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Lo scorso 9 ottobre, l’edilizia ticinese ha presentato il suo ennesimo tributo in morti. Che sia sui cantieri, nelle fabbriche, sulle strade, in qualsiasi posto di lavoro, i padroni spiegano sempre in due modi le morti e i gravi incidenti che colpiscono ritmicamente coloro che sono chiamati a vendere la loro forza lavoro: la disgrazia sotto forma di fatalità, oppure l’errore umano che nasconde la negligenza individuale o il mancato rispetto delle “norme di sicurezza”.

Quasi mai, i media, ovviamente sospinti dalle organizzazioni padronali, parlano della causa principale che sottintende, spesso in maniera diretta, a volte indirettamente, alla stragrande maggioranza degli incidenti sui posti di lavoro, indipendentemente dalla loro gravità. Ci riferiamo, concretamente, all’organizzazione delle attività produttive mercantili, sempre più dominata da un innalzamento crescente dei ritmi e della flessibilità, necessario ad accrescere il tasso di produttività del lavoro, garanzia primaria di un tasso di sfruttamento portatore di profitti senza i quali qualsiasi attività capitalista non ha alcun senso. Anche nel caso dell’ultimo evento mortale si è fatto di tutto per nascondere questa realtà, assolutamente evidente nel mondo dell’edilizia.

Per la Società Svizzera Impresari Costruttori (SSIC) la situazione sta migliorando…

In merito al decesso del muratore 52enne, La Regione del 10 ottobre scorso riportava che «Su quanto avvenuto ieri, Galli [Mauro] non si sbilancia: sarà l’inchiesta a chiarire cosa sia successo e determinare le responsabilità. Il presidente SSIC [e presidente della ditta Galli Costruzioni SA] sottolinea che il trend degli incidenti gravi sui cantieri è in diminuzione da diversi anni a questa parte». Si tratta di una semplice menzogna. E a dirlo sono i dati della SUVA. Per quanto riguardo le morti sui cantieri svizzeri, la tendenza decennale (2009-2018) è in crescita. Non in maniera marcata, ma sicuramente si può escludere che siamo confrontati con un qualsivoglia movimento al ribasso.

Se si accorpano i decessi professionali avvenuti nel settore delle costruzioni di edifici (codice NOGA 41) e dell’ingegneria civile (codice NOGA 42), l’andamento è altalenante ma la tendenza è chiaramente rivolta alla crescita. Il grafico che riportiamo a lato non lascia spazio a smentite. Lo stesso andamento è confermato se l’analisi dei dati è rapportata separatamente ai due settori citati. Insomma, da qualsiasi angolazione si voglia osservare il problema, nulla e nessuno può affermare, senza mentire, che il numero dei decessi sui cantieri elvetici stia conoscendo una diminuzione.

E la situazione è ancora peggio se si prendono in considerazioni i dati relativi agli “incidenti gravi”. Per la Suva rientrano in questa categoria gli incidenti che comportano almeno 90 giorni indennizzati o rendite d’invalidità, come anche i casi di decesso. La situazione su questo fronte è ancora peggiore. La crescita degli incidenti gravi professionali è in forte aumento anche a livello di valori assoluti. Nel 2009, gli incidenti gravi, registrati a seguito di annuncio alla SUVA, avevano raggiunto i 998 casi. Nel 2018 il numero è lievitato a 1’237 unità. Una crescita pari al 24%, ben superiore alla progressione del numero dei lavoratori a tempo pieno stimato dalla Suva, pari al 10,7% sul periodo 2009-2018. Nel 2009 si contava 1 incidente grave ogni 97,58 lavoratori a tempo pieno. Nel 2018, il rapporto è peggiorato: 1 incidente grave ogni 87,15 lavoratori a tempo pieno[1]. In Ticino, se la tendenza degli incidenti gravi è al ribasso, un dato deve preoccupare. Nel 2010, si registrava – sempre nel settore delle costruzioni di edifici e nell’ingegneria civile – 1 incidente grave ogni 56,22 posti a tempo pieno. Nel 2019, il rapporto era di 1 a 58,17[2]. In sostanza una stabilità sull’arco di 10 anni.

A dover interrogare è soprattutto il confronto fra il rapporto nazionale e quello ticinese. Nel nostro cantone gli incidenti gravi colpiscono un numero maggiore di lavoratori, la differenza con la media svizzera è notevole. Il rischio di subire un incidente grave su un cantiere ticinese è molto più elevato.  

In generale, l’edilizia elvetica rimane, con ampi distacchi, il settore produttivo più rischioso fisicamente dell’intera economia elvetica, dove per i lavoratori è più facile morire o subire gravi incidenti invalidanti. Dal 2000 al 2019, in Svizzera sono morti 256 muratori per incidenti professionali sui cantieri, ossia una media di 13,5 decessi all’anno. Nello stesso periodo, i morti registrati sui cantieri ticinesi sono stati 16, per una media annua di quasi un morto all’anno (0,84), contro una media annua per cantone di 0,51 decessi[3]. Anche i dati concernenti gli infortuni professionali con versamento d’indennità giornaliere in Svizzera non conoscono nessun miglioramento. Nel 2009 questi erano, sempre per i due settori edili, 8’828 unità, salite a 9’038 nel 2018. In media, sul periodo 2009-2018, i casi sono stati 9’143.

Le sparate del presidente della SSIC ticinese non sono evidentemente dettate da ignoranza, ma riflettono la volontà di nascondere un problema grave che solo marginalmente rinvia alla questione del rafforzamento delle misure di sicurezza sui cantieri. Questo aspetto, mai come oggi, è infatti subordinato all’innalzamento dei ritmi di lavoro, al superamento continuo di nuovi limiti nel campo della produttività del lavoro. In altri termini, mai come in questa fase storica, la sicurezza, la vita dei lavoratori edili, sono una variabile secondaria rispetto alla ricerca del massimo profitto.

La salute dei lavoratori edili sacrificata sull’altare della produttività padronale

Gli impresari edili non smettono d’invocare gli sforzi immani, e i grandi costi monetari che ne derivano, compiuti per rafforzare la sicurezza sui cantieri. Mauro Galli affermava in questo senso che «la sicurezza sui cantieri dev’essere un caposaldo. La SSIC è attenta a questo tema e propone sia una formazione specifica per chi frequenta il nostro Centro professionale di Gordola, sia aggiornamenti per chi già è impiegato nel settore»[4].

Facciamo finta di dimenticare, almeno per un momento, lo stato di arretratezza profondo in cui versa la legislazione svizzera in materia di protezione della salute e di norme legali nel campo della sicurezza sui posti di lavoro. Un qualsiasi confronto con i paesi industrializzati collocherebbe il nostro nel girone dei “dannati”, in una condizione tipica di un paese in via di sviluppo. Anche il migliore sistema di sicurezza del lavoro non serve a nulla o risultata fortemente depotenziato se subordinato agli imperativi della ricerca della massima produttività del lavoro.

Il discorso è molto semplice se rapportato alla sua dimensione immediatamente concreta. Se l’organizzazione della produzione sui cantieri è sempre più dominata da un furibondo aumento dei ritmi, dell’intensità del lavoro, da termini di consegna sempre più stretti e da una diminuzione degli operai attivi, questa condizione d’insieme non può che entrare in conflitto, in contraddizione con qualsiasi sistema di sicurezza della salute della forza-lavoro. In breve, l’obiettivo padronale di innalzare vertiginosamente la produttività del lavoro si scontra inevitabilmente con un abbassamento conseguente del rispetto delle già scarse norme di sicurezza. Se il lavoratore deve lavorare sempre più velocemente e se questo lavoro è realizzato con un numero più ridotto di persone, in un cantiere in cui la superficie di lavoro diventa sempre più ristretta perché usata come magazzino a cielo aperto[5], è oggettivamente impossibile sperare che allo stesso tempo siano rispettate le regole elementari della sicurezza. Sotto la minaccia di essere licenziato, il lavoratore è automaticamente portato ad assumere un maggior rischio d’infortunio grave o mortale. In questo contesto, l’esistenza di regole di sicurezza, severe o meno, diventa un fattore non decisivo. Se queste regole non possono essere applicate perché sacrificate sull’altare dei profitti, le campagne pubblicitarie, gli slogan padronali sull’importanza della sicurezza sono un misero tentativo di nascondere la responsabilità diretta e assoluta degli impresari nella stragrande maggioranza degli incidenti sui posti di lavoro, in particolare sui cantieri.

Da un recente sondaggio nazionale realizzato dal sindacato Unia[6], il quale ha coinvolto 12’000 operai edili, è emerso chiaramente come la salute, la sicurezza sul posto di lavoro e la qualità dell’attività svolta siano minacciate dalla pressione crescente sui termini di consegna e dall’aumento dei ritmi di lavoro. Secondo il sondaggio «il 78% degli intervistati (…) conferma che negli ultimi anni la pressione dei tempi di consegna è aumentata. Per il 73% degli intervistati, la crescente pressione dei tempi di consegna è fonte di maggiore stress. Ne risentono la salute (55%), la qualità del lavoro (52%) e la sicurezza sul lavoro (51%). Sono questi secondo gli intervistati gli effetti più negativi della crescente pressione dei tempi di consegna». Il sondaggio ha interrogato nello specifico anche i capi cantieri, i quali sono stati lapidari e altrettanto chiari:I piani ci vengono comunicati troppo tardi, sono incompleti e cambiano continuamente. I progetti sono sempre più ambiziosi, mentre le squadre sui cantieri sempre più ridotte. Siamo costantemente sotto stress”. (…) Per il 61% [dei capi-cantiere] è chiaro che la sicurezza sul lavoro risente della pressione dei tempi di consegna”.

Se all’elemento termini di consegna sempre più serrati, aggiungiamo due altre semplice serie di dati, diventa facile capire perché gli incidenti gravi nell’edilizia aumentano in termini assoluti, come anche la tendenza dei decessi sui cantieri. I dati in questione sono l’evoluzione della cifra d’affari nel settore principale dell’edilizia e l’evoluzione dell’indice dei lavoratori a tempo pieno, sempre nel settore dell’edilizia principale (NOGA 41 e 42)[7].

Il grafico che segue è assolutamente intellegibile: l’esplosione della cifra d’affari, quindi della produzione nell’edilizia principale, è stata realizzata letteralmente sulle spalle di una forza-lavoro in continua e forte diminuzione. Se rispetto al 1990, la cifra d’affari è cresciuta del 20,3%, sempre nello stesso periodo la forza-lavoro edile è diminuita del 51%! Se nel 1990 la cifra d’affari pro-capite era di 103’396 Fr., la stessa è esplosa, nel 2019, a 253’565 Fr., pari a una crescita del 145%! Il discorso storico padronale sull’impossibilità di ridurre a zero i rischi d’incidenti gravi e di decessi sui cantieri a causa di un mestiere congenitamente pericoloso, scricchiola pesantemente davanti a questi dati.

Un duro scossone lo subisce anche il discorso dell’impegno profuso dagli impresari edili nel favorire, rafforzare la formazione sulla sicurezza e nell’implementare nuove misure per garantirla. Il problema centrale è che questi obiettivi produttivi raggiunti con un personale in palese sotto-dotazione entrano in contraddizione con la possibilità di garantire la sicurezza dei lavoratori.

L’aumento degli incidenti gravi e la tendenza alla crescita dei morti in cantiere sono ampiamente imputabili a un padronato preoccupato solo di aumentare la produzione, la produttività e i ritmi di lavoro, abbattendo i costi quasi esclusivamente attraverso la diminuzione del personale e, quindi, degli operai per cantiere. Il tutto per un unico scopo: conservare o aumentare il tasso di profitto. Anche la problematica della sicurezza sui cantieri – come in tutti i posti di lavoro – non può prescindere da un deciso contenimento dalla ricerca del profitto, attraverso la riconquista da parte dei lavoratori di un potere decisionale rispetto al rapporto tra ritmi di produzione e applicazione reale delle misure di sicurezza, con un diritto legale alla cessazione dell’attività qualora queste misure venissero a mancare, instaurando parallelamente il divieto di licenziare le maestranze che ne facessero ricorso. Senza dimenticare la necessità di aumentare esponenzialmente il numero degli ispettori del lavoro incaricati, fra le altre cose, di vigilare in maniera ferrea sull’applicazione di norme di sicurezza che andrebbero decisamente rafforzate e sviluppate.

Invece la “Legge” permette alle imprese di scaricare qualsiasi responsabilità sui lavoratori…

Un aspetto sconosciuto all’opinione pubblica rinvia alla totale impunità garantita alle imprese edili e ai loro proprietari quando si verificano gravi incidenti e decessi sui cantieri. Una legislazione e, soprattutto, una giurisprudenza scandalosamente classiste escludono sistematicamente il datore di lavoro da qualsiasi responsabilità, diretta e indiretta, in materia di incidenti sui cantieri. Sostanzialmente quando si verificano questi avvenimenti, a finire nel mirino strabico della giustizia sono i capi-cantieri, i capi-squadra o chi fa le veci del responsabile operativo sul cantiere. La base legale per procedere in questo senso è il “famigerato” articolo 229 “Violazione delle regole dell’arte edilizia” CPS. Questo pontifica che «chiunque, dirigendo od eseguendo una costruzione o una demolizione, trascura intenzionalmente le regole riconosciute dell’arte e mette con ciò in pericolo la vita o l’integrità delle persone, è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria. Con la pena detentiva è cumulata una pena pecuniaria». La giurisprudenza ha modellato nel tempo il concetto di fondo di questo articolo, raffinando l’esclusione praticamente totale delle imprese dagli incidenti sui cantieri. Infatti, per l’ordinamento elvetico i “dirigenti e gli esecutori” sono diventati esclusivamente i capi-cantieri e i capi-squadra. Sono gli unici responsabili penali quando avvengono gli incidenti gravi sui cantieri.

Il cinismo di classe della giurisprudenza giunge a considerare queste figure professionali come coloro che “detengono del potere assoluto” sui cantieri, quindi che avrebbero anche la piena facoltà di bloccare l’attività se le condizioni di sicurezza non sono riunite. È palese come questo orientamento faccia tabula rasa del rapporto di subordinazione esistente nei rapporti di lavoro capitalisti. Più concretamente, un capo-cantiere o un capo-squadra non comandano nulla davanti alla volontà del padrone di subordinare il rispetto delle norme di sicurezza agli imperativi della produzione, della realizzazione dei profitti. Qualsiasi capo-cantiere sa in maniera pertinente che uno degli obiettivi degli impresari di subappaltare i lavoratori di casseratura, per esempio, è quello di garantire la massima velocità e quindi un’economia di tempo, ciò che riduce al minimo il rispetto della sicurezza in cantiere. In linea teorica il capo-cantiere può imporre, almeno una volta, il rispetto delle regole. Al secondo tentativo si vedrebbe recapitare la lettera di licenziamento. Allo stesso modo, il capo-cantiere sa benissimo che il mancato rispetto dei termini di consegna sempre più stretti comporta il suo probabile licenziamento, ragione per la quale sacrifica sempre più la sicurezza in cantiere a favore del primato della produzione.

Non si tratta evidentemente di sollevare da qualsiasi responsabilità i capi-cantiere, ma considerarli integralmente responsabili della sicurezza sul posto di lavoro in un contesto dove la libertà padronale è totale, dove il profitto viene prima di tutto; significa semplicemente tollerare l’aumento degli incidenti gravi e delle morti sui cantieri perché tanto le imprese non saranno mai chiamate a pagare il prezzo del loro disinteresse per la vita e la salute dei lavoratori. Bisogna garantire che la produzione avvenga nelle migliori condizioni per garantire il margine di profitto in un contesto dove la concorrenza ha ormati rotto qualsiasi argine.

Chi scrive è confrontato regolarmente a processi penali nei confronti di capi-cantieri e di capi-squadra, scaricati oltretutto dai loro padroni, i quali spesso esercitano pressioni bestiali affinché i loro dipendenti accettino senza reagire le sentenze della “giustizia”, negando loro qualsiasi sostegno legale, facendo loro capire che la conservazione del posto di lavoro passa dall’accettazione della condanna. E, spesso, il prezzo pagato è devastante. Infatti, è successo che il capo-squadra condannato sia stato anche coinvolto fisicamente nell’incidente. La condanna penale implica ovviamente una decurtazione molto pesante delle indennità d’infortunio e delle eventuali rendite d’invalidità…

La conservazione di questo ordinamento legale che eregge dei veri propri muraglioni a difesa delle imprese, è rafforzato e riprodotto da procuratori pubblici compiacenti, i quali non manifestano il minimo interesse nel tentare di modificare una giurisprudenza manifestamente iniqua. La spiegazione è semplice: questi casi non richiedono molto lavoro e si arriva velocemente a una condanna. Così il carniere dei casi chiusi e vincenti è assicurato. Per buona pace della giustizia di classe…

* sindacalista


[1] Tutti i dati sono tratti dalle statistiche pubblicate dalla Suva, in particolare dalle Séries chronologiques des accidents par branche (NOGA 2008), LAA.

[2] Secondo i dati fornitici dalla Suva, nel 2010 in Ticino si sono verificati 128 incidenti gravi su un totale di 7’197 lavoratori impiegati a tempo pieno. Nel 2019, gli incidenti gravi ammontavano a 117 per 6’807 lavoratori a tempo pieno.

[3] SUVA, Cas de décès et maladies professionnels dans la branche du bâtiment (NOGA 41 et 42). Fonte : UDM, résultats de l’exploitation de l’assurance de tous les assureurs LAA.

[4] LaRegione, 10.10.2020.

[5] Oggi i cantieri ticinesi sono trasformati in veri e propri centri di stoccaggio di tutto il materiale necessario alle varie fasi della lavorazione: tondini di acciaio, doka, casseri, ponteggi, materiale per l’isolazione, componenti idrauliche, ecc., sono dispersi anche sulla superficie dove è eretto l’edificio, intralciando seriamente il movimento fluido dei muratori e quindi la sicurezza nella loro azione produttiva. Si arriva al punto che i casseri, i quali possono pesare anche alcune centinaia di quintali, non sono più impilati orizzontalmente uno sull’altro in un apposito spazio al di fuori dal centro dell’attività ma addirittura impilati, appoggiati verticalmente alle pareti in costruzioni, aumentando fortemente la loro instabilità e quindi il rischio che possano cadere sulle maestranze in azione. La ragione di questa pericolosa trasformazione del cantiere in un magazzino è cielo aperto rimanda ovviamente alla possibilità di ridurre i costi: di trasporto (con un viaggio rifornisco il cantiere di tutto il materiale necessario, per esempio di tondini d’acciaio), di affitto di magazzini (sostituiti con i “magazzini in cantiere” appunto). Lo spazio e il tempo sono denaro…

[6] https://www.unia.ch/it/mondo-del-lavoro/da-a-z/edilizia/pressione-dei-tempi-di-consegna-nelledilizia

[7] I dati sono tratti dai rapporti annuali della SSIC e da quelli forniti dall’Ufficio federale di statistica.

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