Domande dopo il voto negli Usa. C’è un futuro per il trumpismo? Che cosa rappresenta Biden? E cosa accadrà a sinistra?
Il popolo americano ha deposto il pericoloso incendiario Trump. È la buona notizia che giunge dall’America e che ha fatto tirare un sospiro di sollievo a milioni di persone in tutto il mondo.
Le elezioni presidenziali si sono svolte in un paese attraversato da una crisi multipla che non ha precedenti: la crisi sanitaria che ha già fatto 240 mila, forse 300 mila vittime; la crisi economica con decine di milioni di persone che hanno perso il lavoro e 54 milioni di persone che soffrono di denutrizione; la crisi ambientale con gli enormi incendi e i fortissimi uragani che hanno causato distruzione e morte; infine la crisi, anzi la piaga razziale e le brutalità poliziesche che hanno portato allo sviluppo del grande movimento sociale e politico del Black Lives Matter.
In un paese profondamento diviso il rigetto di Trump e delle sue politiche è stato forte e combattuto.
Ma le buone notizie potrebbero forse finire qui. Non è un caso che Bernie Sanders abbia espresso le sue congratulazioni non al neoeletto ma “a tutti quelli che hanno lavorato duramente perché questo giorno storico diventasse possibile” invitando poi a sviluppare l’organizzazione di base per un governo che lavori per tutti e non per pochi e per “un paese costruito sulla giustizia e non sull’avidità e sull’intolleranza”.
L’onda blu prevista dai sondaggi, cioè la grande avanzata del partito democratico non c’è stata; i repubblicani nel voto per il Congresso hanno tenuto ed in alcuni posti si sono anche rafforzati: il partito democratico detiene la maggioranza alla Camera dei rappresentanti, ma ha perso 4 seggi; il Senato poi, probabilmente, resterà nelle mani dei repubblicani (ad oggi c’è parità, 48 a 48, e saranno due elezioni suppletive in Georgia a decidere).
Joe Biden e Kamala Harris hanno vinto le elezioni con il record assoluto di suffragi 76 milioni e mezzo (10 milioni in più rispetto alla Clinton nel 2016), frutto di una partecipazione altissima (70%) e hanno distanziato Trump di oltre 4 milioni di voti, ma quest’ultimo ha ottenuto un alto numero di consensi, 71 milioni e mezzo milioni di voti, ben 8 milioni in più rispetto di quelli di 4 anni fa.
E’ la conferma dell’estrema polarizzazione del paese e dello scontro politico sociale ed anche razziale in atto. Il blocco Afro-Americano ha votato massicciamente per Biden ed ha permesso la vittoria, se pure di misura, del candidato democratico negli Stati in bilico, come il Michigan, Pennsylvanie e Georgia garantendogli la maggioranza degli eletti nel Collegio elettorale Presidenziale, l’organismo che poi effettivamente elegge il Presidente.
Nel contesto di questa fortissima polarizzazione le candidature del Green Party, portatore di un programma ecosocialista, che nelle elezioni del 2016 aveva ottenuto 1,1% pur non avendo potuto presentarsi in tutti gli stati, sono state schiacciate dal voto utile per cacciare Trump.
C’è un futuro per il trumpismo?
Trump ha invece ottenuto la maggioranza dei voti nell’elettorato bianco (il suo blocco dominante), ma ha anche accresciuto, rispetto a 4 anni fa, la percentuale di voti tra i neri e tra i latino americani (sic..) e ha avuto il sostegno di milioni di persone che prima non si erano recate al voto.
Trump, l’incendiario, il razzista, il suprematista bianco, il misogino, il responsabile della tragedia sanitaria, colui che nega il disastro climatico, che ha diviso, distruggendole, tante famiglie di immigrati latino americani, vede il suo consenso confermato ed accresciuto!
Per questo il futuro resta molto incerto; Trump alla fine, quasi sicuramente dovrà andarsene, ma il trumpismo con le sue politiche e la sua ideologia resterà ben presente perché è ancorato nel suprematismo bianco e nelle contraddizioni profonde della società americana. Queste fanno parte delle tendenze reazionarie, autoritarie e fasciste presenti in molti paesi del mondo, espressione di una fase di crisi e declino del capitalismo.
“La destra suprematista bianca, sempre più radicalizzata, vuole l’uomo forte che istituisca “l’ordine pubblico” per mantenere i Neri e i Latino Americani “al loro posto”. Considera le manifestazioni del Black Lives Matter come “sommosse antiamericane” scrivono i compagni americani Malik Miah e Barry Sheppard.
Non può stupire quindi che, avendo Trump costruito nei mesi precedenti una forte campagna di delegittimazione delle elezioni temendo una sua sconfitta, oggi milioni di americani credano che il risultato delle elezioni sia stato falsato e che Trump, vittima di una frode, abbia il diritto di restare alla Casa Bianca. Questo stravolgimento della realtà facilita la sua battaglia legale e politica per restare al potere; battaglia sostenuta dai maggiorenti del partito repubblicano.
Un sistema antidemocratico
In numerose sedi è stato sottolineato quanto il sistema elettorale americano sia fasullo ed antidemocratico; nelle ultime 8 elezioni presidenziali, per 7 volte i democratici hanno prevalso sui repubblicani nel voto popolare, ma in due casi nel 2000 e nel 2016 il famigerato Collegio elettorale (i 538 Grandi elettori espressi dagli stati) ha dato la Presidenza al candidato perdente del partito repubblicano, un partito che sembra aver preso gusto a governare il paese senza avere la maggioranza dei voti. Nel 2016 Hilary Clinton ebbe 3 milioni di voti in più di Trump, ma questo fu eletto perché deteneva la maggioranza degli eletti del Collegio elettorale. Questo sistema è stato pensato dai Padri fondatori per impedire che i lavoratori e i contadini potessero mai avere il controllo politico del paese che doveva rimanere nelle mani dei proprietari terrieri e dei capitalisti. La Camera, creata per dare una maggiore rappresentanza politica popolare, è però controbilanciata e controllata dal Senato, eletto invece con un meccanismo per nulla rappresentativo, che garantisce che l’insieme del Congresso rimanga strettamente nelle mani dei proprietari e dei capitalisti bianchi. Tutta la struttura istituzionale e il ruolo esclusivo dei due partiti borghesi é volta a garantire la piena continuità delle politiche della borghesia; garantisce anche che gli scontri di interesse all’interno di questa classe non producano dinamiche incontrollabili, ma si concludano col classico compromesso del “business as usual”.
Nel 2000 il democratico Al Gore aveva vinto le elezioni popolari con oltre 500.000 voti, ma la Corte Suprema respinse la sua richiesta di totale riconteggio del contestato voto in Florida attribuendo la Presidenza al repubblicano George Bush con il voto di 5 contro 4! Al Gore, sotto la pressione del partito democratico, chinò il capo ed accettò questa decisione per “evitare disordini civili”, cioè per evitare che l’impianto costituzionale antidemocratico del potere borghese potesse essere messo in discussione dalla mobilitazione sociale.
Quanto sta avvenendo oggi è solo in parte simile, perché il voto popolare complessivo nazionale ed anche quello nei singoli stati è del tutto a favore di Biden. E’ probabile che il duro scontro legale ed istituzionale in corso si accompagni, come nel passato ad una trattativa tra i due partiti per definire un compromesso ai vari livelli, ma si resta, per ora, in una situazione di sospensione perché Trump ha mostrato più volte di operare in modo imprevedibile e fuori dei giochi tradizionali.
Che cosa rappresenta Biden
Il neoeletto Biden rappresenta la posizione liberista e centrista del partito democratico; per due mandati vicepresidente sotto la presidenza di Obama è l’uomo che l’establishment del partito ha imposto nelle primarie per mettere fuori gioco Bernie Sanders e il suo “programma socialista”.
Biden è esaltato dai leaders liberisti italiani ed europei che vedono in lui l’affidabile e tranquillo rappresentante borghese che dovrebbe rimediare ai danni compiuti da Trump, restaurando la “normale” gestione capitalista. Il nuovo Presidente, se da una parte, ha condotto giustamente la campagna elettorale denunciando i disastri di Trump sul piano sanitario, dall’altra ha lasciato volutamente ai margini i temi sociali che, se pure solo in parte, erano stati assunti nel programma del partito. Si è infatti sempre opposto al “Medicare for all”, cioè alla sanità per tutti e al “Green New deal” ed ha preso le distanze dall’ala progressista del partito e dalle sue 4 donne, esponenti del Congresso ( The Squad, la squadra ) che hanno, prima vinto le primarie interne, e poi battuto gli avversari repubblicani riconfermandosi alla Camera dei rappresentanti.
Non stupisce che i giornalisti italiani insieme ai vari esponenti del centro sinistra abbiano subito evidenziato che il desiderio di Biden sarebbe quello di varare un esecutivo moderato, cercando il rapporto con i repubblicani disponibili a soluzioni di compromesso e che sottolineino, quasi compiaciuti, che la mancata conquista democratica del Senato possa costituire una buona scusa per tacitare le istanze della sinistra del partito.
Le sinistre e il futuro
Nel partito democratico sono già cominciate le rese dei conti interne tra le diverse correnti per gli insuccessi subiti nelle elezioni e si moltiplicano gli attacchi alla sinistra le/i cui candidate/i sono uscite assai bene dal voto tanto da spingere la giovane leader della sinistra, Alexandria Ocasio-Ortez, a gridare forte in una intervista a La Repubblica: “Caro Joe, noi progressisti non siamo il nemico” affermando poi: “Credo che il punto più importante sia che non siamo più in caduta libera verso l’inferno. Ma saremo in grado di riprenderci? Sappiamo che il razzismo è un problema ed evitare la discussione su questo non ci aiuterà a risolvere le questioni elettorali” ed ancora “…Gli ultimi due anni sono stati alquanto infelici. A livello esterno abbiamo vinto, ma a livello interno il clima è stato estremamente ostile nei riguardi di qualsiasi cosa fosse vagamente progressista” La Repubblica del 10 novembre
Di qui l’appello del grande saggista Noam Chomsky ultranovantenne: “Biden ascolti anche la sinistra. Milioni di attivisti, in parte legati a Sanders, lo hanno spinto a mettere a punto buoni programmi. Non bisogna mollare” aggiungendo poi “Non m’interessa chi è Joe Biden: ma che cosa farà. Oggi è schiacciato fra due forze: l’establishment del partito, i clintoniani, come li chiamo io, che poco differiscono dai repubblicani moderati. E gli attivisti che hanno galvanizzato la base spingendola a votare per lui. Qui li definiscono sinistra radicale, siamo fra i pochi paesi dove la parola “socialista” è maledetta. Ma in realtà sono dei semplici socialdemocatici”. La Repubblica 8 novembre 2020.
Alcune forze di sinistra e molti militanti di base della campagna si chiedono, se Biden, al di là delle sue politiche del passato e del suo istinto conservatore sarà o potrà essere costretto a rispondere alle emergenze obiettive della pandemia, della crisi economica e del contrasto razziale e se, per esempio, di fronte a una eventuale decisione della Corte suprema di rigettare quel poco che resta del programma sanitario di Obama, di dichiarare l’emergenza nazionale sanitaria e di prendere le misure conseguenti. Si chiedono cioè se la drammaticità della crisi, sociale, occupazionale, sanitaria, delle abitazioni, possa spingere la nuova amministrazione ad uscire dal neoliberismo per evitare la catastrofe sociale ed aprire la strada a un nuovo New deal, come molti hanno sperato, lottando contro Trump.
Sembra difficile pensare che Biden possa ascoltare l’appello di Chomsky e rispondere a queste attese sociali, anche se questa sarebbe la strada non solo per rispondere alle richieste legittime di chi l’ha eletto, ma anche alle obiettive necessità imposte dalle crisi in atto. Un nuovo New Deal è assai improbabile e la ricerca del compromesso tra i due partiti e tra le diverse componenti economiche borghesi presenti sarà la dominante della prossima fase politica. Solo grandi mobilitazioni di massa e una forte effervescenza sociale potranno permettere di portare a casa qualche obiettivo sociale importante.
Il partito democratico ha sempre usato le istanze delle forze della sinistra per conquistare consensi e voti, salvo poi perseguire nelle sue politiche liberiste tradizionali e mettersi al riparo dai grandi movimenti di massa come quello del Black Lives Matter, che non sono di suo gradimento.
Per non parlare poi della politica estera. Scrivono ancora Malik e Sheppard. “La politica estera è un ambito nel quale ci sono poche differenze tra Trump e Biden. La politica pro-imperialista di Trump è una continuazione delle amministrazioni democratiche e repubblicane precedenti. I democratici sono pro-Israele e sostengono lo spostamento a Gerusalemme dell’ambasciata degli USA decisa da Trump, la guerra della dinastia saudita contro la sua popolazione e lo Yemen; così anche gli attacchi dei droni nella regione. Anche di fronte alla Cina Biden è egualmente ostile. Lo stile può cambiare. Ma è quasi tutto. I legami con gli alleati europei possono migliorare, ma la politica estera imperialista fondamentale resterà la stessa. Salvo che prenderà un tono più duro con la Russia”.
In ogni caso non ci sarà la normalizzazione tranquilla auspicata dai nostri esponenti politici europei, ma si apre per gli Stati Uniti un periodo di crisi con tensioni, a partire da quella razziale, molto forti, e con scontri anche molto duri e la pericolosa minaccia dei gruppi armati del suprematismo bianco.
Nella battaglia politica non devono essere in campo solo i due partiti ufficiali con le loro istituzioni classiste e i loro potenti strumenti economici e materiali, ma anche quelle forze e quei movimenti che si sono prodotti negli ultimi anni e che hanno dato voce e credibilità alla lotta contro il razzismo, per i diritti e la giustizia sociale.
Anche perché la partita è del tutto aperta tanto è vero che l’editoriale (inserire link) della Rivista “Against the Current” sostenuta dall’organizzazione Solidarity si conclude così:
“Senza la rivitalizzazione del movimento dei lavoratori e una politica basata sui reali interessi del popolo lavoratore, le false promesse offerte dal suprematismo bianco e dalla reazione nativista ritorneranno rafforzate. Gli scorsi quattro anni di Trump devono essere intesi non come un brutto sogno, ma come un avvertimento”.
In questo quadro l’ipotesi che fanno le/i compagne/i americani è che probabilmente Biden gestirà una presidenza che potrebbe essere chiamata di “social-liberalismo, cioè politiche fondamentalmente neoliberali favorevoli alle imprese, con dei programmi su larga scala per fare fronte alla catastrofe immediata. “La concretizzazione della sua promessa di condurre un’azione contro il Covid, l’economia, il cambiamento climatico, il razzismo sistemico dipenderà dal movimento sociale e sindacale; la sinistra dovrà condurre delle lunghe e dure battaglie per ottenere delle riforme e costruire un movimento in favore di cambiamenti più fondamentali”.
*Sinistra Anticapitalista