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Nelle ultime settimane si è dibattuto se aprire o meno gli impianti sciistici, permettere l’accesso alle seconde case, con quale modalità svolgere il pranzo natalizio e il veglione di Capodanno. Discussione che fa da corollario agli ultimi provvedimenti governativi per i quali tutto era più importante, ad esempio, della scuola e della sua riapertura in sicurezza, richiesta oggi da diversi soggetti, incuranti del fatto che nessun provvedimento strutturale di fondo è stato apportato per un rientro sicuro. Grazie a una ricerca di Alessandro Ferretti sui dati del contagio nelle scuole piemontesi, s’apprende che esso tra chi lavora nelle scuole è più alto di quello registrato nella popolazione in generale. La didattica a distanza (Dad) ha contribuito a ridurre il contagio fra i lavoratori del comparto scuola, tuttavia non è pensabile che sia questa la soluzione permanente e duratura. Inoltre, la Dad ha aspetti poco educativi in senso lato e “grevi” per il fruitore e l’insegnante produttore il quale non ha più un orario definito, e può capitare che preso da esuberanza di prestazione lavori dal mattino alla sera. Contribuisce così a creare una nuova condizione didattica alla lunga stressante, come segnalano gruppi di studenti torinesi che denunciano l’intensificazione del ritmo istruttivo lungo tutta la giornata (e in alcuni casi interrogazioni “fuori orario” prima di cena), l’aumento dei carichi di lavoro (compiti, verifiche continue e non pianificate), lo stress psico-fisico derivante dalle troppe ore trascorse davanti al pc.
Tutto questo “parlare” si è svolto parallelamente al procedere implacabile dell’epidemia e alla conseguente crisi economica, sociale e relazionale indotta e aggravata dalla “seconda ondata”. Si tratta di numeri “feroci”: da noi per Covid si muore di più che in altre nazioni, scrive Marco Imarisio sul Corriere della Sera dell’11 dicembre. Dietro i numeri elevati di decessi giornalieri ci sono ritardi contingenti nelle decisioni e carenze sanitarie, compresa la medicina di base, che hanno origini lontane: 35 miliardi di tagli operati in questo settore. Rapportando la cifra dei decessi alla popolazione (numero di deceduti per milione di abitanti) si scopre che in Europa l’Italia è al secondo posto con 1.022 vittime, primo il Belgio (1.516), poi Spagna, Regno Unito, Germania. E non solo. Se si guarda all’indice di letalità su base mondiale si scopre che il Giappone registra quasi 13 decessi ogni mille contagiati, seguito dall’Italia con 11.
Nel suo rapporto annuale il Censis descrive una società in affanno: circa 600 mila disoccupati in più che si aggiungono ai due milioni già impoveriti nella prima ondata, precipitati in condizioni di disagio economico. 7 milioni e mezzo di famiglie registrano un peggioramento delle condizioni di vita negli ultimi mesi, seicentomila i nuclei familiari che hanno richiesto il reddito di emergenza, 6 milioni e mezzo i lavoratori costretti a ricorre alla cassa integrazione. 5 milioni di lavoratori “scomparsi” dal conteggio dei lavoratori: precari in nero, addetti nel settore dei servizi e non coperti da un contratto nazionale, da un posto di lavoro a tempo indeterminato o, perlomeno, certificabile. Dall’altra parte si mantengono e crescono le diseguaglianze: 40 miliardari si sono ulteriormente arricchiti riferisce La Stampa del 5 dicembre. Appartengono a quel milione e mezzo di persone che possiedono il 34% della ricchezza. Una situazione generale non facile, paragonata dal Censis a una “ruota quadrata” che non avanza nel senso che non lascia campo neanche a prospettive migliori: il 74% del campione teme l’ignoto; il 45% ritiene che usciremo dalla pandemia peggio di prima; solo il 20% prevede che le condizioni future saranno migliori. Tutti o quasi (90%) sono consapevoli dell’aumento delle diseguaglianze.

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