“Se me la rubi…”: il giudice Villa dovrà scusarsi ancora una volta a nome dell’amministrazione cantonale?
Abbiamo seguito tutti, con interesse ma anche con sincero sgomento, le esternazioni via sms del giudice Mauro Ermani al Procuratore generale. Al di là delle considerazioni generali che ci preoccupano e che mettono in risalto la situazione assai caotica all’interno del sistema giudiziario ticinese, ci chiediamo se non sia il caso di soffermarci, ancora una volta, sul trattamento che viene riservato alle donne all’interno della pubblica amministrazione e non solo, trattamento che si delinea con chiarezza dal tipo di linguaggio utilizzato.
Nei messaggi di Ermani emerge chiaramente una subcultura maschilista e stereotipata del ruolo delle donne. Sia la versione ufficiale, quel “trattamela bene”, sia quella ufficiosa nella quale Ermani dice “se me la rubi” riferito sempre alla collega, sono espressioni eloquenti ed esemplari dell’idea, purtroppo diffusissima, delle donne come oggetti appartenenti agli uomini, soprattutto se tra questi si istaura un rapporto professionale di potere. E che hanno come corollario tutta una serie di conseguenze: dalla necessità di “proteggerle” (siamo ancora al “sesso debole), a quello di aiutarle a far carriera, a quello di essere oggetto di “trattativa” tra uomini di potere per il loro possesso, etc.
Il fatto che il PG non si sia sentito nemmeno in dovere di rispondere per le rime (qualcosa del tipo: “è tuta proprietà”? “se la trattassimo male, saprebbe sicuramente difendersi”) è pure significativo di un certo modo di pensare.
Proprio recentemente, in occasione della triste discussione sulla commissione parlamentare di inchiesta relativa al famoso caso di molestie perpetuato per anni su più giovani da un funzionario del DSS, abbiamo avuto diritto a diversi discorsi nei quali si sosteneva che simili pratiche sono inaccettabili e da condannare. Discorsi, strumentalmente portati avanti sia da chi si opponeva alla costituzione della commissione sia da chi ne sosteneva la sua creazione.
Riteniamo che l’episodio riportato debba quindi essere ripreso e stigmatizzato; la violenza contro le donne passa anche attraverso un linguaggio maschilista e “battute” che non hanno nessun altro senso se non quello di offendere le donne e di mettere in luce la loro inferiorità.
Chiediamo quindi al Consiglio di Stato:
1. Come giudica le affermazioni del presidente del Tribunale Penale Cantonale Ermani sopra citate?
2. Non ritiene di dover prendere posizione in merito a questo tipo di linguaggio?
3. Esiste all’interno dell’amministrazione cantonale un codice di condotta che regolamenta queste questioni e che prevede sanzioni per chi non si adegua?
4. Se sì, cosa prevede? Le dichiarazioni di Ermani potrebbero rientrare tra quelle da mettere al bando?
5. Se no, come mai?
6. Non ritiene opportuno il Consiglio di stato riflettere anche su questa tematica e adottare delle linee guida per tutelare l’integrità delle donne e delle persone in generale?
Per il gruppo MPS-POP-Indipendenti
Angelica Lepori, Simona Arigoni, Matteo Pronzini