Lo scorso 2 marzo, Miguel Urbán, eurodeputato di Anticapitalistas (la sezione della IV Internazionale nello Stato Spagnolo, fino a qualche tempo fa una componente di Podemos), è stato uno dei pochi e delle poche parlamentari della sinistra radicale (sette in tutto) che hanno votato CONTRO la risoluzione del Parlamento Europeo sulla guerra in Ucraina. In questo articolo, pubblicato il 15 marzo sul sito elDiario.es, Miguel Urbán spiega il senso del suo voto e la posizione della sua organizzazione sulla situazione creatasi con la guerra in Ucraina. (Red.)
Il Parlamento europeo vota per nuovi “orizzonti di gloria”
Pochi giorni fa, l’alto rappresentante dell’UE per la politica estera, Josep Borrell, ha usato la tribuna del Parlamento europeo per pronunciare un discorso guerrafondaio che ricorda il generale Broulard in Orizzonti di gloria. Quegli alti ufficiali ritratti così bene nel film di Kubrick, che si riempiono la bocca di termini come coraggio, patriottismo, valore, disciplina e obbedienza mentre guardano la guerra dai loro uffici. “Nessuno può invocare la risoluzione pacifica dei conflitti. Ricorderemo coloro che in questo momento solenne non stanno dalla nostra parte”, ha detto Borrell in tono minaccioso e inquisitorio. Un avvertimento a coloro che si oppongono alla deriva guerrafondaia dell’UE sostenendo una risoluzione pacifica all’intollerabile invasione dell’Ucraina da parte del regime dittatoriale di Putin.
Ma risulta che alcuni di noi non hanno alcun impegno con i partiti, i regimi e i governi che hanno contribuito a questa situazione di guerra. La nostra simpatia è con il popolo ucraino che soffre per la guerra e con il popolo russo che vi si oppone. Gli anticapitalisti e le anticapitaliste non fanno politica nell’interesse delle classi dominanti e dei loro strumenti politici, ma nell’interesse internazionalista della classe lavoratrice. Questa è una tragica guerra imperialista, che avrebbe potuto essere evitata. Ma la logica dell’imperialismo l’ha spinta e né Putin, responsabile di averla scatenata, né la NATO, con la sua crescente strategia interventista, saranno perdonati per questo. Il primo, per aver attaccato il popolo ucraino e aver cercato di imporre il suo progetto imperiale della Grande Russia. Il secondo, per aver spogliato l’Ucraina della sua sovranità, trasformando il paese in una pedina della sua geopolitica in alleanza con l’élite corrotta che ha saccheggiato l’Ucraina in collusione con l’Occidente per tutti questi anni.
È logico che coloro che lottano attualmente in Ucraina contro Putin decidano di prendere le armi o adottare altre forme di resistenza civile e facciano tutto il possibile per opporsi a questa occupazione. L’onestà politica esige che nella risposta europea si riconosca che, di fronte a questa guerra, ci sono diverse posizioni. Da un lato, ci sono quelli che hanno optato per una corsa agli armamenti e sono pronti ad andare fino in fondo, anche trascinando il pianeta in una guerra totale tra potenze nucleari. Un’opzione che sembra meno lontana oggi rispetto a quindici giorni fa, visto l’approccio sempre più aggressivo di Putin. Ma ci sono altre posizioni. Come quelli di noi che sono impegnati a sostenere i popoli ucraino e russo e, allo stesso tempo, a fermare la guerra il più presto possibile attraverso un processo di negoziazione come unico modo per fermare l’escalation militare, evitare un caos geopolitico ancora maggiore e riuscire a fermare questo conflitto prima che sia troppo tardi.
Nuove velleità militariste sembrano aver conquistato i corridoi e gli uffici di Bruxelles. La settimana scorsa il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che avrebbe dovuto denunciare l’occupazione di Putin in Ucraina ed esprimere solidarietà con il popolo ucraino, cosa che noi Anticapitalisti abbiamo sempre difeso. Ma la risoluzione è stata molto di più che una condanna di Putin, poiché ha usato la guerra e le sofferenze ucraine come alibi per rimilitarizzare l’Europa, proponendo un aumento delle spese militari in un’escalation guerrafondaia che beneficia solo le multinazionali della morte e rafforza il ruolo della NATO come gendarme mondiale al servizio dell’agenda di Washington, a cui le potenze europee sono subordinate. Tra le altre cose, la risoluzione adottata nel Parlamento europeo afferma, e cito:
“Ribadisce che la NATO è la base per la difesa collettiva degli Stati membri alleati della NATO; accoglie con favore l’unità tra l’Unione, la NATO e altri partner democratici simili per affrontare l’aggressione russa, ma sottolinea la necessità di rafforzare la loro posizione di deterrenza collettiva, la preparazione e la resilienza; incoraggia l’intensificazione della presenza avanzata della NATO negli Stati membri geograficamente più vicini all’aggressore russo e al conflitto; sottolinea le clausole di mutua assistenza e solidarietà dell’Unione e chiede l’avvio di esercitazioni militari comuni; ribadisce il suo invito agli Stati membri ad aumentare la spesa per la difesa e a garantire capacità più efficaci, e a sfruttare appieno gli sforzi comuni di difesa nel quadro europeo, in particolare la Cooperazione strutturata permanente (CSP) e il Fondo europeo di difesa, al fine di rafforzare il pilastro europeo all’interno della NATO, che migliorerà la sicurezza dei paesi NATO e degli Stati membri”.
Può sembrare aneddotico, ma nella risoluzione del Parlamento Europeo la parola pace appare solo quattro volte, mentre termini come NATO 15 volte e sicurezza 22 volte. Le parole possono dire molto sulle reali intenzioni di un testo. Con questo passo, l’UE capovolge la sua politica teoricamente pacifista sancita dai trattati ed accelera la formazione del suo braccio armato e la sua rimilitarizzazione, favorendo un aumento delle spese militari ad almeno il 2% del PIL di ogni Stato membro. Ciò è già stato annunciato in un paese come la Germania, cosa che, conoscendo la storia del militarismo tedesco, dovrebbe preoccupare i cittadini europei che hanno almeno una minima conoscenza della storia del continente.
Inoltre, la risoluzione approvata prevede spedizioni di armi che contraddicono gli stessi trattati europei che vietano espressamente di destinare fondi del bilancio comune a progetti con “implicazioni militari o di difesa”. Per aggirare questo ostacolo, si è ricorso allo strumento europeo per la pace (creato tre anni fa con l’obiettivo di contribuire alla pace e alla stabilità in zone remote del mondo, ma il cui primo compito è paradossalmente quello di finanziare 450 milioni in armi per l’Ucraina). E poiché questo strumento è stato eliminato dal quadro finanziario pluriennale e ha una dotazione esterna, può tranquillamente aggirare i trattati europei che lo vieterebbero.
Allora perché l’UE decide di inviare armi ora? Perché in Ucraina? Perché non in uno qualsiasi dei molti altri conflitti nel mondo dove la legalità internazionale è anche palesemente violata? Mi viene in mente il Sahara occupato illegalmente, ma ci sono tanti altri esempi in cui l’UE guarda – nel migliore dei casi- dall’altra parte, quando non è direttamente coinvolta nel sostenere un belligerante o la potenza occupante. Inoltre, possiamo essere sicuri che queste spedizioni di armi andranno a coloro che ne hanno più bisogno, la popolazione civile assediata, e non ai gruppi militari dell’estrema destra?
Siamo sinceri: alle élite politiche ed economiche europee non dispiacerebbe impantanare il conflitto in Ucraina per anni, anche a spese del popolo ucraino, rafforzando governi fantoccio che, nel frattempo, consoliderebbe e giustificherebbe la dittatura di Putin. Ecco perché non mostrano alcun interesse a perseguire iniziative diplomatiche e hanno spostato il dibattito e le misure verso il vicolo cieco del riduzionismo militare. Ciò che è indubbio è che questa escalation armamentistica sta riempiendo le casse di un’industria militare che ha già guadagnato più di 24 miliardi di euro dall’inizio della guerra.
Ma torniamo a Bruxelles. Tra i discorsi fatti al Parlamento europeo la settimana scorsa c’era l’idea che l’Europa non sia mai stata così unita. E la verità è che la guerra viene usata con una logica di union sacrée e come ancora di salvezza per un progetto europeo che soffre da tempo di una grave crisi di legittimità. L’avventura criminale di Putin permette così all’Unione Europea di coalizzarsi sulla base di un forte senso di insicurezza di fronte alle minacce esterne, che legittima la sua rimilitarizzazione (che è molto più del suddetto aumento delle spese militari) e permette alla NATO di diluire ogni accenno di indipendenza politica dell’UE, mentre recupera una legittimità e un’unità perse da tempo, soprattutto dopo il fallimento dell’occupazione dell’Afghanistan.
Di fronte alla deriva militarista e guerrafondaia che sta travolgendo l’Europa, e nonostante l’atmosfera maccartista di intimidazione intellettuale e demagogia guerrafondaia, alcuni di noi hanno deciso di alzare la bandiera di una tradizione socialista che ha sempre lottato per la pace e contro l’imperialismo, da qualsiasi parte provenga. So perfettamente che non esistono ricette magiche che possano risolvere improvvisamente questa situazione. Votando contro la risoluzione del Parlamento europeo, noi Anticapitalisti accettiamo le contraddizioni di questa posizione. Ma è una posizione che abbiamo adottato collettivamente, coscientemente e autonomamente, non condizionata da “ciò che dirà la gente” o da calcoli spuri. Abbiamo votato no alla rimilitarizzazione dell’Europa. E l’abbiamo fatto perché abbiamo rifiutato di usare l’inaccettabile e criminale invasione del regime tirannico di Putin contro l’Ucraina per rafforzare la NATO e per gettare la minaccia di uno scontro tra potenze imperialiste sulla vita dei lavoratori e delle lavoratrici ucraini e russi. Abbiamo detto no a coloro che vogliono riportarci alla logica della Union Sacrée delle prime battute della Grande Guerra, obbligandoci ad accettare nuovi crediti di guerra.
Perché se è vero che, per il momento, solo una potenza ha lanciato un’aggressione e il popolo ucraino ha il diritto di resistere, armato e disarmato, e di lottare per la propria sovranità (cosa che dovrebbe comportare il non allineamento, esattamente il contrario di diventare un satellite della NATO o della Russia), non è meno vero che in Ucraina la NATO si prepara sempre più a intervenire contro la Russia. E questo non fa che rendere la situazione sempre più pericolosa, aumentando il rischio di degenerare in uno scontro aperto tra potenze nucleari più il conflitto si trascina.
Non si tratta di schierarsi con una potenza imperialista o con un’altra. Perché quando si tratta di trasformare questa guerra di aggressione in una disputa tra imperi, gli anticapitalisti non possono cadere in questa trappola binaria, ma devono romperla. La nostra posizione è di parte, attiva e chiara a favore dei popoli ucraino e russo, per la pace senza annessioni, per il ritiro incondizionato delle truppe russe dall’Ucraina e per garantire il diritto dei popoli, senza eccezione, di decidere liberamente il loro futuro. Per inciso, la stessa posizione difesa da Trotsky e Lenin alla Conferenza di Zimmerwald, che Putin ha attaccato tanto in questi giorni per aver difeso il diritto all’autodeterminazione dei popoli, a cominciare da quello della Repubblica Ucraina, e per questo cercheremo la massima collaborazione possibile con la sinistra ucraina e russa.
E per tutto questo, l’UE dovrebbe sostenere i negoziati che sono già in corso tra Putin e il governo ucraino, aiutando così a fermare questa barbarie il più presto possibile. Fare pressione con tutti i mezzi sull’oligarchia russa che sostiene il regime di Putin, sanzionando gli oligarchi e non il popolo, con misure come l’esproprio degli attivi e passivi dei milionari russi per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina. Questo richiederà la creazione di un registro finanziario internazionale, che permetta di conoscere i veri proprietari, una misura che sicuramente non farà piacere alle fortune occidentali.
La geopolitica e la realpolitik spesso dimenticano i popoli. E a sostegno del popolo ucraino, la richiesta di cancellare il debito estero è oggi uno degli strumenti più potenti per alleviare la pressione sull’economia ucraina (e, per inciso, su quella di tutti i paesi strangolati da esso), sulla sua popolazione e sulle sue finanze, rendendo possibile delineare un futuro che non comporti l’impoverimento del suo popolo. Una proposta di cui, per ovvie ragioni, nessuna delle parti imperiali del conflitto sembra essersi mai preoccupata molto, e ancor meno ora.
Ma al di là dell’Ucraina, è essenziale sollevare un piano di shock sociale di fronte alle prevedibili e già presenti conseguenze economiche e sociali della guerra in Europa. Dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi negli aiuti umanitari al popolo ucraino e a coloro che fuggono per rifugiarsi in quello che è già il più grande esodo in Europa dalla seconda guerra mondiale. Ciò richiede una condivisione equa e solidale dell’onere degli sforzi di accoglienza in tutta Europa. Anche la crisi economica che incombe su tutto il continente deve essere affrontata con misure coraggiose, affinché le classi lavoratrici non debbano ancora una volta pagare il prezzo di questa guerra. A tal fine, oltre a controllare l’aumento dei prezzi dell’energia e di tanti altri beni, è necessario un aumento dei salari e del potere d’acquisto della classe operaia per evitare un aumento del costo della vita. Ma non inganniamoci: il controllo dei prezzi non è possibile senza una pianificazione sociale ed ecologica dell’economia, né senza la nazionalizzazione di settori strategici come l’energia. E, ovviamente, niente di tutto questo verrà da solo o per volontà di chi ci governa, ma richiederà una mobilitazione attiva e cosciente della classe operaia.
Sappiamo che il mondo sta scivolando verso una crisi di grande portata in tutti i settori e che le guerre sono un momento di riorganizzazione capitalista in cui il grande capitale accumula enormi profitti e regola le condizioni sociali contro la classe lavoratrice. Anche l’organizzazione di una risposta popolare a questo scenario fa parte del No alla guerra.
Il futuro del nostro secolo viene scritto oggi nelle pianure ucraine. Le forze trasformatrici europee devono prendere una posizione attiva con una propria agenda, che rifiuti inequivocabilmente il progetto politico imperiale dell’oligarchia russa e dell’autocrazia di Putin, ma anche l’agenda militarista della NATO e i dettami imperialisti di Washington. Per scongiurare lo spettro di un confronto nucleare, dobbiamo tornare ad un’agenda di disarmo e denuclearizzazione dell’Europa, mettendola al servizio degli interessi dei popoli. E a coloro che ci parlano con veemenza bellicista e retorica guerrafondaia per mettere i lavoratori contro i lavoratori in una guerra che essi non combatteranno, dobbiamo rispondere che dietro gli orizzonti di gloria non vi sono che tombe…