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« Lungimirante » è una delle parole più abusate dalla politica e viene orma usata a sproposito spesso abbinata a un’ipocrita preoccupazione per “le generazioni future”. Lo è anche nel caso di AVS21. “Bisogna pensare alle nuove generazioni” ci dicono i parlamentari per giustificare un aumento dell’età di pensionamento delle donne a 65. Loro però alle nuove generazioni non ci hanno pensato neanche un secondo quando hanno elaborato la riforma II della fiscalità delle imprese che ha svuotato non solo le casse pubbliche ma anche quelle delle assicurazioni sociali. Da allora infatti chi possiede una partecipazione qualificata del 10% in un’azienda può versarsi parte della retribuzione in dividendi sui quali non vengono versati i contributi per AVS/AI/IPG, per l’Assicurazione disoccupazione e per gli assegni familiari. Sono milioni e milioni che mancano ogni anno a queste assicurazioni sociali e che finiscono nelle tasche di chi sta già bene. 

L’allarme l’aveva lanciato nel 2017 anche il presidente della casse di compensazione AVS. Il continuo passaggio da stipendi a dividendi ha creato infatti  ingenti lacune nel finanziamento dell’AVS. «Si tratta di una fuga dalla solidarietà», aveva sottolineato Andreas Dummermuth perché «con questo sistema all’AVS arrivano solo briciole». Lasciando che medici, avvocati,  imprenditori e chiunque abbia una SA possano scegliersi liberamente il sistema retributivo, si finirà “con l’avere una Svizzera molto ricca, ma un’AVS senza soldi”, aveva aggiunto.

 La RFFA non ha cambiato questo stato di cose, perché i dividendi rimangono sottotassati per scelta del Parlamento federale che ha deciso di fissare l’imposizione a un livello inferiore a quanto chiesto dal Consiglio federale. Aggiungiamoci anche le riforme fiscali cantonali che hanno ridotto le imposte sull’utile delle imprese, e vengono fuori un bel mucchio di milioni che invece di finire nelle assicurazioni sociali e nelle casse pubbliche rimangono nelle tasche degli azionisti e proprietari. 

Adesso per colmare queste lacune si chiede alle donne, già penalizzate nella previdenza vecchiaia e a livello salariale, di lavorare un anno di più. E siamo al terzo tentativo di scaricare sulle donne gli oneri che non versano gli azionisti, malgrado l’ultimo tentativo sia stato bocciato solo pochi anni fa. Per quanto riguarda le altre assicurazioni sociali lo “scaricabarile” è già avvenuto. Con la riforma dell’Assicurazione disoccupazione nel 2011 sono infatti state tagliate le prestazioni soprattutto ai giovani, che allora stranamente non erano “le nuove generazioni di cui preoccuparsi”, ma dei lazzaroni che approfittavano del sistema per farsi vacanze pagate dopo gli studi (come sostiene un noto imprenditore locale). Anche l’assicurazione invalidità è stata riformata per “favorire la reintroduzione nel mondo del lavoro”, ma in realtà con l’obbiettivo dichiarato di ridurre le rendit e senza tener conto della situazione reale del mondo del lavoro. 

Basta guardare la percentuale di imprenditori e liberi professionisti che conta il Parlamento federale per rendersi conto che tutti i bei discorsi sulla solidarietà fra generazioni per giustificare un’altra penalizzazione delle donne sono più spinti da interessi personali che da reale preoccupazione. Di quelli che oggi ci chiedono “solidarietà” quanti sono responsabili di quella “fuga dalla solidarietà” di cui parlava Dummermuth? Quanti hanno approfittato della possibilità di versarsi le retribuzioni in dividendi “risparmiando” sull’AVS e le altre assicurazioni sociali? Quante volte ancora l’onere fiscale dovrà essere scaricato (anche attraverso l’IVA) su tutta la popolazione per mantenere inalterati i privilegi di pochi? 

Se davvero il Parlamento federale e i partiti si preoccupassero per le nuove generazioni farebbero meglio a pensare ad un Svizzera più giusta e più solidale, invece di strumentalizzare i giovani, comprese le giovani donne che a oltre 40 anni dall’articolo costituzionale sulla parità ancora devono subire discriminazioni di ogni genere. Occorre riformare questo sistema pensionistico ingiusto e inefficace, che diminuisce le prestazioni delle lavoratrici e dei lavoratori di anno in anno.