Lunedi 22 febbraio, in Gran Consiglio, andrà in scena l’ennesimo goffo tentativo di limitare le
possibilità d’intervento dei parlamentari dell’MPS. Sono mesi che i partiti presenti nelle commissioni
(tutti, “destri” e “sinistri”) tentano di limitare i nostri interventi. Dal dimezzamento del tempo a
nostra disposizione per intervenire all’adozione sempre più spesso della procedura scritta (che non
permette d’intervenire), fino all’anticipo della data per la presentazione degli emendamenti. Senza
dimenticare la presenza in aula, esattamente alle nostre spalle, di poliziotti in borghese.
La proposta di modifica della legge sul funzionamento del Gran consiglio che verrà votata lunedì va
però molto più in là. Vuole introdurre un meccanismo di censura preventiva da parte dell’ufficio
presidenziale sulle interpellanze che potranno venir discusse in aula.
Ricordiamo che l’interpellanza è una domanda (che può essere articolata in più punti) che un
parlamentare sottopone al Consiglio di stato che è tenuto a rispondere in aula. Grazie a questo
strumento l’MPS è riuscito a far venire alla luce tematiche importanti: dai maltrattamenti nelle case
per anziani allo scandalo del rimborso di 300 franchi dei telefoni dei Consiglieri di stato, fino alla
strage di anziani per COVID a Sementina, per non ricordarne qui solo alcune.
Alle ultime elezioni cantonali del 2019 l’MPS si è presentato con lo slogan “l’opposizione siamo noi”.
Da anni facciamo opposizione, soli contro tutti, nelle istituzioni e nella società. Noi pensiamo che chi
governa, a livello federale, cantonale e comunale, non lo fa nell’interesse della stragrande
maggioranza della popolazione e di conseguenza ci opponiamo e facciamo proposte alternative. Lo
abbiamo fatto a livello federale quando, tutti (ma proprio tutti, anche le consigliere agli Stati che oggi
vanno in televisione a dire che no, non si può aumentare l’età AVS delle donne!) volevano aumentare
l’età AVS delle donne (Previdenza 2020); lo abbiamo fatto contro lo smantellamento degli ospedali,
contro il dumping, contro l’indegno salario minimo cantonale e contro gli aumenti dei salari dei
municipali di Bellinzona e di quelli del Consiglio di Stato. E lo faremo lanciando il referendum contro il
PSE a Lugano.
Il risultato delle ultime elezioni cantonali è stato chiaro. L’MPS, l’opposizione, è stata premiata dal
voto popolare. Siamo passati da 1 a 3 deputati, il nostro parlamentare uscente Matteo Pronzini con
oltre 13’000 voti personali è stato uno degli eletti più votati in assoluto. Questo nostro lavoro
d’opposizione parlamentare è continuato e si è intensificato con l’elezione di due combattive
compagne, Simona Arigoni e Angelica Lepori.
Per noi è chiaro: se 87 parlamentari o giù di li, ed i partiti che li rappresentano, passano il loro tempo
a riflettere come limitare i già pochi diritti dell’opposizione significa che stiamo facendo bene il
nostro lavoro. A differenza di loro, noi non siamo in Parlamento per scaldare la sedia, ricevere lauti
rimborsi, e sfruttare la nostra posizione per far affari ed aprire porte. Hanno paura ed esprimono
questa loro paura stupidamente.
Detto molto francamente, possono introdurre tutte le censure che vogliono, possono limitare i nostri
spazi d’intervento, e sicuramente uno dei prossimi passi sarà cercare di toglierci l’immunità per
quanto scriviamo nei nostri atti; ma noi continueremo ancora più determinati a svolgere il nostro
ruolo d’opposizione.
Veniamo da lontano e andremo lontano; rappresentiamo una corrente politica che sempre,
dappertutto e con coerenza ha denunciato l’oppressione, il soffocamento dei diritti democratici,
l’oppressione politica e sociale.
Veniamo da una tradizione che ha denunciato il gulag (quando tutti si giravano dall’altra parte
facendo finta di non sapere e non vedere); una tradizione che cerca di ridare dignità al termine
socialismo e che non può che detestare le caricature offerte dalle dittature a partito unico che ne
portano il nome, come quella nordcoreana o cinese, con la quale voi fate affari d’oro scaricandovi poi
la coscienza con qualche frase sul rispetto dei diritti dell’uomo inserita in qualche codicillo di sontuosi
accordi commerciali. E che detesta con uguale fermezza la ormai definitiva e consolidata deriva
social-liberale che di socialista e democratico ha ben poco.
Apparteniamo a questa solida tradizione, socialista, comunista e libertaria: pensano i rappresentanti
della casta che queste piccole bassezze ci possano intimorire? Di una cosa possono però star certi:
prima o dopo questa loro società capitalista verrà sopraffatta e si potrà, finalmente, istaurare una
società che non opprima le donne e gli uomini ed abbia rispetto per il clima e la natura. A quel
momento sarà una delle nostre principali preoccupazioni garantire, anche a coloro che hanno una
concezione così indegna della democrazia come quella che sta dimostrando i Parlamento cantonale, i
più ampi diritti democratici. Perché non vi sono dubbi che la democrazia socialista, quella che noi
difendiamo e che nulla ha a che vedere con i regimi a partito unico, è di gran lunga superiore a quel
simulacro di democrazia rappresentato dalla tradizione liberal-borghese.