Pubblichiamo l’intervista che Maria Chiara Fornari ha rilasciato al quotidiano romando Le Temps sulla situazione delle molestie alla RSI. Una denuncia chiara della cultura aziendale basata sul sessismo e la sottomissione presente alla RSI. La RSI ha risposto a queste dichiarazioni negando l’evidenza, dimostrando ancora una volta di non avere nessuna intenzione di affrontare seriamente il problema. Una dimostrazione dell’importanza di continuare la battaglia e sostenere la nuova responsabile del SSM e il personale della RSI in questa lotta in difesa della propria dignità. (Red)
Maria Chiara Fornari, RSI: “Qui tutto sembra essere molto più difficile che alla RTS”
Maria Chiara Fornari è stata appena nominata responsabile della sezione ticinese del Sindacato Svizzero Massmedia (SSM). Come giornalista della Radio Televisione in lingua italiana (RSI), vuole battersi per porre fine agli abusi che colpiscono la sua azienda.
Maria Chiara Fornari è la prima donna ad essere nominata, alla fine del 2020, presidente della sezione ticinese del Sindacato Svizzero Massmedia (SSM) ed è una giornalista della RSI da più di 30 anni. Dopo le rivelazioni di Le Temps riguardanti la RTS, casi di abuso sono stati segnalati anche alla RSI. Per lei, questo dossier ha la massima importanza.
La direzione della RSI si è impegnata a prendere provvedimenti in seguito alle denunce di molestie sessuali, mobbing e bossing. A che punto siamo?
Come alla RTS, la direzione della RSI e SSM hanno raggiunto un accordo per una prima fase che consiste nell’affidare a un avvocato l’analisi delle 40 testimonianze che abbiamo raccolto. Poi, le sue conclusioni saranno trasmesse a un pool di avvocati che indagheranno su questi casi. Il nostro problema è che non abbiamo ancora raggiunto un accordo su questa seconda fase. La direzione voleva imporci un pool di avvocati prevalentemente maschile, cosa che non possiamo accettare. Alla RTS, tutto si è svolto velocemente, qui tutto sembra essere molto più difficile.
Com’è il clima per le donne alla RSI?
Alcune donne sono umiliate e denigrate professionalmente in pubblico impunemente. Le battute sessiste non vengono fatte solo nei corridoi, ma anche durante le riunioni. C’è una grave mancanza di rispetto che genera sofferenza, danneggiando il lavoro e la creatività. Se si guardano i commenti sessisti ticinesi pubblicati sull’account Instagram #SwissMediaToo, è impressionante. C’è tutta una serie di abusi che vengono tenuti segreti, il che è molto preoccupante. C’è una forte cultura dell’omertà. Una giornalista che ha osato denunciare un superiore è stata spostata in una posizione con condizioni di lavoro degradate e svantaggiose. Di solito le donne se ne vanno piuttosto che denunciare. Questo è un grande deterrente per tutte le altre.
Segno di un problema serio nella cultura aziendale?
Sì, alcune delle storie raccolte da SSM risalgono anche a 10 – 20 anni fa, il che dimostra quanto sia radicato il problema. I dirigenti che hanno commesso abusi negli ultimi vent’anni non sono mai stati fermati. I problemi di molestie e mobbing sono molto legati al bossing. La RSI è caratterizzata da una gerarchia rigida, un modus operandi autoritario e arcaico che esclude l’ascolto. C’è perfino prepotenza verso il sindacato, vengono fatti tentativi di intimidazione perché lavoriamo alla RSI.
Ora il sindacato vuole forzare il cambiamento?
La ragione per cui sono diventata presidente è che le donne del comitato SSM hanno capito che era importante seguire da vicino questa questione. Io stessa ho già dovuto far notare in passato a colleghi che non possono offendere una collega durante una riunione commentando il suo aspetto. Poi me la fanno pagare, cercando di isolarmi. Dico loro “poveri sciocchi!” e vado per la mia strada. Ma per una persona meno solida, può essere molto destabilizzante. Ho visto giovani donne arrivare alla RSI con un contratto precario e andarsene perché venivano regolarmente molestate da uomini con il doppio della loro età che godono di un’immensa credibilità professionale. Ho una figlia di 18 anni, non posso immaginare che viva questo genere di situazioni.
Prima della fine del 2020, il problema degli abusi era già stato sollevato con la direzione?
Nel 2018, non ero ancora nel comitato del sindacato, ma dopo aver parlato con i colleghi della situazione delle donne alla RSI, ho rivolto le nostre rimostranze al direttore, Maurizio Canetta. Ha risposto che avevamo a che fare con un problema “davvero fondamentale”. Ci siamo incontrati e mi ha detto che bisognava fare qualcosa, ma non è stato fatto nulla. Tutti qui lo sanno. Tutti si conoscono da decenni e si proteggono a vicenda. Viviamo in una piccola realtà provinciale, non solo nella RSI, nel Ticino in generale. Ma vogliamo vivere in linea con il nostro tempo, non solo in termini di contenuto, ma anche socialmente ed eticamente. Ottimista per natura, sono fiduciosa che con Mario Timbal, il nostro nuovo direttore, si possa presentare una nuova possibilità per il servizio pubblico.
*Intervista di André-Marie Dussault, Pubblicato su Le Temps martedì 19 gennaio 2021