Ha trattato Raul Castro di «maricon», «frocione», prima di scusarsi sulla sua pagina facebook di fronte «ai gay del mondo intero». Lui? Denis Solis Gonzales, un rapper che si autodefinisce come «un cristiano motivato dalla giustizia» e che sogna per il suo paese delle elezioni, «ma di quelle vere, non come quella farsa di elezioni rubate dai Democratici negli Stati Uniti» … Un pensiero altamente sofisticato, si sarebbe tentati di ironizzare. Ciò malgrado, il giovanotto s’è beccato otto mesi per via direttissima, colpevole di «oltraggio all’autorità».
È per protestare contro la durezza della condanna e, più in generale, per esigere la libertà d’espressione artistica e la fine delle discriminazioni di cui si sentono vittima gli artisti indipendenti, che quattordici di loro hanno iniziato uno sciopero della fame in una casa del centro dell’Avana, sulla piazza San Isidro. Esigevano anche l’apertura di un dibattito pubblico sul decreto-legge 349 che obbliga gli artisti indipendenti a registrarsi presso le autorità.
Ma, il 28 novembre, le forze speciali del Minint, il Ministero degli interni, li hanno sloggiati manu militari.
Sorpresa!
La sera stessa, a sorpresa, centinaia di persone son scese in piazza nel centro dell’Avana in una manifestazione serale spontanea culminata, in piena notte, con il ricevimento di una delegazione di una trentina di manifestanti al ministero della Cultura.
Lo spazio di discussione della prima notte s’è però subito richiuso, lasciando sempre più il campo a toni marziali e minacciosi da parte del governo. Basandosi sulla pubblicità data al movimento dalle radio anticastriste di Miami, il viceministro della Cultura Fernando Rojas per primo e, poi, lo stesso capo dello Stato Miguel Diaz Canel hanno chiuso la porta al dialogo dichiarando di non voler «trattare con dei mercenari».
Ripresa in modo assolutamente acritico dalla blogosfera campista – per la quale i nemici dei miei nemici sono amici miei e viceversa – la spiegazione delle autorità si riallaccia alla più classica retorica burocratica: la mobilitazione degli ambienti della cultura altro non sarebbe, come l’ha poi spiegato lo stesso Diaz Canel davanti ad una platea di «giovani comunisti», che «l’ultimo tentativo del trumpismo e della mafia anti-cubana […] di rovesciare la rivoluzione». Nientepopodimeno!
E quindi, da allora, come confermano le informazioni raccolte e verificate da Amnesty International e pubblicate il 15 dicembre, parte degli artisti che si son mobilitati sono diventati oggetto di una sorveglianza «di una portata spaventosa» e undici di loro sarebbero, di fatto, agli arresti domiciliari: se dovessero uscire di casa rischierebbero le manette.
Orwell sotto le palme…
L’atteggiamento delle autorità è talmente minaccioso che Erika Guevara-Rosas, direttrice regionale di Amnesty per le Americhe, non esita ad affermare che «la portata delle restrizioni imposte agli artisti e ai giornalisti indipendenti sembra uscire direttamente da un romanzo di George Orwell la cui trama si situerebbe lungo le strade bordate di palme dell’Avana».
E’, quella delle autorità, una postura che contrasta singolarmente con quella adottata da Fidel nel 1994 quando decise di scendere in strada per discutere direttamente con i manifestanti che da giorni occupavano il Malecon, il lungomare dell’Avana. Malgrado il fatto che una parte non congrua delle persone scese in strada avessero fatte proprie le considerazioni distillate dalle radio di Miami, Fidel scelse allora la discussione, non la repressione.
Le cose vanno altrimenti oggi: se allora Fidel venne a dibattere di fronte a decine di migliaia – o forse più verosimilmente, centinaia di migliaia – di persone, oggi, per determinata che sia, la reazione di alcune centinaia di persone è rapidamente e speditivamente sedata.
Mostrare i muscoli
La sproporzione è evidente e non può essere spiegata con la minaccia che farebbero pesare sulla «sopravvivenza della rivoluzione cubana» le elucubrazioni perlomeno poco differenziate di un Denis Solis e i meno di mille manifestanti di un venerdì sera all’Avana.
Si tratta invece molto chiaramente di una dimostrazione preventiva della tolleranza zero che il governo intende applicare in materia di proteste di piazza.
Infatti, la situazione economica profondamente segnata da un incremento della povertà – che non è dovuto al solo blocco statunitense ma, oltre a scelte economiche più che discutibili, anche alla riduzione brutale degli introiti di valuta forte (1) – rischia di aggravarsi e di suscitare un forte scontento tra la popolazione.
Sul fronte della produzione agricola, la situazione è disastrosa: poiché il petrolio venezuelano non arriva più in seguito al blocco statunitense, è il ritorno alla trazione animale che si è imposto nelle campagne cubane. (2) È quindi la scarsezza di prodotti elementari di prima necessità che si fa sempre più sentire, a tal punto che prestare i propri servizi per fare la coda davanti ai negozi al posto di qualcun altro è oramai diventata un’attività lucrativa come un’altra…
Inoltre, la possibilità offerta al governo dalla nuova Costituzione (3) – adottata in occasione del plebiscito del marzo del 2019 – di derogare all’applicazione delle norme sociali legali – salari, durata del tempo di lavoro – per stimolare e favorire gli investimenti stranieri sull’isola, rischia di essere utilizzata su larga scala e di provocare ulteriori miseria e scontento.
Al momento del plebiscito del 2019, il governo non aveva negato il fatto che il ricorso a tali deroghe potesse permettere di far fronte agli effetti dell’attivazione da parte degli USA dei capitoli 3 e 4 delle leggi Helms-Burton destinata a combattere chi volesse investire a Cuba. (4) C’è da scommettere che, nei mesi a venire, il gruppo dirigente non si priverà di ricorrere a tale strumento.
Ancor più deterrenti saranno gli effetti del passaggio, da questo primo gennaio, ad un sistema di moneta unica basato sull’equivalenza tra dollaro e peso cubano.
Attualmente, la moneta turistica, il CUC, basato sul corso del dollaro statunitense, vale un po’ meno di 25 CUP, i pesos cubani; con il nuovo sistema, l’aumento dei prezzi delle derrate essenziali rischia di essere tale da indurre un deterioramento particolarmente brutale delle condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione.
È contro i rischi di un’esplosione sociale sin qui inedita che il gruppo dirigente cubano -oramai lanciato in una larga impresa di restaurazione capitalista sul modello vietnamita o cinese- cerca di premunirsi mostrando i muscoli.
Con la benedizione del campo progressista…
Tutto ciò non esclude, un domani più o meno prossimo, il ricorso alle forze speciali per schiacciare la collera sociale.
Con la benedizione – quale quella che accompagnò la repressione degli operai di Berlino nel 1953, quella del popolo ungherese nel 1956, di quello ceco nel 1968, degli operai di Stettino e Gdansk nel 1970 e nel 1980 – dei campisti di mezzo mondo pronti a celebrare una «nuova vittoria del campo progressista sui complotti imperialisti» … (31 dicembre 2020)
*articolo pubblicato in contemporanea con il sito Rprojetc
1. La crisi sanitaria internazionale ha asseccato le fonti di valuta forte che sono, nell’ordine, gli introiti risultanti dall’esportazione di personale medico, il turismo ed i risparmi spediti in patria dagli emigrati cubani.
2. Vedasi P. Gilardi, Cuba: eroi del Coronavirus? Rproject, 7 luglio 2020.
3. Vedasi P. Gilardi, Cuba, così è (se ci pare), Rproject, 8 marzo 2019.
4. P. Gilardi, Cuba: eroi del coronavirus, già citato.