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Per una volta tanto siamo d’accordo con Claudio Zali che, in una recente intervista televisiva, ha affermato che la linea del governo non cambierà comunque vada la votazione del prossimo 15 maggio sul cosiddetto decreto Morisoli.

Questo, evidentemente, non significa che non sia necessario votare con convinzione contro il decreto e augurarsi che un NO deciso emerga dalle urne la sera del 15 maggio; ma, detto questo, è anche vero che una vittoria del referendum non modificherà sostanzialmente il margine di manovra in mano al governo (e alla maggioranza parlamentare ampia che ne sorregge la politica).

Potrà, certamente ed è la ragione per la quale auspichiamo sinceramente una vittoria del No, pesare in qualche misura dal punto di vista del dibattito politico generale; ma non pensiamo che possa rappresentare una sorta di “diga” come hanno cercato di ripetere, soprattutto in queste ultime settimane, i sostenitori del referendum, in particolare per correggere le prime dichiarazioni; dichiarazioni che attribuivano a questo decreto un carattere “declamatorio” e che avevano portato alcuni tra i più importanti sostenitori del referendum (il partito socialista in particolare) ad annunciare, in un primo tempo, la rinuncia al lancio di un referendum.

La politica del governo e dei suoi partiti continuerà nella direzione illustrata dal decreto, non vi sono dubbi. E questo per diverse ragioni.

La prima, banale ma comunque solida, è che il principio del pareggio dei conti – sul medio termine – è iscritto nella Legge sulla gestione e sul controllo finanziario dello Stato (articolo 6). Un articolo che esprime una convinzione che, negli ultimi decenni, tutto “l’arco costituzionale” ha in sostanza condiviso.  E sono infatti partite da questa condivisione diverse ipotesi di pareggio dei conti (pensiamo all’ipotesi formulata nella road map di qualche anno fa) e poi avanzata dal governo precedente e concretizzata da quello attuale preventivo dopo preventivo. La pandemia, ma non troppo visti gli ultimi dati contabili, ha in parte frenato questo cammino.

Ma, nel passato, vi sono stati altre decisioni, anche in questo caso quasi sempre condivise, che hanno spianato la strada ad una politica di contenimento della spesa pubblica di cui il pareggio dei conti è la risultanza contabile.

Ci riferiamo, in particolare, alle modifiche intervenute con l’introduzione, nel 1997, della modifica di legge che ha istituito il freno ai disavanzi pubblici.

Come si ricorderà quella modifica costituzionale aveva raccolto l’accordo iniziale di tutti i partiti; PS e Verdi alla fine si opposero non perché non ne condividessero i principi, ma perché il meccanismo di modifica del moltiplicatore d’imposta cantonale veniva sottoposto alla regola di una maggioranza di due terzi in Parlamento (impedendo così, di fatto visti i rapporti di forza, che il moltiplicatore venisse modificato verso l’alto, con aggravi fiscali per i redditi maggiori).

La critica di PS e Verdi era che quel meccanismo rendeva nei fatti impossibile una strategia fondata sulla cosiddetta simmetria dei sacrifici (agendo quindi sulle uscite, ma anche sulle entrate).

Proprio su questa base viene combattuto da costoro il decreto Morisoli, non contestando il principio del pareggio dei conti e della necessità di una revisione delle spese, ma contestando il fatto che il decreto blocchi eventuali aumenti di imposta. Posizione che, ancora qualche giorno fa proprio in un dibattito con Morisoli, Ivo Durisch confermava, rivendicando, già in sede di Preventivo 2023, un orientamento “simmetrico” e la promessa di non rivendicare un aumento del moltiplicatore cantonale di imposta.

A noi pare che questo orientamento della cosiddetta simmetria dei sacrifici non abbia portato grandi risultati in passato (basti pensare che essa venne attuato sotto la gestione Masoni) e, alla fine abbia sempre rappresentato passi indietro per i salariati e le salariate del Cantone.

Una vittoria del No il 15 maggio non deve quindi essere vista come uno strumento per procedere in questa direzione; ma come un punto d’appoggio per continuare a contestare i provvedimenti che sicuramente il governo, decreto Morisoli o no, vorrà imporre nei prossimi anni.