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Un amico ci segnala questa riflessione di Domenico Quirico, apparsa sul quotidiano italiano La Stampa di oggi. Un invito a riflettere. (Red)

Dove scovare un vocabolario inedito, un linguaggio originario per descrivere? Il linguaggio della guerra non è umano, neppure animale. È minerale. Allora: c’è un missile, una arma per uccidere, un missile vecchio, fatto apposta per esser gettato a caso e far strage di chi ha la malasorte di essere nel suo raggio. Nessun blateramento in questo caso: armi intelligenti, tecnologia super, ingegneri della morte ultimo modello… Solo un miserabile cilindro di ferro costruito per ammazzare. L’ingegno umano al suo grado zero. Che non si è disintegrato, si è scomposto in leggibili frammenti.
E poi c’è un luogo: la stazione ferroviaria di Kramatorsk, un luogo in cui c’è nulla da vedere, solo binari anonimi, su cui i fuggiaschi cercano un mezzo per allontanarsi dai luoghi della morte, andare verso Ovest, dimenticare sirene e bombe. Li vediamo sedere a terra in attesa, masse di dolore e di speranza. E il missile che arriva, dapprima un lontano scoppio metallico affilato e levigato dall’aria, un sibilo che si avvicina rapidamente, poi il frastuono dello scoppio, l’aria che si disintegra.
E poi c’è una scritta, parole in cirillico: «Per i bambini» in lettere bianche, ben visibile su un frammento dell’ordigno. Il missile è caduto vicino alla stazione, cinquanta fuggiaschi si riuniscono per sempre nella morte. Tra loro dieci bambini.
Un altro luogo maledetto dell’Ucraina per una umanità inghiottita. E adesso è come se quella scritta fosse talmente illeggibile, in una lingua sconosciuta che non si può nemmeno tentare di decifrarla.
Questo è solo un racconto. Dentro ci sono dei fatti. Eppure le parole che li spiegano diventano un muro. È possibile varcarlo? Come possiamo varcarlo? La riposta è no. Da qualunque punto di partenza si parta e ce ne sono molti, troppi, nelle prime ricostruzioni della colpa che diventano furibonde accuse ucraine di strage ancor più oscena e dinieghi indignati dei russi, si arriva sempre stremati alle stesse tenebre. In qualunque modo lo rivolti: ovvero c’è un missile su cui qualcuno ha scritto «per i bambini». Come è possibile fare questo? Viene la tentazione di dire per non esser travolti da questo universo stregato e stregante: ci spetta soltanto il compito di raccontare.
È una vecchia, orribile abitudine della guerra quella di dedicare le bombe. Nel secondo conflitto mondiale abbondano le foto degli avieri di tutti gli eserciti che prima del decollo si facevano immortalare con il sorrisone e il dito alzato per indicare la vittoria mostrando le bombe firmate che stavano per essere caricate nella stiva o sotto la pancia dell’aereo: «Churchill questa è per te… Hitler stiamo arrivando…», «Mussolini trema…». Qualcuno più spiritoso e con talento artistico aggiungeva anche la caricatura del destinatario. Gli artigiani e i tecnici della morte collettiva hanno sempre avuto la tentazione di operare con macabra ironia. C’è qualcosa di lugubremente asettico in questo modo di uccidere: perché chi ha scritto la dedica le vittima non le vede. Pensa di essere innocente.
Ma le dediche, allora, erano quasi sempre per i simboli del nemico, i dittatori i presidenti i generali. Qui c’è una mano che ha preso un barattolo di vernice bianca e ha vergato sul cilindro del missile non «Per Zelensky», «Per il battaglione Azov» o anche «Per Putin». Ha scritto la parola «bambini». Il linguaggio umano sembra riportato alla sola violenza. Ridotto a queste sillabe non c’è appiglio a cui si possa far ricorso: crudeltà perversione sfregio vendetta idiozia follia? Nessun riferimento umano, nessun appoggio. Non si sa cosa dire. Nell’universo di cenere di questa guerra a poco a poco tutto si annulla, non hai finito di imprecare di deprecare di urlare, ed è sempre troppo tardi perché c’è già qualcos’altro. Terrore, vergogna, dolore. No, non si riesce a dire nulla.
Se non parlare di quanto questa guerra è coperta dalla grigia sporcizia della disinformazione, della prosa sciolta e disonesta dell’inganno, della bugia. Una vertigine angosciata così inestricabile, avviluppata con cura, in cui tutto si smarrisce, che soffoca le stesse domande. Per gli ucraini il missile è l’ennesimo infernale crimine della ferocia russa che bisogna fermare. Per i russi e i loro alleati del Donbass, già coperti di altre vergogne, solo gli ucraini usano quel vecchio tipo di missile e quindi sono loro i responsabili di una ennesima gigantesca, diabolica provocazione, disposti perfino a uccidere i propri fuggiaschi pur di far salire l’odio universale contro i russi. Nell’opacità delle versioni divergenti si fa notare che le due parole si possono leggere in modi opposti: missile destinato ai vostri bambini o missile che vendica i bambini che voi avete ucciso.
Il delitto ha la sua nudità. Ha la sua verità: scoprire, a qualunque costo, subito, ora, chi ha addobbato e scagliato quel missile. Per non tradire noi stessi tradendo quei morti bisogna punire. 

*La Stampa, 9 aprile 2022

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