L’estate del 2021 è stata segnata da eventi meteorologici tanto eccezionali quanto distruttivi, sia per l’ambiente che per gli uomini e le donne che ci vivono. La recente COP26 sul cambiamento climatico non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi. Solo una rottura eco-socialista con il sistema economico e finanziario che domina il mondo potrà garantire la sopravvivenza dell’umanità e del suo ambiente.
L’estate del 2021 è stata segnata da una serie di eventi: la “cupola di calore” con temperature record nel Canada nord-occidentale, piogge torrenziali e inondazioni in Germania e Belgio, temperature torride e vasti incendi non solo in Grecia e Sicilia, ma anche in California, oltre all’uragano Ida, che ha inondato la costa orientale degli Stati Uniti, in particolare New York, provocando decine di morti e dispersi. L’estate del 2021 è stata caratterizzata da eventi meteorologici eccezionali. E questo limitandosi a citare i paesi ricchi ed economicamente prosperi del Nord.
Crisi ambientale: un ulteriore rapporto allarmista
Pubblicato lo scorso agosto sotto l’egida dell’Organizzazione meteorologica mondiale, l’ultimo rapporto sul clima in America Latina e nei Caraibi rileva le siccità, i cicloni tropicali, le ondate di calore, le forti piogge, gli uragani devastanti e gli incendi catastrofici che hanno devastato in particolare l’Amazzonia [1]. L’impatto ambientale di questi eventi meteorologici estremi sempre più frequenti è ben noto; va dal contribuire alla deforestazione di un continente che fornisce il 57% delle foreste primarie del mondo, il che significa la distruzione di uno dei più grandi pozzi di carbonio del mondo, all’acidificazione, al riscaldamento e all’aumento del livello del mare. Per quanto riguarda le conseguenze umane e sociali, esse vanno dai danni all’agricoltura produttrice di cibo agli spostamenti forzati e all’emigrazione, per non parlare dei problemi sanitari ed energetici posti sia dalla mancanza di acqua che dalla sua sovrabbondanza, tra popolazioni che sono state anche indebolite dall’epidemia di Covid 19.
A questo proposito, il rapporto osserva che nel 2020, nonostante le restrizioni imposte dall’epidemia, le concentrazioni di gas a effetto serra (CO2, metano, protossido d’azoto) sono in costante aumento e conclude, cautamente, che limitare il riscaldamento globale a due gradi dall’era preindustriale è essenziale per ridurre i rischi nei paesi con notevoli disuguaglianze economiche e sociali. In altre parole, tanto nei paesi del Sud quanto nei paesi del Nord, che, compresa la Cina, sono i principali emettitori di gas serra, il cambiamento climatico ha sia cause che conseguenze umane e sociali non più accettabili. La “crisi” climatica, e più in generale quella ecologica, è ormai globale.
Il prevedibile fallimento della COP 26 a Glasgow
Questo era il contesto nel quale si è svolta la COP26. Il suo obiettivo era quello di ottenere l’impegno da parte di tutti i paesi firmatari per raggiungere l’obiettivo della nutralità carbonica entro il 2050 [2]. Questo sarebbe l’unico modo per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°. Secondo il documento di convocazione della conferenza sul clima, un tale obiettivo implicherebbe l’abbandono del carbone, l’investimento nelle energie rinnovabili, l’arresto della deforestazione e l’uso di veicoli elettrici; ma richiederebbe anche il ripristino degli ecosistemi e in particolare rendere l’agricoltura più “resiliente”, oltre a tutta una serie di misure di adattamento… Infine, richiederebbe “finanziamenti pubblici per lo sviluppo delle infrastrutture necessarie per la transizione verso un’economia più verde e resistente al clima“, così come investimenti privati in tecnologie innovative di recupero del clima.
L’esito della riunione di Galsgow è ormai noto: le due settimane di negoziati si sono appena concluse con un risultato disastroso, ben al di sotto degli obiettivi annunciati. Anche nella prospettiva del “greenwashing” che ha caratterizzato tutta la conferenza, gli impegni presi risultano tali da permettere una limitazione dell’aumento della temperatura globale a 2,4 gradi rispetto all’inizio dell’era industriale. Ricordiamo che la COP21 di Parigi, sei anni prima, aveva deciso in extremis la fissazione di un limite di 1,5 gradi. Ad esempio, l’obiettivo concreto di “eliminare gradualmente la produzione di energia a carbone e i sussidi inefficienti ai combustibili fossili” è stato ridotto a una semplice “riduzione“. Nessun passo concreto è stato fatto sull’impegno preso alla COP15 di Copenhagen nel 2009 (!) di destinare 100 miliardi di dollari all’anno a un “fondo verde per il clima” per sostenere i paesi poveri nell’affrontare le conseguenze distruttive del cambiamento climatico. Bisogna ricordare a questo proposito che il 10% più ricco della popolazione dei paesi con il PIL più alto è responsabile del 50% delle emissioni di carbonio del pianeta, per citare solo questo tipo di inquinamento. Infine, la COP26 rimane legata al vago concetto di “neutralità carbonica”, che include il mercato dei crediti di carbonio, che non sono altro che permessi di inquinamento messi a disposizione dei paesi più ricchi [3].
L’ultimo rapporto dell’IPCC, pubblicato nell’agosto 2021, suona ancora una volta l’allarme sull’accelerazione del cambiamento climatico [4]. Prevede che, anche se lo scenario di stabilizzazione proposto per la COP26 fosse accettato, il tetto fissato alla COP21 di Parigi nel 2015 verrebbe in ogni caso superato. Oltre all’aumento della temperatura e del livello del mare, il testo dell’IPCC ricorda che questo ulteriore riscaldamento continuerà ad amplificare lo scioglimento del permafrost, e di conseguenza il rilascio di metano, un potente gas serra. E il rapporto conclude, ancora una volta, ricordando che l’impatto delle attività umane sul sistema climatico è indiscutibile.
Le conseguenze distruttive di un sistema capitalista globalizzato
Questi risultati ci portano quindi non solo a mettere in discussione il sistema economico, sociale e ideologico che è alla base dell’inquinamento ambientale, di cui il cambiamento climatico è solo una manifestazione. Ma ci impongono anche di ripensare le relazioni che uomini e donne hanno con un ambiente che abbiamo oggettivato come ‘natura’.
Da un lato, le comunità umane sono praticamente e culturalmente sottomesse alle esigenze materiali della globalizzazione economica e finanziaria attraverso un’implacabile mercificazione, basata sull’indiscutibile principio della crescita; dall’altro, l’ambiente è ridotto alla natura, le cui risorse possono essere sfruttate a nostro uso, per un profitto essenzialmente economico e finanziario sotto l’egida dell’ideologia neoliberale.
Da un lato, le relazioni di dominazione neocoloniali permettono ai paesi del Nord di sfruttare sia le risorse considerate naturali che la forza lavoro delle popolazioni del Sud, in vista di una crescita guidata da criteri puramente economici e finanziari; dall’altro, ambienti e biosfera sono fortemente colpiti da un sistema economico basato sul profitto immediato, che comporta estrattivismo, produttivismo e consumo sempre più sfrenato.
Per la giustizia politica, sociale e ambientale
Rileggiamo ancora una volta il canto corale che segna l’inizio dell’Antigone di Sofocle. Il coro, composto dagli anziani di Tebe, evoca le arti tecniche che permettono all’uomo di sopravvivere nonostante la sua fragile condizione mortale; come la navigazione, l’agricoltura, la costruzione di ripari, la medicina. E il gruppo corale conclude cantando: “Detentore di una conoscenza operosa per l’arte tecnica (tekhne, verso 365), l’uomo a volte prende la via del male, a volte quella del bene”.
Così, nei confronti di un ambiente che, da Cartesio in poi, abbiamo oggettivato come un insieme di risorse “naturali”, da sfruttare con i nostri mezzi tecnici, l’esercizio di questa conoscenza pratica ha un doppio risultato. L’uomo di húpsipolis può diventare ápolis: al vertice della sua città, può esserne escluso. Qualunque siano le modalità di realizzazione, la pratica delle nostre tecniche e tecnologie fa parte del contesto sociale della comunità civica. Rompendo con la logica capitalista del profitto, questo uso deve rispondere ai bisogni fondamentali di tutta l’umanità in interazione con l’ambiente. È in gioco la sopravvivenza di entrambi.
*Direttore degli studi, Écoles des hautes études en sciences sociales (EHESS, Parigi). Membro di Attac Francia. Articolo apparso sul suo blog personale sul sito di Mediapart il 15 novembre 2021. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS.
Per una gestione ecosocialista dell’interazione tra gli esseri umani nella società e il loro ambiente attraverso tecniche e tecnologie, vedi: https://france.attac.org/nos-publications/les-possibles/numero-26-hiver-2020-2021/dossier-vers-la-fin-de-la-separation-societe-nature/article/l-homme-en-societe-et-ses-relations-techniques-avec-l-environnement-ni-nature
[1] Rapporto “Stato del clima in America Latina e nei Caraibi”, Word Meteorological Organization, 17.8.21 – 2020https://storymaps.arcgis.com/stories/b9e1619f4897444babf79b21907b7910
[2] Vedi https://ukcop26.org/wp-content/uploads/2021/07/COP26-Explained.pdf – p. 22.
[3] Vedi in particolare: https://blogs.mediapart.fr/maxime-combes/blog/131121/le-bilan-de-la-cop26-tient-en-3-mots-criminel-indecent-dilatoire
[4] https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/2021/08/IPCC_WGI-AR6-Press-Release_fr.pdf