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L’MPS ha più volte denunciato la grave responsabilità politica del governo ticinese nel voler far passare la salute pubblica, come bene collettivo, dopo gli interessi economici del padronato ticinese. E ha rivendicato quale misura fondamentale per salvaguardare la nostra salute quella di imporre un nuovo lockdown, un nuovo confinamento generalizzato per tutte le persone che non svolgono un’attività reputata come essenziale. (

Il Governo agisce invece come se fossimo confrontati alla prima ondata pandemica, come se l’esperienza di marzo non fosse mai avvenuta. Eppure, la situazione è per certi verso peggiore: aumento più marcato dei contagi, ospedali che ormai saranno sovraccarichi in pochissimi giorni (è matematico), ospiti e personale delle case per anziani che continuano è essere fra le prime vittime del covid-19 ma le porte di questi istituti continuano a essere aperte), nessun limite alle attività economiche (se non riducendo quelle dei settori marginali come la ristorazione e l’alberghiero).

In questo senso, il guardasigilli Norman Gobbi ha affermato tranquillamente, durante la conferenza stampa del Governo di domenica scorsa, che «si tratta di evitare questo tipo di chiusure soprattutto quando ci stiamo per avvicinare a un periodo che è importante per le cifre d’affari dei nostri commerci, quindi per dei posti di lavoro del nostro territorio, per delle ricadute ma anche per poter fare quegli acquisti per i nostri cari» [1]. Più chiaro di così. Questa prostrazione totale davanti agli interessi delle imprese è nascosta invocando incessantemente la responsabilità individuale, il comportamento del singolo. Che questa linea politica sia altamente ridicola ma profondamente pericolosa, lo hanno capito quasi tutti e tutte in questo cantone.

La sua assurdità risulta particolarmente evidente a livello del mondo del lavoro, dove si sta creando un pericoloso circolo vizioso, probabilmente fondamentale nell’impedire la rottura dell’aumento dei contagi e, dunque, nel riportare la pandemia entro dei parametri di bassa pericolosità e, forse, al suo sradicamento. Se la responsabilità individuale può arrivare solo fino a un certo punto, la responsabilità imprenditoriale è invece strutturalmente incapace di impedire il diffondersi della pandemia perché il padrone dell’impresa persegue un unico obiettivo: guadagnare. E questo obiettivo fa evidentemente a pugni con quello di salvaguardare la salute pubblica. Spieghiamoci.

In diversi casi, l’applicazione sistematica di misure come il rispetto della distanza sociale, l’uso delle mascherine, il fatto di disinfettare le mani e di sanificare costantemente le postazioni di lavoro non può essere realizzata senza entrare in contraddizione con una serie di processi produttivi, limitando perciò la realizzazione di merci e servizi, quindi, in ultima analisi, l’ottenimento del profitto previsto. E ai problemi di natura tecnica, si somma il fatto che queste misure sono considerate, sempre da diverse imprese, come un costo che va incidere sul margine di profitto e, per questo, sono state progressivamente abbandonate oppure semplicemente scaricate sui lavoratori.  Chi vive, per esempio, sui cantieri ormai nota concretamente questo processo.

Continuare a mantenere aperti i cantieri – ma lo stesso discorso può essere applicato ovunque – significa molto semplicemente favorire il non rispetto da parte delle aziende delle limitate misure di protezione della salute e contribuisce a diffondere il virus. Da un lato l’impresa deve proseguire con le lavorazioni, per incassare e per rispettare i termini di consegna; perciò esercita una pressione crescente sui propri lavoratori affinché non rispettino il regime di quarantena, forzandoli a non sottoporsi ai tamponi anche in presenza dei sintomi Covid. In parallelo, molte imprese trasmettono il messaggio che in caso di 10 giorni di quarantena – 14 giorni per i frontalieri – il salario non verrà pagato ai dipendenti, nonostante la presenza degli ammortizzatori sociali del caso (perdita di guadagno per quarantena). Nei casi più estremi, ma in aumento, il padrone lascia chiaramente intendere che un’assenza dovuta alla quarantena potrà comportare il licenziamento successivo del lavoratore.

Questo insieme di pressioni/minacce porta addirittura i lavoratori a nascondere, a evitare qualsiasi intervento per preservare il proprio stato di salute, ciò che evidentemente espone al contagio anche i famigliari e gli altri colleghi di lavoro. Lasciare la libertà d’azione alle imprese è una scelta miope, grave e destinata ad alimentare il circolo vizioso della pandemia. Infatti, i contagi all’interno dei posti di lavoro, come nei nuclei famigliari e dunque nell’intera società, andranno inevitabilmente ad aumentare. Già oggi osserviamo imprese che hanno il 10% della loro forza-lavoro in quarantena oppure in malattia per aver contratto il virus. Ma questa percentuale andrà crescendo in maniera consistente e costante nelle prossime settimane. La maggior parte del padronato non capisce questa semplice dinamica. Come non capisce neppure che la mancata chiusura immediata di tutte le attività produttive e commerciali, pubbliche e private, non essenziali, genererà dei costi ancora più elevati che dovranno assumere in massima parte, poiché le difficoltà nel gestire una produzione, “azzoppata” da una forza lavoro ripetutamente ridotta di numero dalla malattia, non potranno essere scaricate sugli ammortizzatori sociali (in primo luogo il lavoro ridotto). Senza contare l’altra variabile di peso che non mancherà di incidere ulteriormente, ossia le difficoltà nell’approvvigionamento di materie di base per garantire la produzione. Tra marzo e aprile, la decisione del blocco delle attività produttive non considerate come essenziali ha, di fatto, permesso a diverse imprese di uscire indenni dall’apice della prima ondata pandemica. Non sembrano aver imparato molto da questa esperienza, neppure quando di mezzo ci sono i loro interessi diretti…

Visto che non è possibile contare sulla responsabilità delle imprese, è tanto più necessario imporre politicamente il blocco rapido di tutte le attività produttive e commerciali, pubbliche e private, non essenziali. Perché come diceva bene Norman Gobbi, «in qualsiasi cosa può succedere qualche errore, come in qualsiasi azione umana, perché l’essere umano è di per sé fallace»[2]. I padroni sono i più “fallaci” di tutti perché antepongono il profitto a qualsiasi interesse collettivo…

*sindacalista

[1]https://www.youtube.com/watch?v=Z0h1qluZcfk&feature=youtu.be&fbclid=IwAR3Cd46_hCiaFaRhx8wRMf_KkX2eRJh1fehXd9l8zbzTbeqaY3KGJhiiSd8

[2] Conferenza stampa del Consiglio di stato del canton Ticino, 8.11.2020, https://www.youtube.com/watch?v=Z0h1qluZcfk&feature=youtu.be&fbclid=IwAR3Cd46_hCiaFaRhx8wRMf_KkX2eRJh1fehXd9l8zbzTbeqaY3KGJhiiSd8

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