L’immagine di Charlie Chaplin che mangia la sua scarpa di cuoio per non morire di fame in “La febbre dell’oro” ha lasciato il segno nella mente della gente. Nel 2021, la realtà ha raggiunto la finzione: in Madagascar, le famiglie fanno bollire gli scarti di pelle per alleviare la fame (1). Secondo l’ONU, il paese, colpito dalla peggiore siccità degli ultimi 40 anni, è il primo ad affrontare una carestia legata al riscaldamento globale.
È in questo contesto che il 9 agosto è stata pubblicata la prima parte del sesto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC). Per l’IPCC, non c’è più alcun dubbio: le attività umane sono “inequivocabilmente” responsabili del riscaldamento globale osservato dal 1850, dall’inizio della rivoluzione industriale. Il decennio 2010-2019 è stato il più caldo da duemila anni e, probabilmente, anche degli ultimi centomila anni.
Per convincerci della gravità di questa allarmante constatazione, torniamo alla creazione dell’IPCC e alla sua particolare struttura.
All’inizio degli anni ’80 è diventato sempre più evidente che la concentrazione atmosferica di anidride carbonica (CO2) stava aumentando a causa delle attività umane, portando ad un aumento della temperatura. Così, nel 1988, venne creato l’IPCC (acronimo di Intergovernmental Panel on Climate Change- GIEC l’acronimo in italiano NdT), su proposta del G7 attraverso la leadership di Reagan e della Thatcher. La missione dell’IPCC è di raccogliere e sintetizzare le informazioni sul cambiamento climatico che emergono dalle pubblicazioni scientifiche. Mentre le informazioni sono raccolte dagli scienziati, “la revisione finale del rapporto prima della pubblicazione, è effettuata da esperti nominati dai governi. Si incontrano per una settimana e rivedono le circa 15 pagine del riassunto del rapporto, riga per riga, fino a quando non si raggiunge un consenso“(2). Per Reagan, la presenza dei governi era necessaria per non consegnare le redini della competenza sul cambiamento climatico a un’agenzia ONU puramente scientifica e per questo sospettata di attivismo ambientale. Per la Thatcher, la creazione dell’IPCC sembra essere stata motivata in parte dalla politica interna: indicare il ruolo dei combustibili fossili nel riscaldamento globale era un’opportunità per portare avanti la sua lotta contro i sindacati dei minatori di carbone (Ricordiamo che poi la Tatcher riuscì a sconfiggerli e a chiudere diverse miniere NdT).
Come potrebbe un organismo a cui partecipano 195 governi e i cui rapporti sono finalizzati per consenso arrivare a conclusioni radicali? Secondo Jean-Charles Hourcade, “con questa tensione organizzata tra scienziati e politici, siamo molto lontani dall’immagine di un gruppo di pressione ambientale travestito da scienziato. Al contrario, si può sostenere che, per far passare un documento senza il veto di paesi come l’Arabia Saudita o gli Stati Uniti di George Bush, i redattori tendono, soprattutto nella sintesi per i decisori, ad ammorbidire i loro messaggi. Questo è il motivo per cui, per esempio, si è dovuto attendere fino al terzo rapporto dell’IPCC affinché l’origine antropogenica del riscaldamento globale fosse dichiarata quasi certa“(3).
Ma questa debolezza è la sua forza: “I rapporti dell’IPCC sono difficili da contestare da parte dei poteri politici, proprio perché di fatto sono loro a firmarli“(4).
L’IPCC è organizzato in tre gruppi di lavoro. Il gruppo 1 valuta gli aspetti scientifici del cambiamento climatico. Il gruppo 2 esamina gli impatti, la vulnerabilità e l’adattamento al cambiamento climatico. Il gruppo 3 esamina le opzioni per mitigare il cambiamento climatico. L’IPCC pubblica un rapporto di valutazione ogni 5-8 anni. Ogni rapporto ha una sezione per ogni gruppo di lavoro. Una sezione consiste di tre documenti: un rapporto completo, un riassunto tecnico e un riassunto per i responsabili politici.
Il primo rapporto dell’IPCC, pubblicato nel 1990, mostrava che le attività umane stanno aumentando significativamente la concentrazione di gas serra nell’atmosfera, il che aumenta l’effetto serra naturale, portando a un aumento della temperatura atmosferica e all’innalzamento dei livelli dei mari. Tuttavia, l’IPCC sottolinea le incertezze delle previsioni e si dava 10 anni per confermare il rafforzamento dell’effetto serra.
Nel 2014, il quinto rapporto confermava il ruolo dominante dell’influenza umana sul riscaldamento globale, sottolineando che è ancora possibile limitare l’aumento della temperatura a una media globale di 2°C sulle emissioni globali di gas serra se fossero state ridotte del 40-70% tra il 2010 e il 2050.
Il sesto rapporto dell’IPCC è attualmente in fase di completamento. Le parti 2 e 3 sono attese nei prossimi mesi. La prima parte del rapporto, pubblicata il 9 agosto 2021, ha fatto scalpore.
Per l’IPCC, non c’è più alcuna ambiguità: sono effettivamente le attività umane, attraverso l’utilizzazione di combustibili fossili, che stanno cambiando il clima. “Ognuno degli ultimi quattro decenni è stato, uno dopo l’altro, più caldo di qualsiasi decennio a partire dal 1850” (5). Il valore più probabile per l’aumento della temperatura superficiale media globale tra il decennio 2010-2019 rispetto al periodo 1850-1900 è di 1,09°C, di cui 1,07°C sarebbe antropogenico. L’IPCC aggiunge che “il cambiamento climatico indotto dall’uomo sta già influenzando molti eventi meteorologici e climatici estremi in tutte le regioni del mondo“, attraverso ondate di calore, forti precipitazioni, siccità e cicloni tropicali.
Combinando tutte le conoscenze accumulate con la maggiore potenza di calcolo dei software di modellazione, l’IPCC può ora determinare le conseguenze regionali del riscaldamento globale in 45 unità geografiche di dimensioni comparabili (America del Nord occidentale, America centrale settentrionale, Mediterraneo, Altopiano del Tibet, Australia settentrionale, ecc.). A causa dell’estensione delle siccità e dell’aumento degli incendi boschivi, la regione mediterranea è una delle regioni dove le conseguenze del riscaldamento globale sono tra le più significative.
Il rapporto presenta anche diversi scenari di evoluzione del cambiamento climatico secondo le emissioni di CO2. Come sottolinea Daniel Tanuro (6), “anche se la COP26 (a Glasgow in novembre) decidesse di attuare il più radicale degli scenari di stabilizzazione studiati dagli scienziati del clima, cioè quello che assicura la più rapida riduzione delle emissioni di CO2 e annulla le emissioni globali nette al più tardi nel 2060 (riducendo anche le emissioni di altri gas serra), l’umanità dovrebbe affrontare prospettive terribili“: riscaldamento accelerato dell’Artico, aumento della frequenza delle ondate di calore, amplificazione delle emissioni di metano a causa dello scioglimento del permafrost, ecc.
Mentre c’è ora un consenso sulla comprensione dell’impatto antropogenico sul clima, lo stesso non si può dire per le soluzioni da attuare per limitarne lo sconvolgimento. “Mentre entriamo nella fase decisionale, l’attenzione si concentrerà sui gruppi 2 e 3 dell’IPCC, che sono stati meno in primo piano rispetto al gruppo 1. Tuttavia, coprono aree in cui le incertezze sono di un ordine di grandezza superiore a quelle dei modelli climatici e per questo difficili da isolare dalle questioni etiche e politiche” (7).
Nel 2018, l’IPCC ha pubblicato un “Rapporto speciale sulle conseguenze del riscaldamento globale di 1,5°C” (8), che comprende una valutazione di 23 azioni per ridurre le emissioni di gas serra in relazione agli obiettivi di uno “sviluppo sostenibile” fissati dall’ONU nel 2015. L’analisi dettagliata di questo rapporto da parte dell’associazione négaWatt (9) è utile, anche se non mette in discussione il concetto ossimorico di “sviluppo sostenibile” volto semplicemente a rendere più verde il capitalismo. Secondo négaWatt, le azioni più sostenibili sono quelle “volte a ridurre il livello di consumo, a sviluppare le rinnovabili elettriche per sostituire i combustibili fossili e a migliorare la gestione del bestiame e del letame […]”. In fondo alla lista ci sono le opzioni tecnologiche per la cattura e il sequestro del carbonio, la geoingegneria oceanica e la sostituzione del carbone con l’energia nucleare”. Le 4 traiettorie proposte dall’IPCC nel Summary for Policymakers includono tutte un aumento della produzione nucleare entro il 2050. Tuttavia, l’uso del nucleare non è sistematico: queste traiettorie sono derivate da 90 scenari che rispettano l’obiettivo di 1,5°C, molti dei quali prevedono una riduzione della capacità nucleare installata a livello globale. Al contrario, “le energie rinnovabili sono alla base della grande maggioranza degli scenari; sono (molto) predominanti non appena si integra un’azione ambiziosa di riduzione dei consumi. È soprattutto quando la domanda di energia aumenta che il ricorso all’energia nucleare e/o alla cattura e al sequestro del carbonio diventa necessario”.
Checché ne dicano gli scienziati, non ci sono soluzioni miracolose: solo una drastica riduzione del consumo di energia permetterà di combattere veramente il riscaldamento globale. Come scrive giustamente Daniel Tanuro, “sapendo che tre miliardi di esseri umani non hanno l’essenziale e che il 10% più ricco della popolazione emette più del 50% del CO2 globale, la conclusione è indiscutibile: cambiare il sistema energetico per restare sotto 1,5°C dedicando più energia per soddisfare i diritti legittimi dei poveri è rigorosamente incompatibile con la continuazione dell’accumulazione capitalista, che genera distruzione ecologica e disuguaglianze sociali crescenti.
La catastrofe può essere fermata in un modo degno per l’umanità solo da un doppio movimento che consiste nel ridurre la produzione globale e nel riorientarla radicalmente per servire i veri bisogni umani, quelli della maggioranza, determinati democraticamente. Questo doppio movimento implica necessariamente la soppressione della produzione inutile o dannosa e l’espropriazione dei monopoli capitalisti – prima di tutto nell’energia, nella finanza e nell’agroalimentare. Richiede anche una drastica riduzione delle stravaganze di consumo dei ricchi. In altre parole, l’alternativa è drammaticamente semplice: o l’umanità liquida il capitalismo, o il capitalismo liquida milioni di innocenti per continuare il suo corso barbaro su un pianeta mutilato e forse invivibile”.
Questo testo è stato pubblicato, a cura della commissione ambiente del Nouveau Parti Anticapitaliste – NPA sul numero di ottobre 2021 della rivista L’Anticapitaliste. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS
1) https://www.francetvinfo.fr/monde/afrique/madagascar/ madagascar-a-family-caused-by-warming-climate_4683471.html
2) https://reporterre.net/Le-Giec-a-trente-ans-son-histoire-son-role-et-un-climat-toujours-plus-chaud
3) Hourcade J.-C., “Des liens compliqués entre sciences et politique à propos du Giec”, Revue Projet 2009/6 (n°313), p. 42-47 (https://www.cairn.info/revue-projet-2009-6-page-42.htm#no5).
4) https://www.liberation.fr/sciences/2014/11/02/comment-cette-structure-a-impose-son-autorite-scientifique_1134764/
5) IPCC, “Climate Chante 2021 – The Physical Science Basis – Summary for Policymakers”, https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg1/downloads/report/IPCC_AR6_WGI_SPM.pdf
6) Tanuro D., “Au bord du gouffre. Le scénario que le GIEC ne modélise pas”, Contretemps, 10/08/2021, https://www.contretemps.eu/rapport-giec-climat-catastrophe-capitalisme-ecologie/.
7) Hourcade J.-C., op. cit.
8) https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/sites/2/2019/09/IPCC-Special-Report-1.5-SPM_fr.pdf
9) Association négaWatt, “Quelle place pour le nucléaire et les énergies renouvelables dans les trajectoires mondiales de neutralité carbon?”, settembre 2020, https://www.negawatt.org/IMG/pdf/200924_note_nucleaire-et-les-energies-renouvelables-dans-les-trajectoires-mondiales-de-neutralite-carbone.pdf.