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Il Gran Consiglio ha approvato un controprogetto all’iniziativa depositata alcuni anni fa da parte della VPOD che chiedeva, in sostanza, un potenziamento degli asili nido, collegato ad un miglioramento delle condizioni di lavoro e di salario del personale impiegato in queste strutture. Sulla base delle diverse modifiche di legge contenute nel controprogetto, gli iniziativisti si sono dichiarati soddisfatti e hanno ritirato l’iniziativa.

Quello che viene proposto sia con l’iniziativa che con il controprogetto indiretto rappresenta sicuramente un passo, seppur piccolo, nella giusta direzione. Non tale, tuttavia, da superare le contraddizioni di fondo della politica attuata in materia di asili nido; né di apportare in maniera definitiva dei miglioramenti veramente di fondo nelle condizioni di lavoro del personale.

Le ragioni di fondo stanno nel fatto che in sostanza il pessimo modello di organizzazione degli asili nido sviluppatosi in questi ultimi quindi anni in Ticino viene, sulla base delle decisioni prese, sostanzialmente confermato. Infatti, possiamo affermare che sia l’iniziativa che il controprogetto sono portatori di una visione caratterizzata dalla più assoluta continuità con il modello impostosi negli ultimi decenni. Che il modello migliori un poco non vi sono dubbi; che esso sia accettabile o che porti ulteriori progressi è cosa del tutto opinabile.

In realtà, la questione di fondo è che la risposta ad un bisogno sociale come quello degli asili nido viene lasciata all’iniziativa privata che decide di fatto come, dove e quando aprire servizi di questo genere (non a caso – ha dovuto ammetterlo anche il rapporto commissionale – assistiamo a una certa distorsione territoriale nell’offerta).  Al di là della forma giuridica (anche se sappiamo che anche le forme apparentemente più sociali – come quella di vedere gestite queste strutture da associazioni “senza scopo di lucro” – possono facilmente essere aggirate) l’obiettivo di queste iniziative è conseguire un profitto (per la società o per coloro che l’hanno promossa, spesso come semplici titolari individuali).

Lo Stato si limita (si fa per dire viste le somme in ballo) a finanziare in modo cospicuo queste iniziative (facendosi garante del profitto) e ad esercitare una sorveglianza sui criteri di qualità di base.

Su questo orientamento ha pesato molto la posizione padronale (ripresa – in questo caso chiudendo gli occhi sul fatto che fossero le solite spese sociali – dai partiti borghesi) che da tempo sviluppa l’idea che una rete di asili nido rappresenti l’orientamento migliore per inserire le donne nel mercato del lavoro: e questo non certo per fini nobili (come quelli che tanta di veicolare quella bruttissima espressione quale “conciliabilità famiglia lavoro”), ma perché in un contesto di femminilizzazione delle condizioni di lavoro (lavorare in modo più precario e a salari più bassi), le donne rappresentano manodopera ideale.

Riassumendo (senza eccessiva esagerazione): iniziativa e profitti privati, finanziamento pubblico. E questo, lo ripetiamo, per un intero settore formativo ed educativo di fondamentale importanza.

Proprio quest’ultima considerazione suggerisce un secondo aspetto per noi fondamentale: lo statuto degli asili nido (diciamo dell’educazione fino ai tre anni) nell’ambito del sistema educativo cantonale (e nazionale). Non è infatti più da dimostrare che proprio in quegli anni si pongono le basi per la formazione della personalità, delle abilità, del linguaggio e di tutti gli sviluppi cognitivi fondamentali. E che quindi il contesto di socializzazione nel quale il bambino si sviluppa sono altrettanto decisivi. E pesano in modo importante le differenze sociali, culturali ed economiche nelle quali tale processo avviene.

Possiamo affermare, senza tema di smentita, che i meccanismi sono in gran parte gli stessi che caratterizzano gli stadi successivi della formazione. E quindi, non possono che riprodurre, in modo diverso certo ma comunque, le stesse differenziazioni di tipo sociale.

Per questa ragione militiamo da sempre per una cantonalizzazione degli asili nido e la loro integrazione al sistema educativo e formativo pubblico, oltre che per la loro gratuità (principio che si dovrebbe applicare e non solo proclamare, come fa qualcuno, solo nelle aule parlamentari a mo’ di pura propaganda parolaia).

Non ci pare che questa cosa sia al di fuori della portata del nostro Cantone, il quale, in passato, ha anche dimostrato di saper fare opera pionieristica rispetto ad altri Cantoni: pensiamo, per non fare che un solo esempio, alla generalizzazione di quelle che oggi vengono chiamate le scuole dell’infanzia.

Riteniamo la cantonalizzazione un passo decisivo anche per poter garantire condizioni eque a tutto il personale, per uniformare i sistemi di gestione nonché i criteri di qualità e il loro controllo, oltre agli aspetti educativi e formativi.

È nostra convinzione che la situazione attuale, pur se leggermente corretta dalle misure adottare, è foriera di profonde contraddizioni che non potranno che aumentare anche nella prospettiva, tutt’altro che remota, di una modifica delle politiche di sostegno finanziario (in particolare quelle della Confederazione che ci pare abbiano una parte rilevante nel sostegno alle misure previste).

A convincerci di questa ipotesi, tutt’altro che remota, sono almeno due elementi.

Il primo, ci è suggerito dal fatto che nella stessa sessione parlamentare che licenziava queste riforme di legge è stata approvata la proposta UDC di riportare in equilibrio i conti del Cantone entro il 2025 ricorrendo al taglio della spesa pubblica e rinunciando ad eventuali nuove entrate.

Il secondo, che ci viene dall’attualità politica nazionale, vede il personale degli asili nido della città di Ginevra in lotta poiché la decurtazione decisa dalla città dei contributi alle spese di funzionamento degli asili nido potrebbe avere conseguenze sulle loro condizioni di lavoro. Lo stesso Municipio della città di Ginevra (condotta da una alleanza rosso-verde) ha fatto apertamente pressione sui datori di lavoro degli asili nido affinché disdicano il contratto collettivo di lavoro (CCL) in modo che si possa così procedere al blocco dei meccanismi salariali (scatti d’anzianità, rincaro, orari di lavoro, pensionamento, etc.).
Uno scenario che richiama apertamente la situazione e i meccanismi approvati con la recente riforma.

Una soluzione, come detto, che riproduce il sistema e che permette anche a quello attuale cantonale, inaccettabile dal nostro punto di vista, di riprodursi, seppur con qualche aggiustamento.