È la conclusione alla quale siamo giunti dopo avere assistito, increduli, alle due recenti tornate di decisioni durante le quali (mettendo a parte decisioni già prese da altri – il Consiglio federale – o ormai scontate perché avrebbero dovuto essere prese settimane fa – le mascherine) non si è deciso proprio nulla, se non qualche misura cosmetica (il passaggio dagli assembramenti massimi di 15 a 5). L’ultima (quella domenicale è stata paradossale proprio per la contraddizione tra l’eccezionalità delle modalità – la domenica – e la pochezza dei contenuti). I maligni hanno commentato che il governo, visto che ha visto aumentare cospicuamente il proprio salario, vuole mostrare che lavora sodo…anche di domenica!
Eppure, non smettono di ripeterci (membri del governo, medico cantonale, responsabili medici dell’EOC, etc.) che hanno imparato, che la crisi della scorsa primavera ha insegnato loro a evitare errori, ad affrontare in modo diverso le cose, etc. etc.
Noi dobbiamo oggi constatare che si continua nella stessa logica della scorsa primavera, in una variante peggiorata, nella quale gli imperativi categorici di quella che viene chiamata “economia” sembrano avere a tutti i costi la meglio sulla protezione della salute dei cittadini e delle cittadine.
Così, ad esempio, in questi primi giorni ricomincia il calvario delle case per anziani. Dopo le conferenze stampa, le dichiarazioni, il disprezzo per chi aveva segnalato (nella fase pandemica della scorsa primavera) l’ecatombe nelle case per anziani, ecco che ora ci ritroviamo daccapo.
Come nella scorsa primavera, la metà dei morti riguardano le case per anziani. È evidente che sarebbero necessarie una riformulazione e una centralizzazione delle disposizioni sulle case per anziani. A meno di non pensare, come ha dichiarato il medico cantonale ancora nei giorni scorsi, che l’evoluzione della pandemia nelle case per anziani sia una questione di “destino” (in primavera, sempre secondo il medico cantonale, si era trattato di “sfortuna”).
Non ci soffermiamo qui sulla sceneggiata alla quale ci ha sottoposto in queste settimane il ministro Bertoli sull’obbligo delle mascherine alla scuola media: sarebbe come sparare sulla croce-verde e, visti i tempi che corrono, non è proprio il caso. Diciamo solo che cominciamo a pensare che a lui queste figuracce piacciano!
In realtà il continuo e martellante richiamo alla responsabilità individuale non diventa altro che un alibi per non affrontare le responsabilità di chi svolge ruoli decisivi. Sarebbe colpa nostra, delle nostre scelte individuali se il virus si è diffuso: una logica che vuole nascondere la mancanza di decisioni collettive e d’insieme che, non prese o prese con grave ritardo (come l’obbligo della mascherina), hanno in parte vanificato i comportamenti virtuosi individuali.
La popolazione comincia davvero a essere stufa di questa deresponsabilizzazione da parte dello Stato nei confronti della salute pubblica: è perfettamente inutile dire che sono vietati assembramenti con più di 5 persone se poi, per andare al lavoro, devo ammassarmi sui mezzi pubblici con ben più di 5 persone, se sui luoghi di lavoro non sono obbligatorie le mascherine e se perfino nell’amministrazione cantonale ci si ostina ancora a negare il diritto al telelavoro, non si garantisce la rotazione del personale e si organizzano riunioni in presenza con 10/20 dipendenti; è quindi assolutamente comprensibile che i giovani fatichino a capire certe disposizioni quando nei corridoi delle scuole, nelle mense e sui mezzi pubblici sono ammassati come sardine…
E quel, che è peggio, questa logica, oltre a essere inutile per combattere l’epidemia, porta a colpevolizzare chi si ammala…
Ma ormai è chiaro le misure adottate fino ad ora a livello federale e cantonale si muovono in una chiara e semplice logica: quella di difendere l’apparato produttivo, di nuocere il meno possibile agli affari, anche se questo dovesse costare il sacrificio di vite umane. Anche dal punto di vista economico le scelte federali (così come quelle cantonali) sviluppano una logica tesa a sacrificare i settori più deboli dal punto di vista economico e produttivo, quei settori non legati alla grande industria, alla grande distribuzione e commercio, alle grandi imprese finanziarie. La decisione di non chiudere ristoranti bar e piccoli negozi alla lunga porterà alla loro chiusura visto che comunque la clientela diminuisce senza però che questi potranno contare sul sostegno di misure economiche importanti.
Unica nota “positiva” la decisione di principio di “precettare” il personale e le strutture sanitarie e metterle a disposizione nella lotta al COVID 19, rivendicazione che trovate anche nella interpellanza. Vedremo se, effettivamente, questa dichiarazione di principio sarà seguita da fatti concreti (le precisazioni di De Rosa non sembrano molto convincenti in questa direzione).
Anche se questo avrà inevitabilmente un impatto sugli altri pazienti, come ha dichiarato di recente anche Christian Garzoni, creare letti Covid vuol dire toglierne ad altri settori e ad altri malati, rimandare cure non urgenti, oltre a mettere continuamente sotto pressione il personale sanitario già fortemente provato che avrebbe meritato e meriterebbe un trattamento diverso da quello che gli è stato riservato in questi mesi.
Deludente (per non dir di peggio) quanto previsto sul piano economico. Il ministro Vitta, oltre alla consueta preghiera sulla responsabilità individuale, non è andato oltre a promettere il sostegno del Cantone al futuro decreto del Consiglio federale sui cosiddetti “casi di rigore”, per aiutare situazioni di aziende particolari in settori particolarmente colpiti. Si tratta, come ha già affermato il consigliere federale Parmelin negli scorsi giorni, di casi particolari e gli importi di cui si parla porterebbero briciole al Ticino. In sostanza le dichiarazioni di Vitta sul sostegno cantonale all’economia restano, come finora, solo parole.
La nostra interpellanza (1) procede su due binari.
Il primo è quello della richiesta, di fatto, di un altro lockdown (anche se più limitato rispetto a marzo – le scuole rimarrebbero aperte)
Il secondo è quello di una serie di misure sociali che permetterebbero di rispondere alle conseguenze materiali e sociali di questa decisione.
Questo secondo aspetto, da noi come in altri paesi nei quali ha suscitato e suscita proteste, diventa centrale.
Il consenso dei cittadini e delle cittadine sulle misure, di cui vaneggia sistematicamente nei suoi interventi il consigliere Gobbi, non si ottiene con le prediche pretesche: ma varando misure materiali e sociali che permettano alle persone (salariati, indipendenti, piccoli imprenditori che vivono sistematicamente sul filo del rasoio) di aderire alle misure sanitarie sapendo che non finiranno nella miseria.
Senza questa dimensione fondamentale, nemmeno le misuricchie proposte dal governo, serviranno a qualcosa, né a suscitare rispetto e condivisione.
La nostra impressione, per finire, è che il governo abbia la speranza che a togliere le castagne dal fuoco sia il Consiglio federale che, magari già la settimana prossima, potrebbe tornare ad adottare misure straordinarie. Anche in questo senso può essere interpretata, al di là della motivazione ufficiale legata al coordinamento sanitario, la richiesta del nostro governo al Consiglio Federale di decretare la situazione straordinaria.
Insomma, possiamo proprio dire che si è imparato poco o nulla e si dimostra, ancora una volta, poco coraggio diventando colpevoli di un disastro sanitario economico e sociale annunciato.
*intervento in Gran Consiglio il 9 novembre 2020