Pubblichiamo il testo di una recente interpellanza presentata dal gruppo MPS al governo cantonale. Come sempre le cose interessanti sono le considerazioni e le domande in quanto tali (perché sappiamo che le risposte non arrivano mai…) (Red)
Ricerca, innovazione, Greater Zurich Area (GZA), posizione centrale del Ticino tra Zurigo e Milano, puntare sulla formazione: è la litania passepartout di Christian Vitta ogni volta che si pongono domande scomode in relazione alle distorsioni create dalle scelte economiche. L’eterno ritornello è stato usato anche per rispondere (o meglio non rispondere) alle domande sulla “fuga di cervelli dal Ticino” poste dalla Regione (edizione di sabato 25 settembre). Solo un paio di mesi fa, lo stesso Vitta e il professor Baranzini – presentando i risultati del Gruppo strategico per il rilancio del Paese – hanno intonato in coro l’ennesima cover di “Tout va très bien, Madame la Marquise” spiegando che non c’è bisogno di adottare nessuna nuova misura tanto sono efficaci quella già in vigore, ora invece apprendiamo che il governo ha intenzione di rilanciare a Berna l’idea di una “clausola di salvaguardia” per il mercato del lavoro ticinese. Eppure mai una volta si fa riferimento alle distorsioni del mercato del lavoro, alla difficoltà al primo impiego e dumping generalizzato in atto in Ticino da anni. Anche lo scorso anno, sempre intervistato dalla Regione sul calo del salario mediano, il consigliere di Stato Vitta ha risposto:
“La diminuzione del salario mediano tra il 2016 e il 2018 va considerata con attenzione, ma anche contestualizzata: fotografa un lasso limitato di tempo, e manca ancora una spiegazione scientifica delle sue cause. A mio giudizio – ma si tratta solo di un’ipotesi di lavoro – potrebbe essere dovuto alla perdita di posti di lavoro ben remunerati, come ad esempio nel settore bancario. Occorrerà però verificare da vicino la tendenza nei prossimi anni prima di trarre conclusioni affrettate. In effetti, se allarghiamo lo sguardo agli ultimi dieci anni rileviamo in Ticino un aumento del livello salariale.
Se invece delle sue personali “ipotesi di lavoro” avesse dato un’occhiata ai dati, si sarebbe accorto che effettivamente calano i salari nel settore finanziario, ma solo purtroppo: abbiamo fatto un veloce paragone utilizzando le tabelle dell’Ufficio federale di statistica e ci sono ben 17 sezioni economiche dove i salari calano dal 2008.

C’è stato effettivamente un aumento del salario mediano ticinese di 234 franchi, ma in Svizzera l’incremento nello stesso periodo è stato quasi doppio: questo significa che il divario salariale fra il sud delle Alpi e il resto della Confederazione aumenta e che il potere di acquisto in Ticino cala.
Quanto ai giovani con formazione terziaria, ricordiamo alcune dichiarazioni del 2019 della Commissione parlamentare di controllo in merito ai salari dei neolaureati USI e SUPSI.
Per quanto riguarda l’USI “le donne laureate al primo impiego guadagnano il 20% in meno degli uomini”, esiste un “enorme divario tra i salari conseguiti in Ticino e nel resto della Svizzera tra i laureati al primo impiego», con il reddito medio che risulta «del 24% inferiore rispetto a quello conseguito da chi lavora in altri Cantoni». Una percentuale che dopo 5 anni dalla laurea raggiunge il 37%. Per i diplomati della SUPSI «vi è purtroppo un peggioramento della media salariale negli ultimi 5 anni: aumento che si riscontra dalla crescita dei diplomati che guadagnano meno di 3.000 franchi al mese, passata per i diplomati da un anno dal 18% nella rilevazione 2013 al 33% nella rilevazione 2017; e aumentata anche per i diplomati da 3 anni dal 10% al 22%».
Il salario mediano per chi ha una formazione terziaria in Ticino è calato fra il 2008 e il 2018 di circa 120 franchi, -1,8%. Il calo è più marcato per i salari sotto la mediana, quindi anche quelli dei giovani che iniziano la carriera. Se il consigliere di Stato Vitta avesse dato un’occhiata all’ultimo studio pubblicato dall’Ustat (visto che tiene tanto ad avere l’ufficio nel suo dipartimento) avrebbe potuto leggere questo:
Tra chi ha una formazione terziaria, chi percepisce i salari inferiori registra una netta contrazione dei salari, -8,4% e -5,2% rispettivamente per il p10 e p25, principalmente spiegato dalla diversa composizione della popolazione tra i due periodi in questione.
Tradotto in soldoni i salari in dieci anni sono calati di 360 franchi nel primo decile e di 276 franchi nel primo quartile.
La “diversa composizione” è spiegata a chiare lettere nel primo studio sulla Responsabilità sociale delle imprese realizzato su mandato del cantone[1] dal quale era emerso che le principali “buone pratiche” delle imprese ticinesi nel settore delle risorse umane consistono ad “attrarre le risorse migliori alle condizioni più vantaggiose” praticando “politiche di dumping salariale”.
Grazie quindi alle “buone pratiche” delle aziende ticinesici sono ambiti, come ad esempio la produzione di prodotti farmaceutici di base, dove il salario mediano per chi ha una formazione III in 10 anni è calato di oltre 2’000 franchi. Più che “Back to Ticino” quindi in certi settori bisognerebbe organizzare un’azione “Back to 2008”!
Anche la Rilevazione della struttura dei salari 2018 conferma un sempre maggiore divario con il resto del paese: in Svizzera una persona con titolo universitario e senza funzione di quadro ha un salario mediano di 7’984 franchi, in Ticino di 5’273 fr, vale a dire oltre 2’700 franchi in meno, i diplomati di una scuola universitaria di 7’604 in Svizzera e 5’909 in Ticino, circa 1700 franchi in meno.
La formazione non quindi può essere la soluzione per contrastare l’emigrazione dei giovani perché è evidente che in Ticino non garantisce salari dignitosi con cui poter vivere. Non mancano giovani formati, mancano aziende che li assumo a condizioni decenti.
In merito al fatto che mancano dati dettagliati e alle cosiddette “conclusioni affrettate”, vorremmo ricordare ancora una volta che dal 2015 sono stati inoltrati diversi atti parlamentari[2] che chiedevano approfondimenti sul calo dei salari mediani a partire dal 2008 in vari rami economici, in particolare quelli definiti “promettenti” in alcuni studi economici commissionati dal cantone. Le risposte hanno sempre lo stesso tenore: “mancano i microdati”, “l’Ufficio di statistica (USTAT) aggiornerà le tabelle e pubblicherà articoli” (e, sottointeso, ve li potete guardare da soli), “stanno per uscire i dati della prossima Rilevazione della struttura dei salari”. Se mancano analisi approfondite quindi è perché il Consiglio di Stato si è sempre rifiutato di farle eseguire.
Chiediamo pertanto al lodevole Consiglio di Stato:
1 – Gli ultimi studi sulla competitività dei cantoni di UBS e CS piazzano il Ticino agli ultimi posti. Nello studio UBS in particolare il nostro cantone ottiene la nota 0 per l’indicatore “Mercato del lavoro”. Gli studi dell’IRE e del BAK invece ci hanno descritto una crescita superiore alla media, si è arrivati a parlare di “miracolo economico” e di Wunderjob. Come mai questa discrepanza? Cosa non han preso in conto gli studi IRE e Bak? (la migrazione netta di persone con formazione universitaria non è inclusa in questo indicatore)
2 – Sempre nello studio UBS per quanto riguarda il “capitale umano”, cioè il livello di formazione, il Ticino si piazza un po’ meglio, ma pur sempre nella parte bassa della classifica. Questo indicatore tiene conto anche della migrazione netta di persone con formazione terziaria, quindi la vicinanza con la Lombardia, grade bacino di manodopera, non è così vantaggio come ci è sempre stato affermato, almeno non per il cantone. Sulla Regione del 9 agosto, Generoso Chiaradonna, la analizza così: la pretesa maggiore competitività ticinese che deriverebbe dalla vicinanza con la Lombardia, ampio bacino di reclutamento di manodopera specializzata, non è veramente tale perché come tutte le medaglie ha due facce: se da un lato non si hanno troppe difficoltà a trovare alti profili professionali oltre confine, la pressione sul mercato del lavoro locale è però tale da spingere molti giovani qualificati a cercare opportunità altrove. Il saldo migratorio interno mostra anche per il 2020 un deflusso dal Ticino verso il resto della Svizzera. Una tendenza in atto da anni, ormai. E questo è un Dato, non una congettura.
Il Consiglio di Stato è d’accordo con questa analisi?
3 – come è evoluto dal 2008 il numero di lavoratori con formazione III? Quanti residenti e quanti frontalieri in più ci sono da allora e quali sono le differenze salariali fra le due categorie?
4 – A fronte del calo dei disoccupati iscritti SECO, la disoccupazione ILO in Ticino è aumentata: nel primo trimestre di quest’anno era dell’8,7% (15’400 persone) e nel secondo del 7,6% (13’400 persone). Il dato ILO ticinese da anni è di circa due punti percentuali sopra quello svizzero, ma ora il divario sembra ampliarsi. Senza il saldo negativo dell’emigrazione intercantonale sarebbe ancora più elevato. Il Gruppo per il rilancio del paese ha tenuto conto di questo fattore?
5 – quale misure concrete sono state intraprese per contrastare “le buone pratiche” delle aziende ticinesi che consistono nell’assumere manodopera formata a “condizioni vantaggiose” praticando politiche di dumping salariale?
6 – dal 2015 il Consiglio di Stato è al corrente che in alcuni rami economici i salari mediani calano e che in alcuni rami la differenza con il salario mediano svizzero raggiunge quasi il 50% e ha sempre assicurato di voler “monitorare” questa evoluzione. Come valuta quindi questo calo e il fatto che in Svizzera in certi rami si guadagni il doppio rispetto al Ticino? A cosa imputa questa evoluzione?
7 – Il “rimpatrio” dei giovani ticinesi formati era già inserito nel programma d’attuazione (PdA) della politica economica regionale 2012-2015. Nel 2015 è stata presentata la sezione web “Dal 1990 a oggi – Il nuovo Ticino”, un progetto di politica economica regionale promosso dall’Ufficio per lo sviluppo economico del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) e integrato nel portale www.ti.ch/oltreconfiniti curato dalla Cancelleria dello Stato destinata a questo scopo. “Attraverso alcuni ritratti video di aziende innovative – attive nei quattro ambiti chiave individuati dallo studio commissionato dal DFE all’istituto di ricerca BAK Basel (scienze della vita, moda, meccanica ed elettronica e tecnologie della comunicazione e dell’informazione) – e le testimonianze di alcuni ticinesi rientrati a lavorare nel nostro Cantone, la sezione intende promuovere un’immagine positiva e attrattiva dell’economia ticinese sia in Svizzera che all’estero”, spiegava il 16 ottobre 2015 il Correre del Ticino.
Quanti “giovani talenti” hanno trovato lavoro nelle aziende ticinesi dei quattro ambiti chiave menzionate nel portale da quando è stato inaugurato?
8 – Gli ambiti sui quali il Ticino intende puntare per lo sviluppo futuro sono rimasti invariati rispetto a quelli individuati dal BAK o ci sono cambiamenti? la Moda figura ancora fra i settori di punta? Quanti sono ora le aziende e i posti di lavoro del settore Moda?
[1] Valore TI, Valorizzazione della responsabilità sociale delle imprese in Ticino, committente: Divisione dell’economia, Ufficio per lo sviluppo economico, Autrici: Jenny Assi e Caterina Carletti
[2] Interrogazioni 189.15, 76.16, 3.20, Mozioni 1228, 1300, Interpellanza 1707