Tempo di lettura: 2 minuti

Ci risiamo, è proprio il caso di dirlo. A Lugano, una classe politica ormai allo sbando (dalla “destra” alla “sinistra”), cerca di ricompattarsi, di mostrarsi attiva e determinata, costruendo un capro espiatorio alla propria inettitudine politica: coloro che frequentano il centro autogestito il Molino.

Era già capitato negli ultimi mesi precedenti le elezioni comunali del 2016. Le esternazioni di alcuni (a cominciare dal Municipale Bertini) avevano riproposto al centro del dibattito la “questione” Molino: come se essa fosse “il” problema fondamentale di Lugano, come si dovesse “risolvere” quello che viene considerato un problema per mettere su altri e migliori binari il futuro della città.

E oggi siamo ancora allo stesso punto di quattro anni fa. Una classe politica si presenta davanti agli elettori e alle elettrici con un bilancio sostanzialmente fallimentare: dal punto di vista finanziario, da quello sociale, economico, demografico; alcuni dei progetti che avrebbero dovuto dare nuovo smalto alla città, avviare il suo futuro, si sono rivelati disastrosi: pensiamo, ad esempio, all’aeroporto. Ma anche gli altri progetti (come quello in discussione del PSE) mostrano l’inettitudine di questa classe politica.

E allora, cosa c’è di meglio che focalizzare il dibattito sul Molino e sulle sue presunte colpe? Con la complicità di buona parte dei media (capitanati da TelekabulTicino e dal pellista CdT) ecco che il Molino diventa oggetto centrale della campagna elettorale. Sviluppo economico, progetti culturali, politica sociale, difesa dell’ambiente? Macché, i problemi di Lugano non sono legati al modo in cui risponderà a questi quesiti, ma il Molino.

E così il Municipio di Lugano, i partiti che ne fanno parte, si sfidano sul grado di vicinanza o lontananza dal Molino, da grado di simpatia o condanna che esprimono nei confronti dell’autogestione. E, naturalmente, il gioco diventa facilissimo per chi proclama che bisogna farla finita e che non è più possibile tollerare atteggiamenti e comportamenti (che mai evidentemente vengono definiti) non in linea con quella che sarebbe (ma qual è?) la cultura politica della città.

Una campagna d’ordine, cominciata con la contestazione del diritto di manifestare andato in scena la sera dell’8 marzo alla stazione di Lugano. Una provocazione ben orchestrata che ha permesso di dare avvio alla grande alla campagna contro il Molino e di farlo diventa il tema centrale del dibattito politico elettorale. Naturalmente a costoro non passa per la mente che tematizzare la questione dello sgombero del Molino è un’ulteriore dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, della propria inettitudine politica; perché lo sanno anche i paracarri che il Municipio si era impegnato da tempo (e ha avuto tutto il tempo per farlo) a cercare una soluzione