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Con oltre il 90% dei seggi scrutinati, il candidato di sinistra, ex dirigente del movimento studentesco, Gabriel Boric, con circa il 56% dei voti, contro il 44% del candidato di estrema destra, è destinato a diventare il prossimo presidente del paese sudamericano. Si conferma così la tendenza, già emersa nelle elezioni per l’Assemblea Costituente, a chiudere definitivamente col passato regime, erede, seppur con contraddizioni, della feroce dittatura del generale Pinochet, il criminale che, col golpe dell’11 settembre 1973, finanziato e sponsorizzato dagli USA, pose fine all’esperimento del governo di Unidad Popular guidata da Salvador Allende (assassinato il giorno stesso dai militari di Pinochet). Le mobilitazioni di massa del 2019 hanno così dato i loro frutti anche sul terreno elettorale, nonostante la massiccia attivizzazione di tutti i “poteri forti” (padronato, terratenientes, forze “dell’ordine”, esercito, chiesa, mass media, ecc.) a favore del candidato nostalgico di Pinochet. Una polarizzazione politica e sociale che, nonostante gli auspici di tutte le forze conservatrici e moderate alla “riconciliazione tra tutti i cileni” e l’invito a Boric ad essere il “presidente di tutti i cileni”, speriamo si approfondisca. Affinché alla fine di questo processo, per ricordare un vecchio slogan del 1970 di Unidad Popular, il Cile possa “ponerse los pantalones largos”. Ricordando che con i compromessi e le illusioni pacifiste si rischia di fare la fine di Allende.

P.S. Un segno dello squallore provinciale dei mass media borghesi italiani: Boric, candidato di Apruebo Dignidad (una coalizione di forze di sinistra abbastanza radicali, tra cui il Partito Comunista, Sinistra Libertaria, i Verdi, Rivoluzione Democratica, Comuni, i movimenti femministi, ecc.) è stato presentato come “di centro-sinistra”. E’ vero che i partiti di centro-sinistra (in primis il Partito Socialista), sconfitti sia alla costituente sia al primo turno delle presidenziali, hanno annunciato l’appoggio a Boric (e ci sarebbe mancato altro! ) e che è possibile che i potenti condizionamenti portino quest’ultimo su posizioni via via più moderate (non sarebbe la prima volta, ahimè). Ma resta il fatto che in Cile (diversamente che in Italia) non è stata la sinistra che, turandosi naso e orecchie, ha finito per votare il cosiddetto “meno peggio” (cioè il candidato di centro-sinistra contrapposto al leghista o al forzitaliota di turno), ma è avvenuto esattamente il contrario. Un buon auspicio, seppur senza farsi soverchie illusioni.

*Sinistra Anticapitalista Brescia