Pubblichiamo la lettera aperta che Fabio Camponovo ha indirizzato, a nome del Movimento della Scuola, al ministro Bertoli e apparsa oggi sul settimanale Il Caffè. (Red)
Egregio Signor Consigliere di Stato,
fra qualche settimana sarà trascorso un anno dalla drammatica comparsa della pandemia di Covid-19. Un anno difficile per tutti, un anno di sofferenze, di disagi, di impoverimento, di lutti. Il virus ha colpito duramente le nostre esistenze, ha reciso affetti, portato alla luce fragilità emotive ed esistenziali che il consumismo aveva fin qui celato dietro la parvenza di un falso mito di progresso. È un anno che ha avuto riverberi sulla vita economica, sociale e famigliare, ma anche sulla percezione del rapporto fra natura e cultura, tra lavoro e benessere, tra diritto allo studio e diritto alla salute.
Tutti questi temi, nessuno escluso, investono il dibattito sull’educazione e sulla scuola. Fin qui ci si è concentrati soprattutto sulle misure per garantire il funzionamento di quest’ultima (per mantenere la “scuola in presenza”). Ora è tempo forse anche di chinarsi, insieme, sul senso profondo del suo sforzo in una società drammaticamente scossa dalla burrasca pandemica. È tempo anche di riconsiderare la condizione professionale dell’insegnante, che non sarà mai semplice esecutore didattico, bensì figura intellettuale che deve sapere declinare la sua indipendenza con l’assunzione di una responsabilità civile e pedagogica.
Una comunicazione infelice
Per farlo occorrerebbe inaugurare una stagione nuova di disponibilità al dialogo e al confronto, di apertura all’indispensabile contributo delle voci dei docenti, che soprattutto in questi difficili mesi hanno davvero bisogno di essere sostenuti. Hanno bisogno di un briciolo di empatia. Sono loro che lavorano al fronte, loro che si confrontano quotidianamente con i disagi delle quarantene, con le difficoltà degli allievi più fragili, con lo sforzo di lezioni “mascherate”, lezioni a distanza, piattaforme informatiche, misure e prescrizioni. Sono loro che sentono nel cuore e nella mente il peso della responsabilità educativa, loro che devono metabolizzare, insegnando, anche il dolore dei ragazzi e delle famiglie colpite dalla malattia.
Il suo Dipartimento purtroppo fatica a percepire questa realtà. Elabora direttive, rassicura, ma fatica ad essere all’ascolto dei vissuti di chi la scuola la fa. Lei stesso in numerose occasioni ha avuto una comunicazione pubblica infelice, a tratti contradditoria, mostrandosi poco attento alle richieste del mondo della scuola. Ricordiamo l’ostinazione con la quale ha argomentato a marzo contro la chiusura degli istituti (per poi chiudere le scuole su decisione federale), la pertinacia con la quale si è confrontato con giornalisti e quadri scolastici (lei non coltiva il dubbio), l’insistenza con la quale si è mostrato a lungo contrario all’obbligo della mascherina a scuola (contro ogni evidenza scientifica), la presunzione con la quale ha affermato che la scuola non è luogo di contagio (sebbene studi recenti individuino nella mobilità che essa determina una delle cause della recrudescenza della curva pandemica).
Quante frasi infelici nelle sue risposte agli interlocutori: “… di questo passo ci si troverà tutti a letto la sera con la mascherina”, “… di questa cosa qua il coinvolgimento dei docenti nei processi costitutivi delle riforme ne ho francamente piene le tasche”, “…oggi il grande problema è dato dalla mobilità delle persone piuttosto anziane,… e bisognerebbe intervenire lì” (spostando dunque il problema dei contagi, che uno studio dell’Ethz ha recentemente evidenziato in rapporto alla mobilità studentesca, sugli anziani) ecc. ecc.
Quegli spiacevoli segnali
Una cosa dovremmo imparare tutti da questa dolorosa esperienza: la prudenza nelle dichiarazioni e la cautela, anche formale, nelle affermazioni. Perché è indubbio, come insegniamo ai nostri allievi, che nella comunicazione la forma tocca la sostanza. È facile dire che i piani di prevenzione funzionano e che la situazione è sotto controllo, ma forse è inopportuno che il più alto funzionario del suo dipartimento, confrontato con i dati relativi ai contagi nelle scuole (1168 allievi e 220 docenti positivi nel primo semestre), affermi semplicemente che sono “…numero sostanzialmente irrisorio”. Un minimo di sensibilità umana avrebbe permesso di aggiungere che dietro quei numeri “irrisori” ci sono tuttavia persone, malattia, angoscia. Cerchiamo di sentirci più solidali e più disponibili nell’emergenza. È serio, se davvero volessimo avere un dialogo costruttivo, che lo stesso funzionario invii una convocazione ai rappresentanti delle organizzazioni sindacali e magistrali (allegando nuove disposizioni sulle quarantene a cui il Decs sta lavorando da mesi) solo la vigilia del giorno dell’Epifania fissando l’incontro a meno di 48 ore dall’invio?
Questi sono segnali spiacevoli, proprio nel momento in cui sarebbe necessario costruire una collaborazione fattiva, una reciproca comprensione e un impegno condiviso. La scuola ha oggi bisogno di un clima interno di solidarietà e di fiducia almeno quanto di piani di protezione!
La responsabilità di governare
Lei e il governo del quale fa parte avete mantenuto, durante la “seconda ondata” della pandemia in Ticino, un atteggiamento costantemente reattivo e mai preventivo, sordi anche ai richiami della classe medica e agli appelli delle strutture sanitarie. Il risultato è desolante: ospedali in continua situazione di stress, economia in grave difficoltà, morti che dopo i 350 conteggiati nella prima parte dell’anno ora si avvicinano a grandi passi ai 900! Il Ticino ha conosciuto, in questo tergiversare, una delle peggiori realtà pandemiche nel confronto nazionale e internazionale.
Nessuno ha la pretesa di avere ricette miracolose e sappiamo bene che la responsabilità del governare – stretti fra mille sollecitazioni, cercando di volta in volta un difficile punto d’equilibrio – è esercizio improbo. In questo lei ha tutta la nostra solidarietà. Noi siamo con lei anche nella ferma volontà che le scuole debbano fare ogni sforzo per rimanere aperte, proprio nella convinzione che l’educazione non solo sia pilastro di democrazia e di civiltà, ma anche luogo simbolico essenziale di coesione sociale e culturale.
le tre domande
Quando pensiamo alla scuola, noi pensiamo ora anche a tre emergenze alle quali occorrerebbe dare risposte:
1. La condizione di difficoltà degli allievi più fragili. Se nella didattica a distanza (come anche lei ha ammesso) essi sono stati le principali vittime della chiusura, oggi soffrono pure in questa particolare condizione di “scuola in presenza” dove le mascherine e le misure di prevenzione, il ricorso a piattaforme informatiche e l’impossibilità di una diversa prossemica ostacolano un accompagnamento pedagogico mirato. Ne fanno le spese soprattutto gli allievi di classi sociali sfavorite. Lo Stato ha il dovere di intervenire con risorse che permettano ai docenti di riferimento, senza sovraccarico orario, di proporre specifiche forme di sostegno. Ne va del principio di legge secondo il quale la scuola si prefigge “di correggere gli scompensi socio-culturali e di ridurre gli ostacoli che pregiudicano la formazione degli allievi” (LdS, art.2).
2. L’ingresso massiccio delle nuove tecnologie sta cambiando forme e modi della relazione formativa nonché il concetto stesso dell’”essere a scuola”. Non ci si può limitare a proporre corsi d’aggiornamento tecnici sull’uso didattico delle piattaforme informatiche. Occorre avviare, senza indugio, una riflessione partecipata su come le tecnologie cambino la relazione educativa e la processazione cognitiva , su come modifichino il lavoro dell’insegnante e ne mutino il profilo.
3. La crisi determinata da questa emergenza può essere utile per tornare a riflettere sui contenuti essenziali dell’insegnamento. Da troppi anni l’attenzione è rivolta soprattutto alle forme didattiche e alle strutture, al monitoraggio del sapere competenziale, mentre sul piano dell’identità pedagogica ci si è supinamente accodati alle visioni dell’Ocse. Questa è invece l’occasione per sganciarsi da logiche di mera funzionalità conoscitiva per riscoprire i valori che stanno alla base dello sviluppo intellettuale della persona. Si metta in cantiere, con il contributo delle associazioni magistrali, una riflessione sull’essenzialità dell’impegno scolastico, contrastando la visione di una scuola-servizio che nell’ambizione di assumere mandati educativi plurimi corre il rischio di una scarsa significanza culturale.
Le condizioni utili
Nell’immediato poi, anche per garantire condizioni utili al mantenimento di una didattica in presenza, perché non affrontare pubblicamente la questione della vaccinazione degli insegnanti o la possibilità di un’estensione generalizzata dei test molecolari a studenti e docenti?
*Presidente del Movimento della Scuola