Tutti abbiamo preso atto delle indicazioni odierne relative ai test provenienti dalla nuove proposte del Consiglio Federale. Un passo fatto con ritardo rispetto ad altri paesi (e fondamentalmente finalizzato ad accelerare le aperture), ma che sicuramente rappresenta di per sé un aspetto positivo.
Naturalmente, non bisognava essere degli scienziati per capire da tempo che si sarebbe dovuti andari in questa direzione. Ma il governo cantonale e i tirapiedi “scientifici” che lo consigliano (e che quando hanno qualche idea giusta che, come al solito, il governo non recepisce, si limitano ad abbassare la testa e a stare zitti: è la storia di questo ultimo anno) da settimane ormai si ostinano a dire che, tutto sommato, l’estensione dei test non serve a nulla. Al massimo si possono usare, ci ripetono, quando si individua un focolaio (come è stato fatto e si sta facendo proprio in queste ore al Liceo 2 di Lugano). Per il resto, è evidente, Gobbi e compagnia continuano a pensare che i test di massa non siano strumenti fondamentali, unitamente ad altri, per contribuire ad una politica di prevenzione.
Avevamo sottoposto, più di un mese fa, una serie di domande proprio su questo tema dei test al governo attraverso un’interpellanza: la sorte ha voluto che abbia proprio risposto quasi in concomitanza (il 4 marzo) con l’annuncio della nuova strategia in materia di test preannunciata da Berset.
Non abbiamo dubbi che, come in passato, il nostro Consiglio di Stato esprimerà il proprio accordo (sostenendo che ci aveva pensato da tempo), magari anche arrivando a proclamare che le proposte del governo federale vanno proprio nella direzione auspicata.
La lettura delle risposte alle nostre domande KM_C754e-20210304163336 (ti.ch) mostra quanta confusione, ritardo e approssimazione regni in seno al governo cantonale.
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