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La smobilitazione della campagna d’impeachment contro Jair Bolsonaro ha dato un anno di sopravvivenza al suo governo. Nonostante i numerosi “crimini di responsabilità” [del presidente della Repubblica che minano la costituzione federale del Brasile] del pazzo installato nel Planalto [palazzo presidenziale], i brasiliani sono condannati a sopportare gli effetti delle sue azioni disastrose, almeno fino al 2023.

La borghesia approfitta dell’inazione della strada per approfondire la liberalizzazione economica, la decostituzionalizzazione dei diritti sociali, mettere in crisi le più ovvie libertà civili e per affermare sciocchezze ambientali. L’obiettivo finale è quello di spogliare la Costituzione del 1988 di tutto il suo contenuto democratico, repubblicano e nazionale. Nel capitalismo neocoloniale e barbaro, il dispotismo borghese deve essere esercitato in modo brutale e incrollabile, o da un regime politico apertamente dittatoriale o da un autoritarismo spietato con solo una leggera patina democratica.

Da qui l’importanza strategica delle elezioni del 2022 come mezzo per legittimare i colpi virulenti alla classe operaia dopo lo scoppio della crisi economica che si trascina da oltre sette anni. La nuova ondata di attacchi borghesi – iniziata con la truffa elettorale di Dilma Rousseff nel 2014 [Michel Temer era il candidato alla vicepresidenza nel suo ticket], quando la bancarotta della politica di conciliazione di classe è stata resa evidente -, ha fatto un salto di qualità con la cospirazione parlamentare [per rimuovere Dilma Rousseff] che ha portato Michel Temer al Planalto nel 2016 e ha definito il terrorismo del mercato la linea guida della politica economica brasiliana. L’offensiva del capitale è culminata nell’arbitrio giuridico e nella violenza che ha portato al processo elettorale totalmente fraudolento del 2018, seguito dalla strategia di smantellamento delle politiche pubbliche, dagli attacchi alle libertà civili e dalla disarticolazione dello stato nazionale.

Stabilizzare un colpo di stato, tuttavia, non è un’operazione semplice. La sfida per coloro che lottano per una soluzione autoritaria all’interno dell’ordine del sistema, senza una rottura esplicita con la democrazia, è di ricostruire, sulle macerie della Nuova Repubblica [formalizzata dalla Costituzione del 1988], la caricatura di una Nuova Repubblica che, in apparenza, conserva la facciata democratica e nazionale e, nella sostanza, è inequivocabilmente antisociale e autoritaria. Se la Nuova Repubblica del 1988 è finita in tragedia, la Nuova Repubblica che deve essere costruita è già condannata a nascere come una farsa. Fa parte di una società in crisi di civiltà, sotto il comando di una borghesia vassalla [di fronte all’imperialismo], impegnata nello smantellamento dello Stato nazionale.

La fragilità della soluzione elettorale alla grave crisi che sta scuotendo la democrazia brasiliana è evidente nelle incertezze che circondano le elezioni presidenziali del 2022. La nomina del generale Fernando Azevedo, ex ministro della difesa di Bolsonaro, come direttore generale del Tribunale Supremo Elettorale (TSE), che è responsabile del buon funzionamento del processo elettorale, è abbastanza preoccupante. Prima di rappresentare una garanzia che la volontà degli elettori sarà rispettata, come presentata all’opinione pubblica, questa nomina implica una maggiore ingerenza del partito militare nella magistratura, approfondendo ulteriormente il controllo delle forze armate sulla vita nazionale.

In questo contesto, l’iniziativa di Lula di formare un ampio fronte contro Bolsonaro, che trova nel potenziale ticket Lula-Alckmin il suo massimo coronamento, è stata accolta dall’establishment dell’opposizione come una tavola di salvezza che avrebbe unito greci e troiani. Unendosi al grande Tucano [Geraldo Alckmin], il nemico storico dei lavoratori, degli studenti e degli insegnanti, Lula si unisce ineluttabilmente alla nuova generazione di sostenitori dell’ordine neoliberale fondamentalista.

Il potere di corruzione e di cooptazione della borghesia brasiliana è illimitato. Vittime e carnefici fraternizzano per far rivivere dalle ceneri le illusioni di un’impossibile conciliazione di classe. La capitolazione alle richieste dello status quo è incondizionata. Legato all’Opus Dei, campione dell’austerità fiscale e delle riforme liberali, fidato di Faria Lima, candidato molto quotato della borghesia nel 2018, il “neo-compagno” Geraldo Alckmin è sempre stato implacabile con gli sfruttati. I suoi precedenti [come governatore di San Paolo] parlano da soli: il massacro di Castelinho [l’assassinio nel 2002 da parte della polizia militare di 12 membri della rete Primeiro Comando da Capital, che organizzava prigionieri di diritto comune], il massacro di Pinheirinho [nel gennaio 2012, quasi 2000 famiglie senza casa che occupavano terreni], la repressione delle Giornate di giugno 2013 [mobilitazioni popolari che hanno interessato decine di città del paese], le persecuzioni degli studenti che lottavano contro la chiusura delle scuole… La lista completa sarebbe infinita.

In assenza di una mobilitazione vigorosa contro il modello economico e per una soluzione democratica della crisi politica che scuote la vita nazionale, le masse non hanno alternative. Non c’è dubbio che una dose minima di veleno faccia meno danni della dose massima. Non è impossibile che un futuro governo Lula riesca a: fermare l’offensiva reazionaria con il contenimento di una maggioranza criminale, l’accesso facilitato alle armi, l’impunità delle forze di repressione, ecc.; limitare temporaneamente gli attacchi del capitale al lavoro e all’ambiente; e anche ricomporre parzialmente la politica di assistenza ai diseredati, rallentando l’insana marcia verso la barbarie.

Tuttavia, nessuna società attraversa impunemente un processo di inversione neocoloniale. La società brasiliana sta affondando in questa palude. Anche se la situazione economica e politica fosse favorevole, cosa che non sembra affatto probabile, un futuro governo Lula non avrebbe il minimo spazio di manovra per modificare le condizioni strutturali responsabili dell’abbassamento sistematico del livello di vita delle masse lavoratrici. L’abisso tra ciò che Lula sembra essere – il difensore dei poveri e degli oppressi – e ciò che è in realtà – un dirigente politico di talento al servizio di una plutocrazia che ha rotto ogni legame morale con le classi subalterne – non potrebbe essere maggiore.

Senza nulla da offrire alle classi inferiori, i proprietari della ricchezza e del potere approfittano dell’assenza di un’agenda di rottura con il modello economico e politico per offuscare qualsiasi sfida alla schiacciante offensiva del capitale contro i diritti dei lavoratori, le politiche pubbliche, il patrimonio nazionale e l’ambiente. Lula, che non è ingenuo, è al servizio di questo progetto.

Il compito fondamentale della sinistra [di fronte a un ticket Lula-Alckmin] è quello di criticare le illusioni di una via d’uscita all’interno dell’istituzionalismo neoliberista e di presentare alla classe operaia un programma di lotta che evidenzi la necessità e la possibilità della rivoluzione socialista come unico antidoto alla barbarie capitalista. Per essere all’altezza delle sfide del nostro tempo, è urgente costruire un fronte politico di sinistra, unificato intorno alla bandiera dell’uguaglianza reale, che proponga l’intervento popolare come unica strategia capace di interrompere il circolo vizioso della dittatura del mondo degli affari che condanna la società brasiliana a una misera fine della storia.

Plínio de Arruda Sampaio Jr. è professore emerito dell’Istituto di Economia di Unicamp ed editore del sito web Contrapoder. È autore, tra gli altri, di Entre a nação e a barbárie – dilemas do capitalismo dependente (Vozes, 1999) e Crônica de uma crise anunciada: Crítica à economia política de Lula e Dilma (SG-Amarante Editorial, 2017). È membro del PSOL.