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Gli industriali ticinesi sono tornati a lamentarsi. Uno studio da loro commissionato ci dice che nello spazio di pochi anni mancheranno almeno 5’000 lavoratori o lavoratrici qualificate sul mercato del lavoro ticinese). L’AITI chiede “alla politica” misure efficaci per far fronte a questo problema, in particolare un forte potenziamento dell’orientamento professionale onde orientare le scelte di giovani e famiglie verso l’apprendistato e professioni oggi snobbate.

Manuele Bertoli, un po’ stizzito, ha fatto notare come il Cantone la propria parte la stia facendo. Ed è vero. Seppur ancora in modo insufficiente, il Cantone ha avviato un processo di potenziamento dell’orientamento professionale; ciò malgrado le scelte dei giovani non sembrano essersi modificate in modo decisivo. Anzi, il potenziamento dei mezzi a disposizione dell’orientamento sembra sempre più essere “consumato” dalle centinaia di giovani che ogni anno sfuggono alle maglie del sistema (cioè, dopo la scuola media, non iniziano un apprendistato né si iscrivono a una scuola superiore, né tantomeno a una scuola professionale tempo pieno). Un fenomeno a lungo negato e che oggi diventa prepotente; unitamente ad un altro fenomeno finora sottovalutato (spesso ignorato): le centinaia di giovani che alla fine delle media sono dirottate verso quelle che vengono chiamate le “misure di transizione” (il pre-tirocinio di una volta…)

In realtà il tanto decantato sistema formativo nel nostro paese (il cosiddetto sistema duale) non funziona più. In particolare si conferma una sempre più chiara e profonda contraddizione tra gli orientamenti e le scelte dei giovani e l’offerta di posti di tirocinio che, per quel che riguarda l’apprendistato in azienda, resta di assoluto monopolio del padronato. È il padronato, con la propria offerta a dettare i ritmi dell’evoluzione dei posti di tirocinio, a determinare, per finire, anche l’evoluzione della domanda.

A pesare su questa contraddizione, oltre all’offerta quantitativa, vi è anche la qualità dell’offerta. Il tirocinio in azienda (pensiamo, ad esempio, al lavoro di cantiere per un quindicenne) è duro, non sempre accompagnato in modo adeguato, con riconoscimenti salariali assolutamente inadeguati.

Tutto questo avviene poiché il padronato, pubblico e privato, preferisce far capo, da anni, al grande bacino di manodopera frontaliera già formata a spese di altri. Basti pensare, ad esempio, alla contraddizione flagrante tra un bisogno sempre maggiore di manodopera qualificata nel settore sanitario e un’offerta formativa che, malgrado qualche esitante e insufficiente passo avanti, rimane sostanzialmente insufficiente.

Si può comprendere come molti giovani, pur essendo interessati anche alle professioni difficili, nelle quali il lavoro è duro e “ci si sporca le mani”, non siano attratti da formazioni industriali e artigianali svolte in queste condizioni.

La conferma di questa disponibilità dei giovani verso queste professioni ci è confermata dal fatto che alcune formazioni di tipo industriale vengono gettonate se svolte in altro contesto. Pensiamo, ad esempio, alla scuola cantonale d’arti e mestieri che ogni anno per alcune professioni (elettronico, operatore in automazione, polimeccanico) è confrontata ad un numero di richieste di iscrizione quattro o cinque volte superiore ai posti messi a disposizione della scuola.

I partiti di governo e il governo hanno adottato alcuni piccoli cambiamenti: ma non tali da modificare la struttura del mercato dei posti di tirocinio.

La conferma che siamo di fronte a una questione che implica una riflessione – politica – sulla struttura del sistema di formazione, l’hanno data gli stessi partiti di governo che, proprio in occasione della discussione sul già citato messaggio “Più duale plus”, hanno risposto alle proposte dell’MPS facendo proprio riferimento alla struttura del sistema formativo.

Con una mozione, già presentata nel 2020, i deputati MPS avevano proposto, tra le altre cose, un aumento cospicuo dell’offerta di posti di tirocinio nelle scuole d’arti e mestieri (e l’estensione del numero di professioni), l’obbligo per  i centri di formazione padronali – sussidiati dal Cantone – di raddoppiare la loro offerta formativa, il libero accesso alle scuole professionali e alle scuole per l’ottenimento delle maturità professionali, la concretizzazione del raddoppio dell’offerta formativa da parte dell’amministrazione cantonale.

Ebbene, e significativamente, il rapporto della commissione del Gran Consiglio rispondeva negativamente a queste proposte poiché “Si tratta di cambiamenti strutturali della formazione professionale che comportano approfondimenti formativi, logistici, organizzativi e finanziari rilevanti che non possono essere approfonditi in questa sede”. Inutile aggiungere che di questo non si è discusso in nessun’”altra sede”.

Un’espressione di immobilismo e difesa a oltranza dell’esistente, di un sistema formativo incapace di rispondere ai bisogni e alle richieste del mercato del lavoro. Non è certo l’unico criterio per valutare la validità di un sistema formativo: ma, visto che per il padronato è questo il criterio fondamentale, si deve allora prendere atto che il sistema ha fallito. Un fallimento che viene da lontano di cui è responsabile la classe politica così come il padronato che oggi si lamenta.

La conclusione, per noi, è che, prima o poi, sarà necessario rimettere in discussione il sistema stesso, in particolare rimettendo in discussione il monopolio padronale sull’offerta dei posti di tirocinio.

Per sostenere una politica radicale di cambiamento del sistema i mezzi vi sono già. Pensiamo, ad esempio, al fondo cantonale per la formazione professionale che, già oggi e sulla base di una finanziamento quasi ridicolo (0,95 per mille, cioè meno dello 0,095% !) pagato dalle aziende che non formano apprendisti, raccoglie ogni parecchi milioni che non riesce nemmeno a utilizzare.

I mezzi ci sono e ci sarebbero: mancano la capacità e la volontà politica di mettere in discussione l’attuale sistema e i privilegi padronali.

*articolo apparso sul quotidiano La Regione, venerdì 20 maggio 2022

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