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Dopo la penosa conferenza stampa del governo cantonale in merito alla “strategia” cantonale sui test di massa, gli interrogativi si moltiplicano. Anche perché quella del governo cantonale è tutto meno che una strategia. Diciamolo chiaramente: è un tentativo di giustificare quella che resta la posizione di fondo del governo cantonale (e che lo distingue da quasi tutti gli altri governi cantonali): un’opposizione quasi di principio allo strumento dei testi di massa.
Il gruppo MPS in Gran Consiglio ha quindi deciso di cominciare a chiedere conto di questo atteggiamento per quel che riguarda le scuole presentando l’interpellanza che segue; non a caso il Corriere del Ticino faceva notare, nel commento alla conferenza stampa, come proprio il ministro Bertoli (sai che novità) si è dimostrato il più “scettico”. Per noi (e per molti altri nella scuola) non è certo una sorpresa. (Red)

L’apertura delle scuole (sacrosanta) viene spesso sbandierata come un successo senza necessariamente soffermarsi sulle condizioni nelle quali questa apertura è garantita. Il capo del Dipartimento si trincera sempre dietro frasi del tipo “a scuola le cose stanno andando bene” senza però spiegare cosa intende e come fa ad arrivare a questa conclusione.

Più volte abbiamo sottolineato come se la scuola rimane aperta è soprattutto grazie all’impegno di docenti e direzioni che, con grande senso di responsabilità, continuano a lavorare in condizioni non sempre ottimali. Il rischio di contagio è evidente, le quarantene di classe o di singoli allievi generano inevitabilmente un aumento del carico di lavoro, le incertezze che vivono famiglie e ragazzi in questo contesto di crisi si riversano anche nella scuola che sempre più deve farsi carico di compiti nuovi e impegnativi. Non è un caso infatti che recenti inchieste svolte nei cantoni romandi e della Svizzera tedesca mostrano come il corpo docente, pur condividendo la necessità di mantenere la scuola in presenza, stiano soffrendo parecchio.

Una situazione che in Ticino è aggravata dall’atteggiamento del Dipartimento che evita di coinvolgere direzioni e docenti in una discussione seria su come affrontare i problemi che si pongono imponendo soluzioni dall’alto: ultimo esempio in questo senso l’introduzione del protocollo sulle quarantene totalmente calato dall’alto e che ha suscitato diverse reazioni negative nelle scuole.

A questa situazione già complessa si aggiunge ora un ultimo tassello: quello dei test a tappeto nelle scuole. Secondo la strategia del governo dovrebbero essere sottoposti a test a tappeto quei luoghi di lavoro dove ci sono molte persone, dove la mobilità è elevata e dove, anche a causa del tipo di professione che si svolge, è difficile mantenere le distanze. Difficile capire allora come mai le scuole non rientrino in questa definizione: sono un luogo dove ci sono molte persone, persone che generalmente hanno una mobilità elevata e nelle quali non sempre le distanze possono essere garantite (sia tra ragazzi che tra ragazzi e docente, pensiamo per esempio alla scuola dell’infanzia o alla scuola elementare ma non solo). Tante è vero che in molti cantoni sono stati introdotti test di massa (anche con metodi poco invasivi come i test salivari di classe) e questo è anche l’orientamento seguito a livello internazionale. Non si capisce poi perché le scuole “normali” non vengono sottoposte a test a tappeto, mentre questo avviene per le scuole con convitto. Come se nelle scuole senza convitto gli allievi non pranzassero insieme, non utilizzassero i servizi igienici o non si frequentassero in spazi nei quali non sempre le distanze sono o possono essere garantite.

Sappiamo tutti che, complice anche la bella stagione, sempre più spesso i giovani si ritrovano in gruppo e fanno fatica a rispettare le norme di sicurezza, atteggiamento più che comprensibile, ma che inevitabilmente aumenta le possibilità di circolazione del virus e dovrebbe essere compensato da un aumento dei test di depistaggio.

Invece anche qui il Dipartimento nicchia e perde tempo.

Chiediamo quindi al Consiglio di stato

1. Non ritiene che le scuole rientrino nella categoria di quei luoghi per i quali è prevista l’introduzione di test di massa (cioè luoghi con molte persone, con alta mobilità e dove non sempre le distanze possono essere mantenute)?

2. Se sì, come mai non si è deciso di introdurre anche nelle scuole test a tappeto?

3. La strategia di test nelle aziende sembra essere stata concertata con le Associazioni di categoria (anche se queste hanno già espresso una certa insoddisfazione per le soluzioni approvate dal governo); per quale ragione la stessa cosa non è stata concertata con gli organismi scolastici (direttori delle scuole, collegi dei docenti, organizzazioni magistrali, etc.)?

4. In presenza di casi positivi in una classe, gli insegnanti della classe vengono sottoposti a tampone? Se no, come mai?

5. Sta valutando di promuovere un sondaggio nelle scuole per analizzare le condizioni di insegnamento e di salute del corpo docente alla fine di questo anno scolastico?

6. Che riflessioni si stanno facendo in merito alla riapertura delle scuole a settembre?