La destra spagnola si impadronisce definitivamente di Madrid: una lezione per questa triste Europa
In definitiva, la politica è una faccenda di come raccontare le cose. Di “narrazioni”. E’ così dai tempi delle polis greche ed è così, a maggior ragione, in questi tempi di social e di consumo veloce di qualsiasi cosa.
Il 4 maggio si sono svolte a Madrid le elezioni della Comunidad autonoma, cioè come si chiamano le regionali da quelle parti. Contraddistinte da una campagna elettorale violenta e verbosa, in puro stile anni trenta, non sono mancate le minacce di morte per alcuni esponenti della sinistra e per le loro famiglie (con lettere anonime contenenti pallottole, stranamente filtrate ai controlli postali). Però il leit motiv di Isabel Diaz Ayuso, la presidente regionale del PP uscente (che aveva convocato elezioni anticipate, sicura del suo successo) è stato tutto il repertorio del negazionismo della destra-bene, tipo Milano-non-si-ferma e qualcosa in più.
E qui entra la narrazione come chiave di interpretazione. La destra, sia quella per bene che quella più estrema e rozza, sa benissimo che c’è una pandemia in corso e che la gente muore a botte di migliaia. Ma, a parte che muoiono soprattutto vecchi e poveracci, che molto cool non sono, il problema è come sfruttare questa apocalisse a proprio vantaggio, usando esattamente la stessa logica delle grandi imprese -che smaniano per vedersi assegnati i fondi europei- o delle case farmaceutiche che vendono i loro carissimi vaccini al miglior offerente, alla faccia del diritto alla salute di tutti. Quindi, non è il caso di interrogarsi, di spiegare, di educare. Meno di usare il senso critico o il dubbio. Si tratta di raccontare una storia ad uso e consumo proprio e del pubblico della televisione, dei social e di tutti quelli che, dalla paura, sono disposti ad ascoltare e soprattutto ad ascoltare ciò che vogliono sentirsi dire. Quindi, il paradosso: le parole d’ordine di Ayuso sono state “vogliamo la libertà” e la rivendicazione di un’identità madrilena, una specie di nazionalismo ultra locale. Come se fino a ieri la Comunidad autonoma fosse stata governata dai bolscevichi. O come se le misure contro il Covid fossero state imposte dai cinesi.
Che non è poi una così grande scoperta. Sparita la peraltro fragile egemonia culturale e mediatica -ma poi è mai esistita?- del liberal-progressismo, lo spazio per il vasto e in parte sconosciuto immaginario della destra è diventato vastissimo. In tutta Europa. In tutto il mondo. Mitologie strane, antiscientifiche, antirazionaliste e antiumaniste, astruse teorie del complotto (per coprire la realtà dei complotti veri, quelli quotidiani del potere), inni e liriche all’individualismo e alla concorrenza più sfrenati (cioè al mercato, innalzato al rango di orizzonte spirituale personale), il tutto spruzzato dai temi cari: razzismo, militanza antiabortista e misoginia, omofobia e nazionalismo oppressore. Non è casuale che la campagna elettorale di Ayuso si sia ispirata direttamente agli slogan e alle più becere espressioni dell’epoca d’oro di Trump. Evidentemente, la trappola è quella di sempre: parlare d’altro per nascondere gli interessi materiali, di classe, quelli veri. In questo caso, per permettere al ceto sociale e politico insediato nella capitale spagnola di continuare a fare affari con la sanità privata, pagare meno tasse e far dimenticare le vicende corrotte di cui è protagonista da anni.
O, per dirla tutta, far dimenticare il fatto che Madrid è il luogo, in Spagna, dove ci sono stati -e continuano ad esserci- più vittime del Covid in assoluto, dove la sanità, l’educazione e le abitazioni sono maggioritariamente in mano a società offshore e fondi d’investimento opachi e dove più di 25 anni di governo del PP hanno fatto di questa Comunidad autonoma il regno della speculazione e del malcostume politico e amministrativo.
La trappola della narrazione, comunque, ha funzionato. I risultati elettorali sono chiarissimi: il PP ha stravinto anche nei quartieri popolari, quelli “rossi”, quelli che resistettero durante la Guerra Civile e il franchismo, quelli del movimento degli “indignados” di solo qualche anno fa. Che è successo? Non è stata solo la responsabilità di una sinistra pasticciona e filo-padronale al governo, lontana dai bisogni della gente (che pure è UNA delle spiegazioni) che si ricorda dell’antifascismo solo quando gli traballa la poltrona. La realtà, purtroppo, è sempre più complessa delle spiegazioni che potrebbero piacere di più.
Probabilmente, il Covid (e le “narrazioni” che sul Covid sono state fatte, sia a parole che a fatti) hanno permesso alla coscienza di ampi settori della società un ulteriore salto nel nulla. Lo dico così in mancanza di spazio e tempo per una riflessione più compiuta. Verrà il giorno in cui le conseguenze di questi mesi -e anni- di pandemia sul piano sociale e politico/antropologico saranno più chiare. Per il momento, mi sembra plausibile pensare che il disagio diffuso (la paura, le morti, l’isolamento, una certa disgregazione del tessuto della solidarietà, la sofferenza psicologica) e il disastro economico (non occorre certo descriverne qui le conseguenze fra i ceti più deboli, ma nello Stato spagnolo esiste una situazione, da questo punto di vista, ancora più grave che in Italia) abbiano aumentato non solo la sfiducia verso i maccanismi “soliti” della rappresentanza politica, vissuti come forme acute di un’oppressione specialmente accanita e disumana in tempi come questi, ma che risultino anche amplificati i rimedi presuntamente pratici e presuntamente affidabili. La vittoria del “si salvi chi può”, insomma. Ognuno per sé.
Quando invece sarebbe assai più conveniente, anche solo in senso pratico, unire gli sforzi e la solidarietà di tutti per affrontare una crisi sanitaria, ecologica ed economica gravissima. Però è ovvio che, visti gli esempi dei capitalisti vittoriosi che sbranano le persone invece di proteggerle e che addirittura si sbranano fra di loro, primeggi l’esatto contrario. Anche perché gli unici che avrebbero avuto la possibilità di invertire queste tendenze e di porre prepotentemente sulla scena valori alternativi, cioè il movimento operaio organizzato, i movimenti popolari, una solida coscienza di classe e di specie, sono stati da tempo messi in letargo forzato. Per questo Isabel Ayuso può ringraziare pubblicamente, dopo le elezioni, gli osti e il popolo gozzovigliatore di Madrid. Pazzesco.
Due o tre considerazioni in più sulle elezioni nella capitale. Sulla composizione e sulla decomposizione della nuova e vecchia destra spagnola si potrebbe scrivere una collezione di libri. E’ ovvio però che queste elezioni segnano la fine di una fase di relativa crisi e divisione al suo interno: appare vincitore assoluto un PP “rifondato”, giovane, aggressivo, sempre più neoliberista, che raccoglie il linguaggio e i modi fascisti e che darà di che parlare in futuro. Esce un po’ spennata -anche se tutt’altro che ridimensionata- l’estrema destra di VOX (in parte anche grazie all’intensa campagna antifascista fatta da Podemos e MasMadrid nelle ultime fasi della campagna) e scompare definitivamente dalla scena la pantomima organizzata un decennio fa dalla banca spagnola, Ciudadanos. Non ottengono neppure un seggio a Madrid, che pure era stata una delle loro roccaforti elettorali in passato. E’ che “Roma non paga traditori” e, una volta realizzato il compito storico per cui erano stati creati (cioè arginare il movimento indipendentista catalano e l’estrema sinistra del movimento degli indignados), sono stati scaricati dalla classe dominante, tutto sommato più a suo agio con il vecchio cavallo di battaglia.
Il PSOE di Pedro Sanchez ottiene a Madrid il suo peggior risultato elettorale, sorpassato alla grande dalla sinistra radicale. Era ora, verrebbe da dire. Il problema è che non si tratta solo e tanto di un travaso di voti a sinistra, si tratta anche di un arretramento significativo di un pezzo di elettorato popolare: molti voti storici del PSOE sono andati a finire probabilmente -e direttamente- alla signora Ayuso. Infine, la figura più popolare di Podemos, l’arrogante, dispotico e brillante Pablo Iglesias, ex vicepresidente del governo, sceso in campo personalmente contro l’estrema destra a Madrid, vittima illustre delle minacce di morte di queste settimane, abbandona (pare) la politica e si ritira nella sua villa. Anche qui, verrebbe da dire, era ora. Ma si corre il rischio di essere settari… Al di là dei singoli personaggi, dell’antipatia che possono ispirare, del loro spirito scarsamente democratico, il problema di fondo sono le scelte di una direzione politica. Aver avuto il merito di coniare l’espressione “casta” per definire la trama delle combriccole borghesi al potere da anni nello Stato spagnolo non ha risparmiato a questa direzione il tragico destino di aver assunto qualche modo, pensiero e odore della casta. Un vero peccato.
*Sinistra Anticapitalista