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L’intera classe politica statunitense sta versando lacrime sulla condizione delle donne afgane sotto il nuovo regime talebano. Queste lacrime sono coerenti con una retorica ventennale che ha presentato il desiderio di liberare le donne afgane dal giogo talebano come una motivazione fondamentale per l’invasione dell’Afghanistan guidata dagli Stati Uniti, seconda solo all’obiettivo immediato di sradicare al-Qaeda in risposta agli attacchi dell’11 settembre.

Questo pretesto è molto ipocrita. L’insincerità è particolarmente trasparente alla luce della guerra fredda, quando gli Stati Uniti hanno sostenuto i fondamentalisti patriarcali contro un partito che cercava di portare avanti la causa delle donne afgane.

La pretesa di agire in nome delle donne afgane avrebbe potuto essere usata allo stesso modo, se non in modo più convincente, per giustificare l’occupazione sovietica decennale del loro povero paese. Dopo tutto, sotto il governo del People’s Democratic Party of Afghanistan (PDPA), sponsorizzato dai sovietici, sono stati fatti passi cruciali per cercare di emancipare le donne afgane dalle tradizionali catene patriarcali. Un rapporto pubblicato il 14 marzo 2003 dall’International Crisis Group (ICG), un organo consultivo della NATO, dettaglia queste misure attuate dal regime PDPA e il forte declino dello status delle donne che si è verificato dopo la sua caduta. Dieci anni dopo, nel 2013, ecco come riassumeva la situazione un rapporto dello stesso ICG: “Dopo aver spodestato Daoud [Mohammad Daoud Khan, presidente della Repubblica dell’Afghanistan dal 17 luglio 1973 al 27 aprile 1978] con un colpo di stato militare, il Partito Democratico del Popolo dell’Afghanistan (PDPA) promise alle donne pari diritti, istruzione obbligatoria e protezione dai matrimoni forzati, combinati e precoci. I successivi regimi PDPA hanno anche promosso l’occupazione femminile. Quando i talebani presero il potere a metà degli anni ’90, il 70% degli insegnanti, quasi la metà dei dipendenti pubblici e il 40% dei medici in Afghanistan erano donne“.

Mentre l’ICG ha criticato il regime PDPA e l’occupazione sovietica per la brutalità e l’imposizione maldestra di misure come la fine della segregazione nelle scuole, non c’è dubbio che gli anni del PDPA hanno visto uno sforzo significativo per migliorare lo status delle donne afgane nelle aree (per lo più urbane) sotto il controllo del regime. Nel frattempo, l’opposizione islamica al regime PDPA, dominata dai fondamentalisti della linea dura, era fortemente anti-donna: la differenza tra i mujaheddin degli anni ’80 e dei primi anni ’90 e i talebani è una delle sfumature adiacenti alla stessa estremità dello spettro dei colori – non una differenza qualitativa. Come nota il rapporto ICG del 2013 “I mujaheddin hanno usato il loro controllo sui campi in Pakistan per imporre la loro interpretazione idiosincratica del ruolo delle donne alla popolazione dei rifugiati, sostenuta dal regime del generale Zia-ul-Haq [1978-1988, presidente della Repubblica Islamica del Pakistan], che condivideva la loro versione puritana dell’Islam“.

Oltre al sostegno della dittatura militare pakistana, i Mujahideen erano sostenuti dal più antico e vicino alleato musulmano degli Stati Uniti, il regno saudita, noto anche per il suo spaventoso trattamento delle donne. Eppure, sono state queste forze che Washington ha scelto di sostenere nella loro lotta contro il regime PDPA e i suoi sponsor sovietici.

Zbigniew Brzezinski, consigliere di Jimmy Carter per la sicurezza nazionale dal 1977 al 1981, fece scalpore nel 1998, due anni dopo che i Talebani avevano preso il potere a Kabul, con un’intervista rilasciata a un settimanale francese (Le Nouvel Observateur, 15 gennaio 1998). Dopo essersi vantato che la sua amministrazione aveva dato all’URSS “la sua guerra del Vietnam” che “ha portato alla demoralizzazione e infine alla rottura dell’impero sovietico“, gli è stato chiesto se si è pentito “di aver favorito il fondamentalismo islamico, di aver dato armi e consigli ai futuri terroristi“. Brzezinski aveva risposto cinicamente: “Che cosa è più importante nella storia del mondo? I Talebani o il crollo dell’impero sovietico? Qualche estremista islamico o la liberazione dell’Europa centrale e la fine della guerra fredda?”.

Brzezinski, almeno, non aveva cercato di scusare i Talebani – a differenza di Zalmay Khalilzad, che, dopo aver servito nei Dipartimenti di Stato e della Difesa nelle amministrazioni Reagan e Bush Sr., divenne ambasciatore degli Stati Uniti in Iraq e poi in Afghanistan sotto George W. Bush. È stato poi nominato da Donald Trump per negoziare con iTalebani e ha svolto questo ruolo fino alla fine del ritiro americano lo scorso agosto. Il 7 ottobre 1996, Zalmay Khalilzad spiegava sul Washington Post che “Sulla base delle recenti conversazioni con gli afghani, comprese le varie fazioni talebane, e i pakistani, sono convinto che accoglierebbero con favore una ripresa delle relazioni con gli Stati Uniti. I Talebani non praticano il tipo di fondamentalismo antiamericano praticato dall’Iran – il loro fondamentalismo è più vicino al modello saudita“.

Le femministe apprezzeranno la grande preoccupazione di Zalmay Khalilzad per i diritti delle donne, che è solo un esempio del doppio standard di lunga data di Washington che castiga il fondamentalismo islamico dell’Iran mentre giustifica quello dei sauditi – anche se, rispetto a quest’ultimo, il primo è quasi un modello di democrazia e di emancipazione femminile. Ciò che ha impedito la ripresa dei rapporti che Khalilzad aveva raccomandato non era la situazione delle donne afgane. Fu solo l’aumento degli attacchi di al-Qaeda contro obiettivi statunitensi che portò Bill Clinton a ordinare un attacco missilistico sulle basi di Osama bin Laden in Afghanistan nel 1997. Il resto della storia è ben noto: l’11 settembre e i venti anni di coinvolgimento degli Stati Uniti nel paese dilaniato dalla guerra che hanno portato al risultato catastrofico a cui il mondo ha assistito in agosto.

Se lo status delle donne fosse generalmente più avanzato sotto la Repubblica Islamica dell’Afghanistan (2004-2021) sponsorizzata dagli Stati Uniti rispetto al regime PDPA è un dibattito aperto. Tuttavia, a differenza del PDPA, il regime sponsorizzato dagli Stati Uniti ha dovuto accogliere la tradizione patriarcale incarnata dagli ex alleati afgani di Washington, i mujahedin, che avevano combattuto il PDPA e l’occupazione sovietica e mantenuto il loro dominio sul nuovo regime (vedi le sezioni sui diritti delle donne e delle ragazze nei successivi rapporti annuali di Human Rights Watch sull’Afghanistan).

Inoltre, le donne nelle zone rurali, dove vive la stragrande maggioranza degli afghani, sono state le prime vittime della guerra guidata dagli Stati Uniti e hanno sopportato enormi sofferenze. L’Associazione rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (RAWA) ha denunciato questa situazione in termini forti. E nonostante i forti appelli per l’inclusione delle donne nel processo di pace che Washington ha perseguito con i Talebani sotto Barack Obama, Donald Trump e Joe Biden, la partecipazione delle donne è rimasta marginale. Le promesse di moderazione che gli Stati Uniti sostenevano di aver ottenuto dai Talebani si sono già rivelate uno vero e proprio scherzo – con un che di ridicolo se la situazione non fosse così tragica.

*Articolo pubblicato sul sito web della rivista americana Jacobin il 14 settembre 2021. Traduzione in italiano a cura del segretariato MPS