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Riportiamo la traduzione di un’interessante ricostruzione della sollevazione operaia e popolare del gennaio scorso in Kazakistan, da parte del Movimento Socialista del Kazakistan (http://socialismkz.info/).

Ne esce confermato il carattere operaio delle proteste, che hanno unito rivendicazioni economiche e politiche, e il carattere borghese della repressione, che ha visto unite tutte le potenze imperialiste a sostegno del potere borghese, garante dei loro interessi nell’area.

Ciò che è importante non è solo la ricostruzione realistica e ragionata degli avvenimenti, da un punto di vista di classe, ma due fatti: 1) i lavoratori kazaki si sono posti, anche se in modo in gran parte spontaneo e poco coordinato, come inevitabile, il problema del potere, creando propri organismi locali; e 2) sono presenti in loco organizzazioni che di questa esperienza di lotta, tra le più avanzate negli ultimi anni a livello internazionale, vogliono far tesoro per dar seguito al movimento proletario, contro il capitalismo, ricollegandosi alla storia del movimento operaio internazionale e alla tradizione marxista.

È ancora più necessario che i lavoratori kazaki che hanno dato questo primo assalto al cielo trovino sostegno in altri reparti del movimento operaio internazionale.

Da leggere, per avere un’idea più concreta e dettagliata di cosa è realmente successo in gennaio, e – più in generale – di quale (da questa kazaka a peggio) è la condizione materiale e politica dei proletari nelle repubbliche centro-asiatiche dopo la dissoluzione dell’URSS. A vergogna di tutti coloro che sono soliti liquidare in automatico come “colorate” le sollevazioni operaie e popolari nei paesi rientranti nell’orbita russa o cinese. 

SULLA SOLLEVAZIONE POPOLARE DI MASSA E GLI SCIOPERI DI GENNAIO IN KAZAKISTAN

L’esplosione sociale è maturata e ormai era stramatura da molto tempo. Ciò è dovuto al fatto che il Kazakistan è diventato una colonia di materie prime dei paesi capitalisti sviluppati. E per 30 anni, la leadership degli ex dirigenti del partito e del Komsomol, guidata da Nazarbayev, ha portato avanti le più drastiche riforme di mercato volte a privatizzare la grande industria e, prima di tutto, l’industria estrattiva, e il sistema di sicurezza sociale è stato demolito, con un aumento dell’età pensionabile tanto che l’ex primo segretario del Comitato centrale del Partito comunista ha ricevuto le lodi di Margaret Thatcher e il titolo di miglior studente tra i presidenti dello spazio post-sovietico.

Milioni di persone sono cadute sotto la soglia di povertà, hanno perso il lavoro da un giorno all’altro a causa della liquidazione delle imprese manifatturiere e della liquidazione forzata delle fattorie collettive e statali a metà degli anni ’90. Di conseguenza, tutta l’industria su larga scala si è concentrata nell’ovest del Kazakistan, nelle regioni petrolifere, dove dal 1993 le compagnie americane ed europee hanno effettuato trivellazioni, controllando i due terzi della produzione, e nel centro del Kazakistan, dove le principali compagnie sono ArcelorMittal, Temirtau del miliardario inglese Lashkmi, Mittal e la Kazakhmys Corporation.

Per quanto riguarda la regione di Mangistau e le regioni del Kazakistan occidentale, dove sono scoppiate le prime proteste, possiamo dire che lì si sono concentrate maggiormente tutte le contraddizioni sociali e il malcontento, che rappresentano le cause degli scioperi e delle manifestazioni popolari di massa, che qui cercheremo di raccontare.

In primo luogo, le regioni di Mangistau, Aktobe, Atyrau, Kazakistan occidentale e Kyzylorda sono regioni di disoccupazione di massa, dove non c’è praticamente altro lavoro se non le imprese del petrolio e del gas. L’industria manifatturiera sovietica è stata quasi completamente distrutta negli anni ’90. E nelle stesse Zhanaozen e Aktau, dove sono avvenute le prime manifestazioni e scioperi, ci sono 7-8 parenti e figli adulti disoccupati per ogni lavoratore del petrolio. Ed è per questo che gli scioperanti e i manifestanti hanno avanzato, oltre al resto, la richiesta della costruzione di nuove fabbriche.

Dovendo vivere nelle condizioni climatiche così dure e difficili di queste regioni semidesertiche, i collettivi di lavoratori e la popolazione locale hanno creato solidi legami, e la solidarietà e la mobilitazione sono state la chiave del successo nella realizzazione dei numerosi scioperi che si sono succeduti dall’inizio degli anni 2000.

In secondo luogo, l’inflazione dell’estate e dell’autunno dell’anno scorso e l’aumento dei costi hanno portato al deprezzamento del tenge [vale oggi 0,0021 euro- n.] e a una diminuzione del potere d’acquisto dei salari. Questo si è riflesso soprattutto nella regione di Mangistau, che è una regione “senza uscita” e che deve importare tutti i prodotti e le merci con prezzi due o tre volte più alti rispetto al resto del paese. Sono inoltre aumentati i prezzi del carburante e dei lubrificanti, e di tutti i tipi di servizi. Chiaramente, il raddoppio del prezzo del gas liquefatto il 1° gennaio è stato solo l’innesco di un’esplosione di malcontento, e non solo degli automobilisti, poiché questo aumento ha portato anche ad un forte aumento del prezzo dei prodotti trasportati su strada.

In terzo luogo, si sostiene che queste proteste sono state una vera sorpresa e un “incidente”. Non credeteci: per tutto il 2021, la regione del Mangistau e tutte le regioni del Kazakistan occidentale sono state in costante fibrillazione, con continui raduni e scioperi dei lavoratori del petrolio e di quelli delle società di servizi, in gran parte imprese con capitale straniero. Per lo più sono stati scioperi con occupazioni, con tende e yurte montate sul terreno delle imprese o davanti ai cancelli per impedire di portare fuori le attrezzature e far entrare i crumiri. Come è accaduto ad inizio di gennaio, durante i raduni la popolazione locale e i collettivi vicini portavano cibo, acqua, vestiti e persino raccolto fondi.

Ma, benché con gli scioperi sia stato ottenuto un aumento dei salari, sono però state ignorate le richieste più importanti: il NO agli effetti della politica di “ottimizzazione”; il reincorporo delle imprese di servizi nella produzione principale; la garanzia della libertà di attività sindacale e la legalizzazione e il riconoscimento dei sindacati indipendenti creati dagli stessi lavoratori. Rimarchiamo che l’ottimizzazione imposta dai manager occidentali ha portato a perdite salariali e del pacchetto sociale per centinaia di migliaia di lavoratori del petrolio.

In quinto luogo, nel dicembre 2021 sono stati improvvisamente licenziati, senza l’offerta di qualche alternativa occupazionale, 40.000 lavoratori delle imprese di servizi e di costruzione del campo di Tengiz, regione di Atyrau, appartenente alla joint venture Tengizchevroil, per il 75% di proprietà delle americane Chevron e Exxon Mobil. La stessa minaccia di licenziamenti incombeva sui lavoratori delle imprese di servizi della regione di Mangistau.

Bisogna tener conto che nella regione del Mangistau i giacimenti, esplorati in epoca sovietica, stanno esaurendosi, molti saranno esauriti entro il 2030. Di conseguenza, per tutti i lavoratori del petrolio si prospetta un’imminente perdita del lavoro. In questa zona si è così venuta a creare una situazione senza speranza, con la minaccia di licenziamenti e l’imminente collasso dell’industria.

L’esplosione sociale

La ragione dell’esplosione del malcontento è stata la decisione del governo di lasciar fluttuare “liberamente” in Borsa il gas liquefatto per le automobili – di venderlo a pronti. Il risultato di questa decisione è che hanno vinto i monopolisti, che già dal primo giorno hanno speculativamente aumentato il prezzo. Il prezzo del carburante è salito da 60 a 120 tenge (fino a 20 rubli) al litro. Il giorno seguente, domenica 2 gennaio, questo ha spinto i residenti e i lavoratori delle compagnie petrolifere locali di Zhanaozen, che usano veicoli a gas, a manifestare con raduni spontanei e a bloccare le strade.

Essi hanno immediatamente ricevuto il sostegno dei residenti e dei lavoratori di tutti i centri distrettuali della regione. La sera stessa è stata organizzata una manifestazione nel centro regionale di Aktau, dove in un primo momento la polizia ha cercato, senza riuscirci, di cacciare la folla dalla piazza principale della città, Yntymak. Il risultato dell’intervento della polizia è stato il rifiuto categorico dei manifestanti di disperdersi e il blocco di tutte le strade centrali.

Si sono così formati due centri di protesta – Zhanaozen e Aktau, dove i partecipanti hanno deciso di tenere una manifestazione a tempo indeterminato fino a quando la loro richiesta – la riduzione del prezzo del gas a 50 tenge al litro (9 rubli) – fosse pienamente realizzata. Parallelamente a questa richiesta i manifestanti hanno chiesto un aumento del 100 per cento dei salari.

Successivamente, durante la notte, e poi la mattina e il pomeriggio del 3 gennaio, hanno cominciato ad unirsi ai manifestanti dei collettivi di lavoratori, con dichiarazioni di sostegno. Tende e yurte venivano erette nelle piazze, la popolazione locale ha organizzato pasti caldi e ha dato il via alla raccolta di fondi. Iniziative queste non nuove, poiché anche durante l’estate e l’autunno, i residenti avevano mostrato solidarietà agli scioperanti, portando cibo e acqua alle tende dei lavoratori.

Le attuali proteste sono perciò da considerare una continuazione degli scioperi di massa dell’anno scorso contro la politica di ottimizzazione imposta dalla direzione occidentale, dove molte imprese ausiliarie e di servizi sono state scorporate dalla produzione principale.

Ha suscitato l’indignazione dei manifestanti anche la notizia del trasferimento di aerei da trasporto militare con truppe il 3 gennaio. Ne è conseguita l’estensione della protesta, i residenti e i lavoratori del centro regionale hanno bloccato tutte le entrate dell’aeroporto.

Una reazione prevedibile, dato il fresco ricordo dell’uccisione degli scioperanti nel dicembre 2011 a Zhanaozen da parte della polizia. Questa notizia ha colpito fortemente i manifestanti, e in risposta a tali azioni delle autorità, già nel corso della notte e il mattino seguente è iniziato uno sciopero generale dei lavoratori del petrolio nella regione di Mangistau, e i lavoratori hanno fermato la produzione nel campo di Tengiz nella vicina regione di Atyrau.

Sono entrati in sciopero i lavoratori petroliferi della compagnia Tengizchevroil, per il 75% di propretà americana – Chevron con il 50%, ExxonMobil il 25%, e la compagnia kazaka KazMunayGas solo il 20%. Così, poco prima del nuovo anno, sono stati licenziati con effetto immediato 40 mila lavoratori, di fatto buttati sulla strada. Ma subito dopo questi licenziamenti, gli scioperi si sono estesi non solo a tutte le imprese di produzione di petrolio delle cinque regioni del Kazakistan occidentale, ma anche all’intera industria estrattiva e alla metallurgia.

Il 4 gennaio sono entrati in sciopero i minatori e metallurgici di Arcelor Mittal nella regione di Karaganda, e i minatori e fonditori di rame della Kazakhmys, con la partecipazione di capitale britannico. I metallurgici locali hanno preso il controllo della città di Khromtau nella regione di Aktobe.

Le principali richieste sociali degli scioperanti: riduzione dei prezzi di alcune merci, aumenti salariali, migliori condizioni di lavoro, stop ai licenziamenti, libertà di attività sindacale e la costruzione di nuove fabbriche – la creazione di una moderna industria manifatturiera per garantire il futuro della regione.

Il 5 gennaio, a Zhanaozen, divenuta la sede politica effettiva di tutto il movimento operaio, sono state avanzate anche richieste politiche: le dimissioni del presidente Tokayev e di tutti i funzionari dell’entourage di Nazarbayev, il rilascio dei prigionieri politici e dei detenuti, il ritorno alla Costituzione del 1993, che garantisce la libertà di formare sindacati, scioperi e di fondare dei partiti. E’ stato eletto nella città il cosiddetto Consiglio degli anziani scelto tra i rappresentanti di tutti i settori, che è diventato l’organo di coordinamento del movimento nella regione ed è stato l’esempio per la creazione di simili comitati e consigli in altre regioni interessate dagli scioperi.

Il ruolo del movimento operaio in questi eventi si è dimostrato decisivo, poiché i collettivi di lavoro hanno costituito il nucleo delle proteste nelle regioni industriali e hanno dato impulso alle manifestazioni di massa in tutte le città del Kazakistan.

Eventi ad Almaty e l’imposizione della legge marziale

Allo stesso tempo, martedì 4 gennaio sono iniziate le manifestazioni a tempo indeterminato ad Atyrau, Uralsk, Aktyubinsk, Kyzyl-Orda, Taraz, Taldykorgan, Turkestan, Shymkent, Ekibastuz, nelle città della regione di Almaty e nella stessa Almaty, dove il blocco delle strade, già nella notte del 4-5 gennaio, si è trasformato in scontro aperto tra manifestanti e polizia, e ne è coseguita la temporanea occupazione dell’akimat [municipio – n.] della città. Questo ha spinto Kassym-Jomart Tokayev ad annunciare lo stato di emergenza la mattina del 5 gennaio.

Va notato che a questi scontri ad Almaty hanno partecipato soprattutto giovani disoccupati e immigrati interni che vivono nei sobborghi della metropoli e lavorano in lavori temporanei o sottopagati. I tentativi di acquietarli con promesse, con la riduzione del prezzo del gas a 50 tenge, solo per la regione di Mangystau e Almaty, non hanno soddisfatto nessuno.

Non ha fermato le proteste neppure la decisione di Kassym-Jomart Tokayev di licenziare il governo e di rimuovere Nursultan Nazarbayev dalla carica di presidente del Consiglio di Sicurezza. Infatti il 5 gennaio sono iniziate manifestazioni di protesta di massa in quei centri regionali del Kazakistan settentrionale e orientale, dove prima non c’erano state – a Petropavlovsk, Pavlodar, Ust-Kamenogorsk, Semipalatinsk. Allo stesso tempo, ad Aktyubinsk, Taldykorgan, Shymkent e Almaty, ci sono stati tentativi di assalto agli edifici degli akimat regionali.

Il 5 gennaio, quando le proteste si sono diffuse in tutto il Kazakistan, e la polizia e l’esercito non potevano più contenere i manifestanti, molti attivisti hanno rilevato il ricorso a provocatori da parte delle autorità. Nella notte tra il 4 e il 5 gennaio e durante il 5 gennaio ad Almaty, nella regione di Mangistau, a Shymkent, a Taldykorgan, a Taraz e in altre città, questo ha fatto sì che molti poliziotti e soldati ordinari disertassero per passare dalla parte dei ribelli.

Pertanto, I servizi speciali, rappresentati dal Comitato di Sicurezza Nazionale, hanno utilizzato gruppi di militanti addestrati da tempo in basi e campi chiusi, per organizzare una “zona di caos” ad Almaty e nel Kazakistan meridionale. Questi gruppi di giovani addestrati, e di criminali agli ordini dei servizi speciali, hanno effettuato pogrom, saccheggi, attacchi alle istituzioni statali, con armi.

L’azione di questi provocatori doveva servire ad accusare tutti i manifestanti di “terrorismo”, per poi dare il via alla repressione dei raduni pacifici e degli scioperanti. Così, la TV e i giornali hanno cercato di presentare tutti i manifestanti come predoni, rapinatori, assassini e persino terroristi. Il 6 gennaio, sono state portate ad Almaty unità dell’esercito e della guardia nazionale, che hanno sparato su molti manifestanti disarmati, e ai giovani disoccupati che il giorno precedente, disarmata la polizia e le truppe locali, avevano preso le armi per rovesciare il regime di Nazarbayev.

A seguito di tutto ciò, per ordine di Kassym-Jomart Tokayev, in Kazakistan è stato instaurato un rigido regime di legge marziale, allo scopo di reprimere con l’esercito le rivolte popolari e gli scioperi dei lavoratori delle industrie estrattive e della metallurgia ferrosa e non ferrosa di proprietà di compagnie americane ed europee.

Ad oggi, secondo le cifre ufficiali, sono state arrestate più di 10 mila persone, 225 sono morte ad Almaty e in alcune città del sud del Kazakistan. Ma in realtà i morti sono stati molti di più, perché ci sono state vere e proprie battaglie tra il popolo in rivolta e le forze della repressione. Allo stesso tempo, ci sono state esecuzioni a Kyzylorda, Aktyubinsk, Atyrau e in altre città, dove non ci sono stati casi di pogrom. Il presidente ha definito terroristi i manifestanti, sostenendo che dall’esterno erano giunti 20.000 combattenti armati. Una menzogna!

Sabato 8 gennaio, allo scopo di evitare spargimenti di sangue, i lavoratori petroliferi del Kazakistan occidentale, come pure i metallurgici, i minatori, i fonditori di rame e i minatori delle miniere della regione di Karaganda, hanno deciso di diminuire i raduni e di sospendere gli scioperi. Ma dal 2 gennaio, nelle regioni industriali dove la classe operaia rappresentava il nucleo delle proteste, i lavoratori sono riusciti a mantenere viva la protesta nelle manifestazioni.

L’influenza esterna sugli eventi

I media e i social network, così come molti partiti di sinistra e comunisti [? -n.], hanno diffuso teorie cospirative sull’intervento di Stati Uniti, Ucraina, Gran Bretagna, Turchia e altri stati che avrebbero cercato di organizzare una “rivoluzione colorata” in Kazakistan.

In verità, già il 6 gennaio, il Dipartimento di Stato americano si è espresso a sostegno del regime esistente in Kazakistan, come pure le autorità della UE, e le leadership di Russia e Cina. Cioè, si è trattato di una esplicita manifestazione di solidarietà di classe borghese nella lotta contro il movimento di massa dei lavoratori e degli strati popolari.

E’ falsa anche la dichairazione del presidente Tokayev su un presunto intervento di 20.000 terroristi islamici che avrebbero invaso il territorio del Kazakistan. Fino ad oggi, non è stato trovato un solo cittadino di paesi arabi tra i morti, i feriti o gli arrestati. Questa leggenda di un’invasione esterna serviva a giustificare il ricorso a carri armati e armi pesanti contro i manifestanti e gli scioperanti, e anche a giustificare la necessità di trasferire truppe dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva in Kazakistan. In questo modo si cerca anche di demonizzare agli occhi dei lavoratori di altre repubbliche dell’Unione Sovietica le rivolte operaie e la protesta popolare di massa.

Finora, nessuna forza sta cavalcando questo movimento di protesta o le prese di posizione dei lavoratori, poiché al momento il campo politico è stato completamente sgombrato, tutti i partiti e movimenti di opposizione, compreso il Partito Comunista, sono stati chiusi. Tutti i sindacati indipendenti sono stati liquidati. E, dopo l’adozione della legge anti-lavoro “sui sindacati” nel 2014, più di 600 sindacati sono stati liquidati in Kazakistan per ordine del tribunale. L’ultima Confederazione dei sindacati indipendenti del Kazakistan è stata chiusa da una decisione del tribunale nel 2017, e quattro dei loro leader sono stati condannati a varie pene detentive.

Naturalmente, ci saranno in seguito tentativi da parte delle forze borghesi di addomesticare il movimento di protesta, ma finora questo non è successo e non ci sono leader e associazioni politiche che possano parlare a nome di queste masse. Questo dimostra ancora una volta che quanto è avvenuto è un’esplosione sociale e un movimento popolare di massa che ha avanzato una serie di giuste rivendicazioni economiche, sociali e politiche, con la caduta dell’attuale regime.

Ad oggi, il presidente Tokayev è riuscito a stabilizzare temporaneamente la situazione introducendo un regime militare. Ma è un successo temporaneo, perché permangono tutte le contraddizioni di classe e lo stesso sistema politico, così come il dominio delle corporazioni transnazionali, nonostante il populismo nazionalistico dei suoi recenti discorsi. È da notare che le imprese americane ed europee sono state le prime a rivolgersi al presidente con la richiesta di ristabilire l’ordine. Il 5 gennaio Tokayev ha dichiarato che le proprietà e gli investimenti delle imprese straniere sarebbero stati protetti dallo Stato. E infatti ora per proteggere la proprietà delle compagnie americane Chevron e ExxonMobil sono state inviate le truppe nel campo di Tengiz, dove in precedenza i lavoratori del settore petrolifero in sciopero avevano bloccato la ferrovia e l’autostrada.

Non pensiamo che questa sia la sconfitta finale del movimento operaio. Al contrario, i lavoratori del petrolio, i minatori e i metallurgici hanno acquisito una preziosa esperienza nelle battaglie di classe, e per la prima volta c’è stato uno sciopero generale nell’industria mineraria. Le autorità non sono riuscite ad abbattere e schiacciare le proteste e gli scioperi dei lavoratori nell’Ovest e nel Centro del Kazakistan, dove i lavoratori hanno sospeso le proteste in modo organizzato. Questo significa che lo sciopero generale può essere ripetuto di nuovo, solo con richieste più specifiche e tattiche di lotta avanzate.

La nostra missione è sostenere la creazione di sindacati di classe e il ribaltamento della decisione della Corte Suprema del 2015 di liquidare il Partito Comunista e legalizzare il Movimento Socialista, e mostrare alla classe operaia che il socialismo è l’unica alternativa che riflette i loro interessi.

articolo apparso sul sito pungolorosso.wordpress.com

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