gli accordi internazionali? E se queste “informazioni imprescindibili” non possono essere trasmesse, allora dovrebbero essere sufficienti anche per la legislazione ticinese quelle previste dagli accordi internazionali, ossia casellario giudiziale e carichi pendenti italiani. Le uniche informazione richieste dalla Lapis dal fronte italiano…
Il peggio però è contenuto nella risposta alla domanda se la nuova prassi del Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata, avallata dal Dipartimento delle Istituzioni, sia rispettosa del diritto cantonale e nazionale. Tutto il “teorema legale” che permetterebbe al Servizio in questione di andare oltre le norme fissate dalla Lapis poggia infatti su una «recente sentenza del TRAM del 2016, confermata dal TF nel 2019». Fermiamoci subito. Anche alle scuole medie insegnano che se si riporta una citazione è vincolante fornire i riferimenti relativi alla fonte usata, tanto più se questa citazione serve a limitare fortemente i diritti previsti da una legge. Ebbene, per il Servizio giuridico cantonale questo principio elementare non esiste. Si legittima una prassi amministrativa sulla base di un “collage” di citazioni la cui fonte è sconosciuta o mantenuta nascosta. Non un bell’esempio di professionalità. Il confronto democratico richiederebbe invece che queste sentenze siano rese pubbliche, anche per esercitare un diritto elementare di verifica. Invece, il Dipartimento delle Istituzioni non mette a disposizione del Parlamento e della cittadinanza intera questi importanti documenti, altrimenti inaccessibili.
È una questione fondamentale per poter giudicare della legalità o meno dell’azione del Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata. Infatti, i collaboratori di Gobbi giustificano la facoltà legale di andare oltre la Lapis sul fatto che la sentenza del TRAM legittimerebbe la possibilità di verificare «la situazione del richiedente in maniera più ampia e di stabilire se vi siano elementi che, concretamente, permettono di dubitare della sua idoneità» e di analizzare «la condotta del richiedente» allo scopo di «assicurare che, ad esempio, alle persone con precedenti penali che, pur non ricadendo sotto l’art. 8 cpv. 2 lett. a LAPIS, con il loro comportamento non forniscono comunque sufficienti garanzie per un corretto adempimento delle attività disciplinate da questa legge possa essere rifiutata l’autorizzazione in parola»[3]. La giustificazione della presunta legalità della prassi adottata del Servizio armi, esplosivi e sicurezza privata sta tutta in questo “bouquet” di brevi citazioni ricucite per la bisogna. È impedita una valutazione più estesa delle considerazioni sviluppate dal TRAM e confermate dal Tribunale federale. Non si capisce neppure se tali sentenze giustifichino l’aberrante “decisione dipartimentale” di rifiutare, sistematicamente e a priori, qualsiasi autorizzazione a esercitare l’attività di agente di sicurezza per i cittadini stranieri non domiciliati. Addirittura, queste citazioni rabberciate lasciano intravedere che le sentenze riguardino solo i casi di richiedenti che hanno avuto precedenti penali. Il Dipartimento delle Istituzioni ha invece deciso di negare a chiunque abbia il permesso G o il permesso B l’autorizzazione a esercitare in Ticino la professione di agente di sicurezza! E questo anche quando il richiedente ha un casellario giudiziale e un carico pendenti italiani assolutamente immacolati! Siamo sicuri che il TRAM e il TF abbiano dato questo potere, tramite le loro sentenze, a Gobbi e collaboratori? Siamo altrettanto sicuri che queste due istituzioni giustifichino una manifesta quanto crassa ablazione del principio giuridico della proporzionalità? Noi non ne siamo convinti. E pensiamo che gli elementi non siano riuniti per pensare il contrario.
Per questa ragione l’MPS chiede che venga fatta chiarezze anche su questa ennesima “decisione dipartimentale” elaborata dal guardasigilli Gobbi e sostenuta, con tutta probabilità e anche questa volta, dall’intero Governo cantonale. Invitiamo inoltre tutti i lavoratori confrontati al rifiuto del rinnovo dell’autorizzazione a esercitare come agenti di sicurezza, di ricorrere legalmente contro questa decisione, magari con l’aiuto diretto, se i iscritti, dei loro sindacati di riferimento. E magari, varrebbe anche la pena di valutare la possibilità di accompagnare questa vertenza anche con una procedura di risarcimento per danni morali ed economici nei confronti dello Stato. Forse questo è l’unico linguaggio che potrebbe stuzzicare la sensibilità del rex Gobbi…
[1] Risposta del 21.10.2020 all’Interpellanza “Agenti di sicurezza privati: la polizia cantonale segue fedelmente la politica dell’illegalità promossa da Norman Gobbi”, depositata il 27.09.2020, p. 1.
[2] Risposta del 21.10.2020 all’Interpellanza “Agenti di sicurezza privati: la polizia cantonale segue fedelmente la politica dell’illegalità promossa da Norman Gobbi”, depositata il 27.09.2020, p. 1.
[3] Ibid, p. 2.