Il dibattito sul clima è probabilmente il tema che si sta rivelando più deprimente nella campagna elettorale per il Bundestag [si voterà il 26 settembre]. In effetti, è a questo livello che il fossato fra ideologia e realtà si fa più profondo. Ciò che è discusso in pubblico e ciò che sarà necessario per evitare il collasso socio-ecologico appaiono così distanti a tal punto da ricordare la fase finale del “socialismo realmente esistente”, ossia quando gli apparati ossificati dello Stato e del partito si sono rivelati incapaci di cambiare rotta.
Nel caso specifico, è anche peggio, poiché la stessa sopravvivenza dell’umanità è ormai in gioco: nel “tardo capitalismo” della Repubblica federale di Germania, i Verdi subiscono pressioni in quanto “partito dei divieti”, o poiché propongono di discutere su temi come i limiti di velocità sulle autostrade, l’aumento dei prezzi del carburante o la soppressione dei voli a corto raggio. Ora, simultaneamente, la crisi climatica ha già assunto le dimensioni di una catastrofe – non solo sotto forma d’inondazioni, qui in Germania, ma anche sotto forma di un’ondata di estrema calura nel nord-est dell’America – ampiamente ignorata nei discorsi della campagna elettorale. L’Amazonia, la calotta glaciale dell’Artico, una grande parte del permafrost nel Grande Nord, ovunque plana la minaccia del superamento dei cosiddetti punti di non ritorno), mentre la Germania discute delle vetture elettriche a forte potenza e dei voli a buon mercato verso Majorca.
I fatti parlano da soli. L’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) ha pubblicato lo scorso aprile alcune previsioni secondo le quali quest’anno le emissioni mondiali di CO2 dovrebbero aumentare del 5%: una svolta rispetto allo storico marasma del 2020, nel corso del quale le emissioni di gas a effetto serra sono diminuite del 7% a causa del rallentamento economico provocato dalla pandemia. Inoltre, le emissioni di gas a effetto serra dovrebbero pure continuare allegramente ad aumentare nel 2022. Il traffico aereo mondiale, attualmente in gran parte fermo, dovrebbe pure riprendere a pieno regime l’anno prossimo, il che provocherà un nuovo aumento delle emissioni. Il capitalismo dimostra in maniera impressionante di non poter “ridurre” le emissioni mondiali, se non al prezzo di una crisi economica internazionale.
Il feticismo nel tardo capitalismo
La maniera tremenda con la quale l’ideologia capitalista tratta questa questione è illustrata da una prima pagina della rivista Spiegel, la quale mostra i due dirigenti Verdi [Annalena Baerbock e Robert Habeck] colti in una “realtà” tempestosa contro la quale i loro ideali verdi volano via. Non è la crisi climatica oggettiva che diventa la realtà determinante, ma gli obblighi assurdi dell’ordine economico del tardo capitalismo. Tuttavia, una tale naturalizzazione del dominio capitalista, abituale nella corrente economica dominante, comporta pure un granello di verità deformata, poiché il dominio nel capitalismo è di fatto senza soggetto e sembra dunque naturale.
Da una parte, i rapporti sociali capitalistici, in quanto astrazione reale, fanno apparire l’uso del capitale nella produzione di merci a livello dell’insieme della società come una costrizione materiale dalla quale dipende – sotto forma di salari e imposte – la riproduzione dell’insieme della “società del lavoro” (“Arbeitsgesellschaft”); dall’altra, si tratta precisamente di questo processo di valorizzazione attraverso il quale il mondo intero – sotto forma di risorse e di energia – è letteralmente bruciato in nome della “crescita” di valori monetari astratti.
Così, nella crisi climatica, si scontrano due tipi di vincoli: quello oggettivamente dato di ridurre le emissioni di CO2 il più rapidamente possibile e il “vincolo della crescita” del capitale per il quale l’insieme del mondo concreto non è altro che il materiale di una valorizzazione astratta.
Questo feticismo del capitale – come formulato da Robert Kurz, il critico del valore – si rivela proprio nella crisi climatica, poiché anche i capitalisti più potenti sono incapaci di evitarla, e dunque di preservare la base della loro impresa, dei loro affari. In definitiva, questo significa che la dinamica di valorizzazione del capitale continuerà il suo processo di conflagrazione globalizzata fino a quando condurrà la società a un collasso socio-ecologico e quindi si estinguerà – a meno che non intervenga una trasformazione storica guidata da un movimento di emancipazione. In questo contesto, l’emancipazione significa il superamento del feticismo sociale, nel quale le persone sono esposte alle costrizioni mortifere del capitale, per passare all’elaborazione cosciente della riproduzione sociale nel corso di una trasformazione del sistema.
Superare il capitale è dunque una necessità per la sopravvivenza. Di conseguenza, la questione del clima non è una questione relativa alla condivisione degli oneri e dei costi; non è una questione di copertura sociale del rischio. È una questione complessiva. Se ciò non avviene, la deriva verso la barbarie è inevitabile. Alcune regioni della terra diventeranno semplicemente inabitabili nel prossimo futuro. Davanti alla crisi climatica avanzata, l’obiettivo strategico delle forze progressiste non può essere che quello di tentare di sopravvivere ai futuri effetti catastrofici della crisi climatica nel contesto di una trasformazione del sistema senza rottura di civiltà.
Nella campagna elettorale attuale, gli elettori hanno solo una scelta fittizia, anche nel campo esistenziale nel senso proprio della politica climatica, fra la pulsione dell’autoritario CDU-fossile Armin Laschet [candidato alla Cancelleria della CDU-CSU] e la menzogna del capitalismo ecologista propagata dai Verdi. Il modello economico dei Verdi consiste nel coprire con una passata di ecologia l’obbligo di valorizzare il capitale, in modo che anche nella crisi climatica ormai evidente, essi possano aggrapparsi allo stesso sistema che continua ad alimentarla quotidianamente.
Il delirante sogno dell’elettromobilità
Nel Green New Deal, per esempio, le componenti infrastrutturali di un nuovo regime di accumulazione “ecologico” devono essere creati per mezzo di elevati investimenti pubblici. Nel caso dell’industria automobilistica, per esempio, ciò rinvia a pericolosi e deliranti sogni secondo i quali 50 milioni di vetture elettriche dovranno essere costruite nel bel mezzo della catastrofe climatica imminente, anche a costo di falsificare gli studi relativi alle emissioni di CO2 provocate alla loro produzione.
Invece di limitarsi a rappresentare il “correttivo sociale” di un partito Verde opportunista, le forze di sinistra e progressiste dovrebbero attaccare in maniera proattiva la percezione che la popolazione ha da lungo tempo dei cambiamenti futuri e cercare dei mezzi per orientare la trasformazione del sistema in una prospettiva di emancipazione.
La dinamica del cambiamento climatico è del tutto indifferente sia alle tattiche della campagna elettorale che alle sensibilità della classe media o agli obiettivi di vendita di VW e Daimler. Essa avanza senza essere toccata dal livello del discorso sulla questione climatica veicolato dai media di massa. Così, a sinistra si deve soprattutto dire come stanno le cose: e cioè che il progresso è possibile solo al di là del capitale, che dei cambiamenti radicale sono inevitabili e il loro corso deve essere letteralmente combattuto. Parlare in maniera chiara è necessario non perché ciò consente vantaggi nelle campagne elettorali o più voti nelle urne, ma perché si tratta di una questione di sopravvivenza della specie umana.
È solo su questa base che una politica di riforma ben studiata potrebbe avere di nuovo un senso. Non si tratterebbe più dell’abituale socialdemocrazia che agisce come un medico al capezzale del capitale, ma di esplorare mezzi concreti per orientare la trasformazione in una direzione effettivamente progressista.
* Tomasz Konicz è l’autore de Klimakiller Kapital. Wie ein Wirtschaftssystem unsere Lebensgrundlagen zerstört,Mandelbau Verlag, 2020. Questo articolo è apparso sul settimanale Der Freitag, n° 30; La traduzione è stata curata dal segretariato MPS.