Nella seduta di lunedì il Parlamento ha approvato il decreto legge che dà mandato alla commissione della gestione di promuovere un audit rafforzato per fare luce sulla vicenda dell’ex funzionario del DSS condannato per stupro e coazione sessuale. Una vicenda triste che sicuramente merita di essere chiarita e analizzata anche e soprattutto per valutare cosa non ha funzionato all’interno dell’amministrazione cantonale e cosa ha reso possibile che per 30 anni un simile personaggio continuasse ad agire indisturbato.
La commissione della gestione ha deciso fin da subito di forzare la mano presentando un’iniziativa elaborata e chiedendo l’urgenza, procedura che ha impedito che si potesse entrare nel merito della proposta e presentare eventualmente degli emendamenti. Il decreto legge che istituisce l’audit andava quindi votato così come presentato. E qui sono sorte alcune nostre perplessità e dubbi che ci hanno portato ad astenerci. Riprendiamo di seguito i principali elementi di critica espressi durante l’intervento in Gran Consiglio.
La prima riguarda la protezione delle vittime e la possibilità per loro di testimoniare in un luogo protetto e solo se lo desiderano. Ora il decreto legge prevede l’obbligo per tutti/e di testimoniare se chiamati/e a farlo e prevede anche delle sanzioni per chi decide di non testimoniare. Una procedura voluta per costringere funzionari, dirigenti e responsabili a testimoniare, ma che non escludendo le vittime (che presumibilmente non sono solo coloro che hanno denunciato il funzionario) nega nei fatti un importante diritto a chi ha già subito una violenza.
Dopo il recente servizio di Falò, è impossibile negare che i fatti successi in quegli anni fossero di dominio pubblico, tutti sapevano, tutti ne parlavano (alcuni addirittura ci scherzavano sopra) ma nessuno faceva nulla…
Una descrizione che purtroppo non sorprende, si sa che è proprio nei contesti intrisi di cultura sessista e omofoba, di banalizzazione delle molestie e degli abusi che questi episodi possono avvenire in modo indisturbato sotto gli occhi di tutti e spesso e volentieri etichettati come goliardate o scherzi di cattivo gusto, ma pur sempre scherzi….
Una cultura che porta poi a vedere le stesse vittime come esagerate, come persone che non capiscono che drammatizzano e che da qualche parte hanno anche la colpa di aver provocato o nel caso specifico di non aver detto abbastanza chiaramente cosa stava accadendo…si tratta di un fenomeno ben conosciuto che ha il nome di vittimizzazione secondaria e che porta molto spesso le vittime a evitare di denunciare proprio per la paura di essere nuovamente messe alla gogna. Un fenomeno che abbiamo visto bene all’opera nella recente vicenda delle denunce della RSI e che è emersa anche nella storia di cui stiamo parlando: la denuncia da parte di Ivan Pau-Lessi alle giornaliste di Falò e le sue dichiarazioni a seguito del servizio hanno come unico obiettivo quello di sminuire la parola delle vittime e di renderle poco credibili.
È proprio per evitare che questo accada che è fondamentale proteggere le vittime e garantire loro un ascolto protetto e in condizioni in cui le loro parole non possano essere travisate e manipolate ed è anche per questo che bisogna garantire alle vittime la possibilità di scegliere o meno se parlare e testimoniare.
Una garanzia che il decreto non dà e che non può evidentemente essere risolta con semplici dichiarazioni di principio di cui tutti e tutte si sono fatte porta voce in Parlamento.
Un secondo limite di questo decreto riguarda il ruolo della commissione della gestione che non solo stipulerà il mandato, ma sarà anche lei a gestire analisi e pubblicazione dei risultati. Spetterà infatti alla commissione della gestione, non si sa con quali competenze scientifiche, di scrivere il rapporto dell’audit. Anche in questo caso non ci si può nascondere dietro la necessità di garantire la privacy alle vittime, un ente esterno che svolge questi audit regolarmente sa benissimo quali informazioni possono essere rese pubbliche e quali no e sa gestire molto bene questo processo e quindi dovrebbe poter rendere conto del suo lavoro direttamente per lo meno a tutto il parlamento e non solo alla commissione della gestione senza ledere la dignità di nessuno/a.
Si è tanto criticata e osteggiata la costituzione della commissione parlamentare d’inchiesta, ma oggi di fatto si dà alla commissione della gestione un potere eccessivo…cercando di far rientrare dalla finestra quello che è uscito dalla porta senza nessuna garanzia di un vero controllo democratico di quanto esca dall’audit e senza nessuna garanzia che tutto il processo venga strumentalizzato.
Inoltre ai/alle parlamentari si è chiesto di approvare un mandato senza nessuna precisa indicazione su cosa contenga questo mandato, chi lo potrebbe svolgere sulle reali procedure, senza contare che nessuno sa quanto sarà il budget messo a disposizione. Tutte questioni che devono essere chiarite prima di procedere proprio per evitare che questo processo possa fare la stessa fine dell’audit promossa alla RSI che non ha minimamente garantito le vittime e si è risolto in un’insabbiatura di quanto successo.
Infine nel decreto non si esplicita in modo evidente che l’audit debba prendere in considerazione tutta l’amministrazione e non solo il caso specifico. Non si tratta solo di dare risposte alle vittime ma si tratta di capire cosa non funziona e cosa non ha funzionato nella gestione di questo e altri casi.
È per queste ragioni che, seppur condividendo la necessità e l’importanza di fare chiarezza e di aprire seriamente un’analisi di come nell’amministrazione cantonale episodi di molestie e abusi non vengono gestiti e affrontati seriamente e con i mezzi necessari, ci siamo astenuti sul mandato.
Non ci sono per noi le garanzie che questo audit possa essere svolto nell’interesse delle vittime di quel periodo e soprattutto che possa servire per rivedere le pratiche attuali per fare in modo che situazioni come quelle vissute non si verifichino più.