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Sempre e solo i profitti: la salute viene dopo. Non vi sono dubbi che questa seconda fase della pandemia sia peggiore della prima. E non basta certo un effetto di assuefazione per contraddire i dati sanitari e sociali.
Il tasso di contaminazione, quelli di mortalità e letalità, il numero di persone colpite e ospedalizzate, tutti questi dati hanno segnato un incremento, per durata e intensità, rispetto alla prima ondata.
Evidentemente a causare tutto questo non è stata una recrudescenza dell’aggressività del virus: anzi, dal punto di vista strettamente medico, sembrerebbe che la qualità e le possibilità di cura siano in parte migliorate.
Ma la differenza, è evidente a chi guarda le cose in modo oggettivo, sta tutta nelle decisioni dei governi (cantonale e federale) e dei rispettivi parlamenti che, a partire almeno da giugno, hanno sviluppato una logica di “ritorno alla normalità” che ha condizionato e guidato gli atteggiamenti individuali delle persone.
Non basta infatti appellarsi alla responsabilità individuale come elemento centrale di lotta alla pandemia se, poi, questa responsabilità non viene esercitata all’interno di decisioni collettive e pubbliche che ne fissino i limiti sulla base della necessità prioritaria di proteggere la salute pubblica.
È quanto abbiamo ripetuto durante i mesi estivi, attirando l’attenzione sul fatto che il quadro normativo (sanitario e sociale) fissato dai vari esecutivi preparava di fatto il ritorno di una seconda ondata devastante.
Una preoccupazione che gli addetti ai lavori avevano ribadito in modo chiaro: è del primo luglio, ad esempio, il lancio di una petizione firmata da oltre 500 medici attivi in Ticino che chiedeva al governo l’introduzione immediata e obbligatoria dell’uso della mascherina nei luoghi chiusi. Ci sono voluti più di tre mesi prima che il governo cantonale prendesse delle misure in questa direzione.
Poi è arrivato il mese di ottobre e, demuniti, abbiamo affrontato questa seconda devastante ondata dagli esiti ancora imprevedibili.
Abbiamo chiesto a più riprese, con interventi pubblici e parlamentari, la chiusura di ristoranti, negozi e altri luoghi pubblici da almeno un mese, cioè da quanto appariva chiaro che la cosiddetta seconda ondata, iniziata da ottobre, aveva ormai preso uno sviluppo che ci avrebbe portati alla situazione attuale. Lo abbiamo fatto sottoponendo, ancora il 20 novembre, una risoluzione al Parlamento cantonale. Le nostre richieste, inutile ricordarlo, sono rimaste inascoltate e il governo ha continuato su una linea di inattività i cui risultati ci hanno portati alla situazione preoccupante che abbiamo sotto gli occhi ormai da diversi giorni.
Un atteggiamento che ha potuto contare sull’irresponsabile complicità dei maggiori partiti presenti in Gran Consiglio che, tutti, si sono opposti alle proposte da noi presentate e si sono schierate con il governo.
Oggi siamo in una situazione ancora più difficile e quelle nostre rivendicazioni diventano di drammatica attualità. Paesi non certo meno attaccati alle proprie attività produttive (come la Germania) hanno fatto un passo decisivo in questa direzione assumendo misure importanti, partendo dall’idea che la protezione della salute della popolazione debba avere la preminenza su qualsiasi altra decisione. Oltre a far un calcolo di convenienza: in termini economici un intervento deciso immediato ha minori conseguenze che una serie di interventi provvisori e parziali. Sia in termini sanitari che economici.
Il numero dei morti in Ticino ha ormai raggiunto un livello più che preoccupante, sofferenze e dolore che potevano, almeno in parte, essere evitate con una politica più accorta e più decisa.
Dolore e sofferenze di cui, per sempre, i partiti di governo (e non solo quelli) porteranno una pesante responsabilità, per non avere agito quando era possibile farlo: preoccupati di non disturbare gli affari (il partito dei “nessuno vuole un nuovo lokdown”, frase pronunciata spesso anche da medici per i quali una frase del genere non ha alcun senso) e poco preoccupati della salute delle cittadine e dei cittadini di questo Cantone. u
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