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La notizia di un probabile ridimensionamento della programmazione di Rete Due ha suscitato una reazione inaspettata, che apre la possibilità di un reale dibattito collettivo sulla cultura e – più in generale – sulla qualità del nostro servizio pubblico radiotelevisivo. A prendere posizione per primi, dopo il commento di Ivo Silvestro su “la Regione” che ha aperto le danze, uomini e donne di cultura, che hanno sottolineato la perdita che per il panorama culturale e mediatico ticinese rappresenterebbe un ridimensionamento della rete. Ma la vera sorpresa è stata la risposta di ascoltatrici e ascoltatori che hanno aderito in massa a una petizione lanciata sul web contro lo smantellamento di Rete Due che ha raccolto quasi 9.000 firme in pochissimi giorni.  

La risposta da parte della direzione della RSI e del suo direttore è stata scomposta: in varie interviste Maurizio Canetta non ha potuto che confermare la decisione presa di trasformare Rete Due in un’emittente prevalentemente musicale ed ha attaccato intellettuali e firmatari della petizione sul web sostenendo che quella della riduzione dello spazio dedicato alla cultura sarebbe in realtà una “fake news”. Ma dare degli sprovveduti a migliaia di ascoltatrici e ascoltatori è una strategia poco lungimirante e soprattutto poco rispettosa nei confronti di coloro che sono i primi fruitori del servizio pubblico: cittadine e cittadini. Che invece hanno capito benissimo quello che sta succedendo.

La linea di difesa adottata dalla RSI, impegnata in un processo di revisione complessiva delle tre reti radio, è che la cultura continuerà ad avere uno spazio importante su altri vettori: Rete Uno e il web in particolare, con una nuova attenzione a prodotti fruibili direttamente su internet. Ma i bene informati fanno notare che per quanto riguarda il potenziamento dell’offerta digitale non ci sono per il momento che fumose petizioni di principio e poca sostanza, mentre la stessa Rete Uno vedrà un ridimensionamento del parlato in favore della musica. Non si capisce dunque bene dove la ricca offerta di approfondimento, attualità culturale e critica musicale proposta da Rete Due potrebbero andare a finire.

Ma nelle parole del direttore RSI si può leggere anche una visione della cultura e del ruolo del servizio pubblico che ci deve fare riflettere e che questa vicenda ha avuto il merito di fare emergere. Nello spiegare che la cultura troverà posto su Rete Uno, Canetta ha sottolineato come, per poter parlare al pubblico più vasto della rete generalista, bisognerà avere un approccio diverso ai temi culturali. Il giudizio qui, seppure non esplicitato fino in fondo, è chiaro: il linguaggio e i temi proposti da Rete Due sarebbero troppo “alti” e inaccessibili per l’ascoltatore comune. La direzione RSI prova così a mettersi dalla parte della “gente”, assumendo una posa anti-intellettualistica contro la “nicchia di sinistra radical-chic” (si è sentito anche questo) che la sua rete culturale rappresenterebbe. Ma così facendo veicola luoghi comuni estremamente pericolosi: il fatto che contenuti culturali (intesi in senso ampio) possano essere più complessi da digerire e necessitare di maggiore attenzione non significa che non possano essere per tutte e tutti. E il ruolo del servizio pubblico dovrebbe essere proprio quello di favorire una riflessione attenta, approfondita e intelligente sui temi di società, abituando ascoltatori e ascoltatrici alla complessità e all’approfondimento. Invece si preferisce dare alla gente quello che si pensa che la gente voglia: frizzi, lazzi, ricchi premi e cotillons, inseguendo i click su internet e i dibattiti social, mostrando scarso rispetto per l’intelligenza del pubblico. Il quale però ha dimostrato, aderendo massicciamente alla raccolta firme sul web, di non accettare questi clichés: chiunque abbia ascoltato almeno una volta Rete Due sa che temi sociali e culturali (immigrazione, lavoro, media, questioni di genere…) possono essere affrontati con semplicità, capacità divulgativa e empatia nei confronti del pubblico, adottando tra l’altro un atteggiamento cosmopolita ormai alquanto raro nel nostro Cantone. Ascoltatrici e ascoltatori che non si sentono rappresentati dalla categorizzazione riduttiva veicolata in questi giorni dalla direzione RSI: a mobilitarsi sono stati non solo vecchi parrucconi paludati e topi di biblioteca ma anche giovani, lavoratrici e lavoratori, docenti della scuola, cittadini e cittadine che difendendo Rete Due hanno posto con forza la questione della qualità del servizio pubblico radiotelevisivo