Chi deve decidere la politica sanitaria del Cantone? Non certo il CdA dell’EOC

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L’art. 2 cpv. 1 della legge sull’EOC indica che “l’EOC provvede alla direzione e alla gestione di ospedali pubblici garantendo alla popolazione le strutture stazionarie e i servizi medici necessari”. L’art. 5 della stessa legge prevede poi che gli ospedali dell’EOC garantiscano le prestazioni “conformemente alla pianificazione ospedaliera e ai mandati di prestazione, a ogni paziente”; infine, l’art. 16 cpv. 1 indica i compiti del Consiglio di amministrazione dell’EOC: al suo consiglio di amministrazione spetta definire (lettera a) “la politica e la strategia dell’EOC”.

Nelle ultime settimane, e più ancora negli ultimi mesi, le istanze direttive e il Consiglio di amministrazione dell’EOC hanno moltiplicato le prese di posizione che annunciano investimenti, rifacimenti parziali di strutture, abbandono di altre strutture sanitarie, etc.

Si tratta, ovviamente, di decisioni che rientrano nella “strategia” dell’EOC e quindi, come tale, sono sicuramente di sua competenza.

Senonché l’impressione che sta emergendo è che l’EOC stia sviluppando la propria strategia senza rendersi conto (o senza volere tenere nella giusta considerazione) il fatto che queste decisioni, in realtà, tendono a modificare l’offerta sanitaria (in qualità e in quantità) di cui possono beneficiare i cittadini e le cittadine del Cantone.

Decidere di questo ultimo aspetto non è certo compito e diritto dell’EOC; così facendo, ci pare, l’EOC si arroga compiti e decisioni che non le competono: non spetta ad esso decidere quantità e qualità delle prestazioni ospedaliere che devono essere offerte alle cittadine e ai cittadini del Cantone.

Che nell’EOC si stia facendo strada questa idea non è d’altronde cosa nuova. A più riprese leggiamo e sentiamo dichiarazioni di eminenti membri dell’EOC (delle sue strutture dirigenti mediche e amministrative) pontificare sul ruolo che le decisioni politiche dovrebbero (o non dovrebbero) avere in ambito sanitario e dichiarare apertamente che non spetterebbe alla politica decidere di quali e di quante prestazioni sanitarie possano beneficiare le cittadine e i cittadini di questo cantone.

Le dichiarazioni, in tal senso, sono molte e alcune recenti interviste lo confermano. A titolo puramente esemplificativo, riportiamo il pensiero del dottor prof. Paolo Ferrari (grande esperto di canguri e ammiratore del modello svedese di lotta alla pandemia, nonché capo Area medica dell’EOC), che, in un’intervista apparsa sul numero di Ottobre 2020 della rivista Iride edita dalla SUPSI,  afferma: ”l’epidemia di Covid -19 ha messo in luce tutte le debolezze del sistema sanitario ticinese che, senza un unico ospedale cantonale, risulta essere troppo frammentato e non più al passo coi tempi”; e continua: “La pandemia ci ha fatto vedere da molto vicino i limiti che la moltitudine di piccoli ospedali distribuiti sul territorio comporta”; per concludere magistralmente: “I nostri parlamentari dovranno comprendere che non potrà più essere solo la politica a definire la pianificazione ospedaliera”! Sembra un Bartali della medicina per il quale “gli è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”.

Il dottor professor Ferrari non è nuovo a simili exploit. Già la scorsa primavera, in occasione della conferenza stampa tenuta dal maggior gruppo di assicuratori privati, aveva espresso opinioni simili sulla politica ospedaliera sostenendo la necessità di concentrare gli ospedali. E poche settimane fa, in una intervista televisiva, ci ha ammannito nuovamente queste sue considerazioni.

Ora, evidentemente, il problema non è quello che pensa il prof. Dottor Ferrari, ma il fatto che il suo pensiero corrisponde di fatto alla pratica dell’EOC e dei suoi dirigenti.

Abbiamo detto che le scelte concrete dell’EOC determinano indirettamente (e direttamente) la qualità e la quantità delle prestazioni. Ad esempio, chiudendo dei pronto soccorso o rinunciando al loro potenziamento di fronte ad una domanda sempre maggiore (e con i problemi che comporta), l’EOC viene meno a quanto previsto dall’art. 5 della stessa legge sull’EOC laddove, alla lettera c), è garantito a ogni paziente “in casi urgenti il diritto di essere curato nelle strutture stazionarie e ambulatoriali degli ospedali pubblici”.

In altre parole, si ha l’impressione che l’EOC, con una serie di decisioni e di atti concreti, stia attuando una politica del fatto compiuto, realizzando una strategia che non solo non condivide con le autorità politiche, ma contraddice di fatto le decisioni politiche in materia, in particolare gli orientamenti della pianificazione ospedaliera.

Quanto qui affermiamo non è certo frutto della nostra immaginazione. Basti pensare alle discussioni suscitate dalle decisioni (prese o ventilate) dall’EOC nel Mendrisiotto (maternità in primis, ma non solo) o nel Luganese (pronto soccorso ospedale italiano, ristrutturazione Civico, futuro dell’ospedale italiano): tutti temi sui quali diversi parlamentari sono intervenuti in diverse modalità e circostanze.

Né, lo diciamo perché sentiamo giungere le obiezioni, può essere considerata sufficiente l’occasione della discussione in Gran consiglio del rapporto annuale dell’EOC, nel quale le indicazioni strategiche vengono richiamate e indicate sostanzialmente per sommi capi, illustrati nelle loro finalità; ma che spesso, come abbiamo cercato di dire, non sono né coerenti, né tantomeno adeguate con le pratiche quotidiane e concrete. Vi è, a nostro modo di vedere, un problema più di fondo nei rapporti tra le decisioni politiche in materia sanitaria e la pratica degli organi dirigenti dell’EOC.

Infine, lungi da noi l’idea che una semplice decisione o una ratifica delle decisioni e delle strategie dell’EOC da parte del Gran Consiglio possano essere sufficienti per implementare quella che appare essere oggi la strategia dell’EOC, cioè una riduzione dell’offerta sanitaria pubblica e un ridimensionamento delle sue strutture.

Il Gran Consiglio, lo abbiamo visto nella discussione sull’ultima pianificazione ospedaliera, non è una garanzia contro questa politica di indebolimento della struttura pubblica e di sviluppo dell’EOC e della medicina pubblica in una logica sempre più dettata da una logica di redditività mercantile.

Ma quando la discussione si presenta a quel livello, essa offre la possibilità comunque di un dibattito pubblico che permette poi di coinvolgere la popolazione nella discussione sui bisogni sanitari attraverso varie forme di mobilitazione (dalla semplice assemblea informativa fino all’organizzazione di comitati e di manifestazioni, fino al lancio di referendum, al deposito di iniziative, etc.

A tutto questo va aggiunto un ultimo aspetto: chi dirige oggi l’EOC (pensiamo al presidente del suo consiglio di amministrazione Sanvido, onnipresente sui media, non  gode nemmeno della fiducia di un consesso come il Gran Consiglio : basti ricordare che in occasione della sua elezione a membro del CdA (avvenuta più di un anno fa) era riuscito al primo turno solo una ventina di voti sui 90 gran consiglieri (bocciato al primo turno era stato eletto al secondo, nel quale non vi era alcun minimo da raggiungere, con lo stesso pietoso risultato).

Lungi da noi l’idea di affermare che il Parlamento cantonale “rappresenti” il popolo ticinese; ma è vero che, nell’ottica liberale dominante, i maggiori dirigenti dell’EOC non hanno la fiducia del Parlamento e quindi del popolo ticinese. Ma in questi casi di tale mancanza di rappresentatività non sanno cosa farsene. E proseguono nella loro politica, dato che i loro interessi non combaciano evidentemente con gli interessi e i bisogni sanitari della popolazione di questo Cantone.        

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