Fermare le importazioni e diventare rapidamente indipendenti da Vladimir Putin e dal gas russo è quanto oggi molti auspicano. Il ministro dell’Economia annuncia la nazionalizzazione di Gazprom Germania. Lunedì pomeriggio, 4 aprile, Robert Habeck [partito dei Verdi] si presenta davanti alla stampa – lo attende un’imminente riunione europea – il tempo è essenziale, il messaggio è chiaro: il ministero federale dell’Economia nomina, tramite ordinanza, che sarà l’Agenzia federale per le reti di distribuzione a svolgere la funzione di amministratore del gruppo Gazprom Germania.
Non si tratta ancora, in senso stretto, di una vera nazionalizzazione. Fino alla fine di settembre, lo Stato tedesco assume temporaneamente il controllo di parti importanti dell’infrastruttura locale del gas – commercio, trasporto, funzionamento degli impianti di stoccaggio del gas – al posto del Cremlino. Ma ciò è stato preceduto da una mossa non molto chiara di Mosca. Il venerdì precedente, Gazprom aveva annunciato di volersi separare dalla sua filiale tedesca e liquidarla. Poiché il gruppo avrebbe violato l’obbligo di notifica e non avrebbe chiesto l’approvazione necessaria al ministero federale dell’economia, Robert Habeck è intervenuto: il decreto serve a «proteggere la sicurezza e l’ordine pubblico e a mantenere la sicurezza dell’approvvigionamento». Quest’ultima è «attualmente garantito». Questa frase non manca praticamente mai nei discorsi di Robert Habeck. Ma per quanto tempo sarà garantita? Importanti contratti a lungo termine per la consegna di gas russo alla Germania sono gestiti da Gazprom Germania, la loro esecuzione è garantita?
Il gas russo scorre ancora e in abbondanza. Il 30 marzo, Habeck aveva dichiarato il «livello di allarme rapido del piano d’urgenza per il gas». I rapporti quotidiani obbligatori sulla situazione dell’Agenzia federale delle reti indicano che «non c’è da deplorare alcuna perturbazione delle forniture di gas alla Germania». Contemporaneamente anche il denaro continua a scorrere dalla Germania verso la Russia e – lo si dimentica troppo volentieri – dalla Russia all’Ucraina, per il pagamento del transito del gas attraverso il suo territorio.
La lite tra economisti sull’embargo
Con il diffondersi di sempre nuove immagini sull’orrore della guerra, aumenta la pressione per fermare il flusso – e con essa l’eccitazione relativa al dibattito se la società tedesca sia davvero pronta a sopportare le conseguenze di un improvviso arresto delle forniture di carbone, di petrolio e, soprattutto, di gas dalla Russia. Un gruppo di economisti aveva già suggerito che si dovesse andare in questa direzione, poggiandosi su un modello previsionale che valuta le conseguenze in un calo del prodotto interno lordo (PIL) fino al 3%: «una netta recessione, ma fattibile se necessario», ha dichiarato uno dei suoi membri, Moritz Schularick [di MacroFinance Lab].
Da allora, gli economisti tedeschi discutono furiosamente e Moritz Schularick potrebbe essere preoccupato per le parole taglienti del cancelliere: Olaf Scholz, noto per la sua accondiscendenza nei confronti degli economisti, ha affermato nel noto programma televisivo di Anne Will [Das Erste su ARD-NDR] che è «irresponsabile addizionare modelli matematici che non funzionano». Una dichiarazione accolta con favore da tutti quegli economisti che pensano che Schularick & Co. vogliano condurre la Germania verso una catastrofe economica e sociale.
Per i critici, il rifiuto di fermare immediatamente le importazioni è semplicemente l’espressione della determinazione dell’industria tedesca nel mantenere un modello economico basato sulla combustione delle materie prime fossili dannose per il clima: «Ciò che sembra importare, è chi può tirare fuori il telefono e comporre il numero giusto, con la persona giusta dall’altro capo. Sono gli stessi rappresentanti dell’industria e gli stessi gruppi di riflessione che ci hanno spiegato per anni come la dipendenza dalla Russia non fosse un problema».
Le conseguenze di un embargo per l’industria
I rappresentanti dell’industria, i quali sarebbero i primi ad essere colpiti da una chiusura che darebbe la priorità nell’approvvigionamento di calore alle famiglie private, non si accontentano più di tirare fuori i loro telefoni ed esercitare pressioni sui ministeri tedeschi. Osano uscire dal loro riserbo e parlare alla stampa: «Se i cittadini fossero consapevoli delle reali conseguenze di un boicottaggio energetico, la maggioranza si opporrebbe», ha detto al Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung Martin Brudermüller, presidente del gruppo BASF [una delle compagnie chimiche più importanti al mondo], la cui filiale Wintershall Dea ha scambiato nel 2015 con Gazprom cisterne di gas fabbricate in Germania con terreni per l’estrazione di gas in Siberia. «Vogliamo distruggere tutta la nostra economia senza battere ciglio?», si chiede ora Martin Brudermüller. Il capo di Siemens Energy, Christian Bruch, l’ha detto con più moderazione sul giornale Handelsblatt: la questione è sapere «ciò che un’azienda è pronta a sopportare». Le conseguenze di un boicottaggio a breve termine sarebbero più gravi per la Germania che per la Russia.
Basta dare un’occhiata all’industria del vetro locale, che conta circa 400 aziende e 54’000 dipendenti: le fiamme per le loro vasche di fusione bruciano 24 ore al giorno – se si spengono a causa della penuria di gas (macchine che sono costate diversi milioni) andranno di fatto distrutte ed è molto improbabile che un produttore investirà ancora una volta per nuove istallazioni. Come dice il padrone di BASF Martin Brudermüller: «Se c’è molta energia solare in Australia per produrre idrogeno verde e anche molto minerale di ferro, perché non produrre acciaio lì invece che in Germania?» A ciò si aggiungono effetti a cascata: se l’industria della carta, ad esempio, non potrà più produrre cartone, altri settori, che ne hanno bisogno per imballare i loro prodotti, ne saranno colpiti.
Perdite di produzione, disoccupazione, danni irreversibili a livello dello stock di capitale: sono simili prospettive che fanno dire al ministro dell’economia che ora si tratta di prendere decisioni «ben ponderate, ben preparate, concentrate» – «e non buttare tutto a mare perché oggi ci sentiamo così» senza dire semplicemente: «Ora, facciamolo e basta, è ciò che oggi mi sento di fare», ha detto recentemente Habeck a Markus Lanz [in un programma della ZDF].
Per l’ecologista Habeck non si tratta di una questione sentimentale, come d’altronde non smettono di ricordargli gli imprenditori tedeschi che, a cominciare proprio dal padrone di BASF Brudermüller, non lesinano lodi a questo proposito. Piuttosto, è stata la sua visita in Qatar lo scorso marzo ad avergli fatto prendere coscienza di quale maratona rappresenti raggiungere l’indipendenza nei confronti dalle materie prime russe.
Il pacchetto di Pasqua di Robert Habeck
Saad al-Kaabi, ministro dell’energia del Qatar e capo del gruppo pubblico Qatar Energy, ha dichiarato alla FAZ dopo il suo incontro con Habeck, che non si trattava di una questione relativa a un “accordo” concreto sulle forniture di gas liquido alla Germania. Si fornirebbe volentieri più gas, ma quasi tutto il gas del Qatar è vincolato fino al 2026 da contratti di fornitura vincolanti, ed è solo allora che l’aumento della produzione libererà nuove capacità. Se si vuole ridurre la dipendenza da altri paesi, «bisogna pianificarla e ci vogliono anni affinché il tutto sia sviluppato». Tanto più che la forma liquida della fornitura di gas richiede terminali specifici di GNL, come quelli che la Polonia, la Lituania o la Spagna hanno costruito negli ultimi anni e che hanno permesso di ridurre la loro dipendenza, mentre in Germania ci vorrebbe idealmente almeno un altro anno e mezzo prima che questo tipo di infrastrutture possano essere pronte e funzionanti.
Quindi la buona notizia rimane per il momento quella relativa al medio termine: dopo che i governi hanno fatto resistenza per anni, Robert Habeck e il suo amico del partito dei Verdi, il ministro federale dell’ambiente Steffi Lemke, si sono accordati su alcune regole uniformi a livello federale per lo sviluppo dell’energia eolica e la protezione delle specie – standard per verificare in che misura una turbina eolica mette in pericolo le specie di uccelli. «La strada è ora libera per aumentare la superficie delle turbine eoliche sulla terraferma», ha detto con soddisfazione Habeck. Mercoledì 6 aprile, il governo ha approvato quello che il ministero dell’Economia ha definito «il più grande emendamento di politica energetica degli ultimi decenni» per accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili. «Grazie a un netto aumento dell’efficienza energetica, allo sviluppo delle energie rinnovabili e all’elettrificazione dei processi industriali e del riscaldamento degli edifici, il fabbisogno di gas della Germania può essere ridotto di circa un quinto entro il 2027», aveva calcolato recentemente il gruppo di riflessione Agora Energiewende, il cui capo Patrick Graichen è entrato nel ministero di Habeck a dicembre come segretario di Stato.
Marcel Fratzscher, presidente dell’Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW), dichiara essere necessaria un’enorme quantità di denaro per accelerare la transizione energetica: «Abbiamo bisogno di una spinta agli investimenti davvero massiccia».
Ciò che dice Marcel Fratzscher sull’inflazione
Marcel Fratzscher è favorevole all’indipendenza nei confronti dalla Russia, ma lo scenario di un’uscita improvvisa lo preoccupa fortemente – così come la questione di sapere se la coalizione (SPD, FDP, Verdi) sia all’altezza delle sfide sociali che dovranno essere affrontate. Questo è particolarmente vero di fronte ai prezzi dell’energia che rimarranno molto alti per diverso tempo e che continueranno a stimolare la crescita dell’inflazione, che attualmente ha raggiunto un picco del 7,3%, rispetto agli ultimi quattro decenni: «La guerra ha cambiato completamente le prospettive dell’inflazione non solo per quest’anno, ma per i prossimi cinque-dieci anni».
Marcel Fratzscher è stato testimone della crisi asiatica in Indonesia alla fine degli anni ’90 e di come l’esplosione dei prezzi dell’energia possa far implodere una società. Ma basta guardare alle proteste dei gilets jaunes in Francia dopo l’aumento dei prezzi della benzina per avere un’idea di cosa può succedere se un governo non prende contromisure. Il che, nella Germania di oggi, significherebbe, tra le altre cose, aumentare i contributi al sostegno sociale fissati dalle famigerate leggi Hartz IV, abbandonare il freno dell’indebitamento o aumentare le imposte. Marcel Fratzscher ha in mente la riattivazione e la riforma dell’imposta di di successione o un’imposta unica per i proprietari di immobili.
«La mia più grande preoccupazione è questa: la trasformazione richiede un capitale politico e questo è limitato», afferma il leader del DIW. Il populismo, così come il freno al prezzo della benzina voluto dal ministro liberale Christian Lindner ma di cui più della metà del 20% di coloro che dispongono di redditi più bassi non avrebbe alcun beneficio poiché non possiede un’automobile, non farebbe che peggiorare le cose.
*Articolo pubblicato sul sito del settimanale tedesco Der Freitag l’8 aprile 2022. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS.