Pubblichiamo una risoluzione dell’MPS che riprende, sviluppa e sistematizza le diverse proposte che abbiamo presentato negli scorsi giorni in una prospettiva di lotta al Covid. (Red)
“Senza misure incisive saturazione dei posti tra il 5 e il 18 novembre”: è questo uno degli scenari prospettati da Paolo Merlani, responsabile delle cure intense dell’EOC. Dal canto suo, Christian Camponovo, direttore della clinica Moncucco, ha spiegato che “Oggi la situazione è tranquilla, ma se guardiamo le previsioni siamo preoccupati. Potremmo tornare alla situazione di marzo, o addirittura peggio”, fissando come termine previsionale il 22 novembre.
È quindi evidente che le diverse ipotesi di progressione del virus indicano una possibile accelerazione nelle prossime due tre settimane. Questo significa che è ora il momento di intervenire, di prendere misure che possano in qualche modo spezzare la dinamica che si sta tragicamente e pericolosamente sviluppando e che, vista la progressione, non sembra assolutamente “sotto controllo”.
La responsabilità individuale non basta!
In questo contesto la campagna che si sta sviluppando nel nostro Cantone in questi giorni, centrata quasi unicamente sul richiamo alla responsabilità individuale (limitare e scegliere le persone con le quali si hanno contatti) è nettamente al di sotto di quelle scelte necessarie per tentare di bloccare questa progressione della pandemia.
Naturalmente, di fronte alle nostre proposte (come a quelle di altri), si invocano subito obiezioni di vario genere e tali proposte vengono trattate subito come proposte inattuabili, eccessive, dannose per l’economia, etc.
Sta di fatto che proprio nella stessa direzione vanno oramai, da tempo ma ancor più nelle ultime settimane, i pareri di tutti coloro ai quali viene ufficialmente riconosciuta una competenza chiedono a gran voce l’adozione di misure che il potere politico accoglie o ha accolto solo in minima parte e con grande ritardo. Per la semplice ragione che quest’ultimo si muove in una prospettiva di reazione di fronte alla progressione del virus e non di prevenzione, proprio per evitarne la progressione. Con il netto vantaggio politico di mostrare che si “fa qualcosa”, che si “interviene”: poco importa se tali interventi, come appare evidente ormai ogni giorno, sono di fatto superati dalla progressione dei contagi e le misure da intraprendere sarebbero ormai quelle di un grado superiore.
Proprio in questa direzione vanno misure che già diversi Cantoni hanno preso e, dai resoconti giornalistici delle ultime ore, nella stessa direzione sembrano andare anche le misure previste a livello nazionale e che sono sarebbero state messe in consultazione dal governo federale presso i governi cantonali.
Le mascherine, per esempio…
Prendiamo, per esempio, la questione dell’obbligo delle mascherine.
È un appello addirittura datato 1° luglio 2020 (e presentato il 4 agosto 2020 corredato da 519 firme di medici operanti in Ticino) che chiedeva “con convinzione” al governo “di imporre l’obbligo di indossare la mascherina su mezzi pubblici, nei grandi magazzini, nei bar, nei ristoranti e nei luoghi chiusi e uffici, e se si sosta in un locale per più di 15 minuti (a maggior ragione se si hanno contatti con persone con cui non si riesce ad avere una distanza di sicurezza)” sottolineando (in luglio!) che tale obbligo “non può più essere procrastinato”.
Cosa sia successo lo sappiamo tutti. Per pure ed evidenti ragioni politiche e per non scontentare il padronato, queste misure sono state solo in minima parte adottate dal governo cantonale (spesso perché anticipato dal governo federale: come l’obbligo di portare la mascherina sui mezzi pubblici). Il governo cantonale ha dato completamente ascolto ai medici solo pochi giorni fa, anche qui pressato dalle decisioni federali. Quello che non l’MPS (anche se lo abbiamo fatto a più riprese), ma il fior fiore dei medici cantonali ha chiesto è stato realizzato con ben tre mesi di ritardo. E a farlo sono gli stessi che vengono poi a dirci che “ogni giorno conta”.
Naturalmente su questa lentezza conta anche il fatto che questi medici (è nota la sudditanza politica del corpo medico) predicano una cosa e poi, spesso, sostengono chi decide esattamente il contrario, in particolare tirandosi indietro quando vi è da confrontarsi con le scelte della classe politica. Esemplare il comportamento della “star Covid” Christian Garzoni. La sera, spot per la mascherina; il mattino, dichiarazione che quanto fa il governo in materia di uso delle mascherine va bene (ancora il 9 settembre dichiarava: “La politica ha deciso di non rendere obbligatorie le mascherine nei luoghi chiusi, ed ha avuto ragione di fare così… Eravamo preoccupati per un aumento che fortunatamente non c’è stato – ha spiegato -. Oggi le mascherine restano consigliate a tutti laddove non vi sono gli obblighi previsti dalla politica”.
L’insistenza sulle misure individuali non è d’altronde nuova nel modo in cui il capitalismo liberale affronta le crisi, di qualsiasi natura esse siano, grandi o piccole, concernenti i destini di una realtà produttiva, di un servizio o dell’intero pianeta.
Nell’attualità di questi ultimi mesi, ancora prima dello scoppio del Covid, si ricorderanno i discorsi sul fatto che a salvare il pianeta l’elemento decisivo debba essere il nostro comportamento individuale. Certo, lo sappiamo bene tutti che le nostre scelte quotidiane possono avere, in determinati limiti e aspetti, una dimensione più o meno ecologica; ma sappiamo benissimo che esse sono l’ultimi elemento di una catena e di una determinazione nello sviluppo dei fattori ambientali nel quale il ruolo fondamentale è giocato da coloro che contano, che determinano le nostre vite con le loro scelte: il padronato del mondo finanziario, industriale, del commercio. È dalle loro decisioni sovrane che si sviluppano le catene di inquinamento ambientale, con la produzione di CO2, etc. etc. Per questo il semplice, continuo e martellante richiamo alla responsabilità individuale non diventa altro che un alibi per non affrontare le responsabilità di chi svolge ruoli decisivi.
Per il COVID, fin dall’inizio, abbiamo assistito alla stessa dinamica. La centralità si è presentata, fin dall’inizio, quella di difendere prioritariamente il funzionamento dell’apparato produttivo (dell’”economia” come si ama dire) a scapito delle esigenze di sicurezza e di prevenzione della diffusione della pandemia.
In marzo abbiamo combattuto una lunga e dura battaglia, denunciando molte situazioni nelle quali le esigenze della produzione hanno avuto il sopravvento su quelle della difesa della salute dei lavoratori e delle lavoratrici e, di conseguenza, della popolazione (la cui stragrande maggioranza vive proprio una condizione di salariato). Il Ticino, in realtà e proprio perché spaventato dal fatto di essere stato il primo Cantone attaccato dalla pandemia (e per il fatto di accogliere ogni giorno decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici allora provenienti dal paese più colpito dalla pandemia) ha avuto una reazione decisa limitata a pochi giorni: decisione d’altronde immediatamente contestata dall’autorità federale e dal padronato federale (i famosi giorni nei quali abbiamo vissuto una sorta di lockdown generalizzato con qualche eccezione).
Quei temi sembrano ormai lontani e anche “lo spirito ticinese” (vantato all’epoca con orgoglio di fronte alle “ingerenze” e “incomprensioni” federali) è evaporato: il principio per cui prima viene la produzione è ormai acquisito dalla classe politica dominante.
Ma questo cambiamento di opzione politica non modifica certo la realtà: che ci dice, allora come oggi, che la maggior parte del tempo le persone la passino, dal mattino alla sera, a contatto con altre persone sui luoghi di lavoro. E che è da questi contatti quotidiani che nasce il passaggio del virus. Affermare, come amano fare gli organi federali, che statisticamente sarebbe in casa il luogo in cui si contrae il virus sembrerebbe voler additare “le mura domestiche” come responsabili della creazione di virus. In realtà tra le mura domestiche, visto che la gente la sera torna a casa, sono solo il luogo della “trasmissione” di un virus contratto in altro luogo.
Per questo si deve riflettere, con urgenza, a interventi che da un lato blocchino il propagarsi del virus, dall’altro mettano in campo misure sociali che possano in qualche modo alleviare le conseguenze sociali di tali misure.
Alla luce di queste considerazioni, ribadiamo la necessità di:
– introdurre immediatamente l’obbligo di portare la mascherina nelle scuole medie
– introdurre immediatamente l’obbligo di portare la mascherina sui luoghi di lavoro
– rinunciare ai grandi eventi pubblici (sport, mercati, sagre, etc.)
– potenziare l’ispettorato del lavoro affinché l’applicazione delle misure di prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro venga controllato
– precettare le strutture sanitarie private e il personale attivo in queste strutture, così come gli infermieri indipendenti, mettendoli a disposizione della lotta al Covid 19 (eventualmente anche attraverso il trasferimento dei pazienti non affetti da Covid ricoverati negli ospedali pubblici e in quelli privati impegnati sul fronte Covid) e nelle case per anziani
-raddoppiare il personale attivo nelle case anziani tramite un coordinamento del personale occupati presso gli aiuto domiciliari ed un utilizzo della protezione civile e militi sanitari così da garantire una vita dignitosa agli ospiti residenti e ciò in una prospettiva a medio termine (fino a giugno 2021).
– creare dei delegati alla sicurezza e alla prevenzione sui luoghi di lavoro che possano decidere sulle misure di prevenzione e sicurezza adottate sui luoghi di lavoro. Laddove esistono tale ruolo può essere demandato alle commissioni del personale.
– ripristinare le modalità facilitate per il lavoro ridotto introdotte la scorsa primavera – ripristinare le modalità facilitate per il lavoro ridotto introdotte la scorsa primavera ma garantendo il 100% del salario versato alle lavoratrici e ai lavoratori, la differenza sia assunta dal cantone tramite un’imposta di solidarietà sugli alti redditi e patrimoni
– introdurre misure di sostegno per garantire un reddito minimo netto cantonale di almeno 4’000 franchi mensili
– accogliere le domande di tutti coloro che chiedono di svolgere la propria attività attraverso il telelavoro
– costituire un fondo cantonale di 100 milioni di franchi che possa intervenire, in collegamento con altre misure previste a livello federale, a sostenere quelle attività (in particolare indipendenti) che a causa della recrudescenza della pandemia dovessero continuare ad essere in difficoltà o fossero oggetto di limitazioni di attività
– introdurre una moratoria – per tutta la durata dell’emergenza Covid-19 – su qualsiasi licenziamento economico, su qualsiasi sfratto dovuto a canoni di locazione non pagati, su qualsiasi sospensione delle prestazioni sanitarie dovute al mancato pagamento dei contributi e su qualsiasi procedimento giudiziario
– introdurre un’imposta di solidarietà contro la crisi aumentando le aliquote fiscali per i redditi superiori ai 100’000 franchi, per le sostanze superiori a 1 milione di franchi e sugli utili delle persone giuridiche.
Queste misure sono in parte applicabili da subito a livello cantonale; altre devono essere richieste dal Cantone con forza all’autorità federale e, se non accolte, devono essere in qualche forma (e sfruttando tutte gli spazi offerti dalla gestione federalistica della crisi) per comunque metterle in atto, così come hanno fatto e stanno facendo altri Cantoni.
Appare poi evidente che qualora misure di questo tipo non fossero introdotte con urgenza, la prospettiva che si apre è quella di un nuovo lookdown, unico strumento per mettere un freno al dilagare della pandemia e al collasso delle strutture sanitarie. In questo caso l’MPS ribadisce la proposta, già avanzata nei giorni scorsi, di legare questa decisione al periodo delle vacanze dei morti (durante i quali le scuole sono già chiuse per una settimana). La prospettiva potrebbe essere quella di una chiusura di tutte le attività non necessarie per due-tre settimane a partire dall’inizio delle vacanze dei morti nelle scuole.
Bellinzona, 24 ottobre 2020