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Contro il campismo, questo antimperialismo a senso unico, che attraversa alcune correnti della sinistra, bisogna decidersi a tenere in considerazione l’imperialismo russo. Studiarlo da vicino non significa invertire la stupidaggine campista, bensì affermare che qualsiasi analisi che non lo tenga in conto si squalifica di per sé. Il putinismo è un pericolo mortale per i popoli. Da qui l’urgenza di combatterlo senza tregua. Seconda parte di una riflessione intitolata “Di fronte al nazionalismo grande-russo, reinventiamo l’internazionalismo”.

Alcuni, a sinistra, fanno fatica a contare fino a due. Avere due nemici e non uno solo, lottare su due fronti e non uno solo non è evidentemente confortevole. Per la mente è molto più facile contare sul buon vecchio, solo e unico Nemico. Il semplicismo politico, nato dalle vecchie abitudini, dalle ignoranze, dalle amnesie e da molta pigrizia, corrode una parte della sinistra radicale fino all’indegnità. Fortunatamente non tutta. Balibar [1] ricorda che di fronte all’invasione russa dell’Ucraina, “il pacifismo non è una opzione” e che “l’imperativo immediato è aiutare gli ucraini a resistere, non ripetiamo ancora il ‘non-interventismo’”.

Ma allarghiamo il discorso: non è solo il pacifismo a essere discutibile quando un paese è invaso da un altro nel disprezzo di qualsiasi regola del diritto internazionale. È il «campismo» a non essere in nessun caso una opzione. Cos’è il campismo? È la stupidità politica portata alle sue conseguenze più sinistre: consiste nel pensare che ci sia un solo Nemico. Lo si potrebbe definire come un antimperialismo a senso unico. Dall’unicità del nemico discende l’inevitabile seguente conclusione: quelli che si oppongono al Nemico hanno diritto, se non a benedizioni, almeno a delle scusanti, secondo il principio che i nemici del Nemico sono, se non degli amici, almeno degli “oggettivi alleati” in una giusta battaglia.

Praticamente tutto il ventesimo secolo è stato caratterizzato da questo tragico gioco di specchi. I sostenitori del sistema capitalista chiudevano gli occhi sulle dittature più criminali, le incoraggiavano e le sostenevano nel nome della difesa della civiltà occidentale contro il comunismo, mentre una parte della sinistra non ne voleva sapere della terribile realtà del «comunismo» sovietico o cinese, né è stata particolarmente esigente riguardoal la natura dei regimi «post-coloniali». Il campismo di sinistra postula che i popoli non hanno altro nemico che il «capitalismo», «l’imperialismo americano», «l’Occidente», il «neoliberalismo» o, addirittura, «l’Unione Europea», a seconda del caso e delle distinte denominazioni utilizzate. Fortunatamente, nel secolo scorso, ci furono sempre movimenti e intellettuali che seppero resistere alla stupidità politica e salvare l’onore della sinistra denunciando tutti i nemici della democrazia e della liberà, senza nessuna «relativizzazione delle responsabilità». Nel movimento rivoluzionario, le correnti trotzkiste e libertarie, oltre ad altri movimenti come Socialismo o Barbarie hanno così coraggiosamente tenuto il doppio fronte anticapitalista e antistalinista.

Ci si sarebbe potuti aspettare di essere definitivamente immunizzati contro questa stupidità dopo il collasso del «blocco sovietico» e la crisi dell’«egemonia americana», si sarebbe potuto credere che nessuna oppressione, nessuna violazione dei diritti umani, nessuna infrazione del diritto internazionale, nessun golpe, a Ovest o a Est, a Nord o a Sud, si potesse più giustificare una volta finita la guerra fredda. Ci si sbagliava. Le vecchie, pigre abitudini, a quanto pare, non sono scomparse, anche se si rivelano un po’ vergognose nel caso della guerra di invasione condotta da Putin.

Il campismo di sinistra consiste nel vedere oggi in questa guerra un confronto tra una Russia umiliata, circondata e minacciata e un Occidente arrogante, conquistatore, aggressivo: l’Ucraina non sarebbe altro che un campo di battaglia tra il Nemico imperialista che vuole espandersi all’infinito e la Russia, paese aggredito ed ingannato con false promesse nel 1990. E se anche si riconoscesse -in alcuni casi- a quest’ultima una qualche velleità imperiale, sarebbe un imperialismo di seconda classe, indebolito, non paragonabile a quello del Nemico. Se si tratta in realtà di una guerra tra gli Stati Uniti e la Russia, se la causa degli Ucraini è ormai «strumentalizzata» dall’Occidente imperialista, come si possono allora fornire armi agli ucraini, aiutarli a combattere? Certamente, se è così difficile schierarsi apertamente con Putin, grande sostenitore di tutte le estreme destre del mondo, non dovremmo almeno rimanere «non-allineati», «neutrali», o addirittura «altermondialisti» come propongono alcuni come Jean-Luc Melenchon in Francia? Diciamocelo: questa posizione non fa che testimoniare una intollerabile compiacenza con il fascismo neo-staliniano di Putin, e  -fondamentalmente- della completa ignoranza della natura totalitaria e criminale di questo potere, che non ha mai cessato di distruggere la sua opposizione interna, fino all’eliminazione fisica di giornalisti e militanti, di perseguitare l’intera società, e di esportare in Cecenia, in Siria e -più recentemente- in Bielorussia e in Kazakistan il suo odio armato contro ogni desiderio di democrazia dei popoli. Significa anche dimenticare tutte le provocazioni e le azioni di Putin tese alla restaurazione dell’Impero Russo, nel nome di un nazionalismo mistico dalla logica inquietante.

Il sostegno della sinistra radicale alla resistenza ucraina dovrebbe quindi essere scontato, come del resto il sostegno alla causa palestinese e molte altre nel mondo. Non solo bisogna esigere il ritiro delle forze occupanti, ma anche reclamare l’invio di armi ai resistenti ucraini e, in futuro, offrire garanzie di protezione del territorio ucraino nei confini precedenti l’annessione della Crimea e la secessione orchestrata dalla Russia delle pseudo-repubbliche del Donbass.

Il campismo di sinistra crede volentieri che un crimine ne annulli un altro, che una violazione del diritto internazionale ne giustifichi un’altra, che le vittime si compensino. Concordiamo decisamente sul fatto che l’Occidente non abbia nulla di virtuoso e che la sua ipocrisia sia incommensurabile. Gli interventi americani e occidentali dopo l’11 settembre 2001 («la guerra contro il terrorismo») non si sono fatti scrupoli di legalità e hanno avviato tragedie che perdurano ancora, specialmente in Iraq e Libia, senza parlare della difesa ostinata delle politiche israeliane di colonizzazione dei Territori occupati! Come rivendicarsi il diritto internazionale quando proteggiamo la sua permanente violazione, come fanno gli Stati Uniti con il loro veto al Consiglio di Sicurezza? La lotta contro questo imperialismo americano e occidentale è pienamente giustificata. Va anche applicata a tutte le forme di dominazione economica, finanziaria e ideologica, e non ai soli interventi militari. Questo era, non molto tempo fa, il senso dell’alter-mondialismo. Ma il dominio del capitalismo occidentale non deve fare dimenticare che esistono altre forme di dominazione di oppressione, soprattutto religiosa, ed altre ideologie estremamente pericolose, come il nazionalismo «imperiale» del potere in Russia. Dobbiamo farcene una ragione, l’Occidente non è l’unico ostacolo alla democrazia e alla giustizia sociale, e noi abbiamo più di un nemico. L’internazionalista coerente lo sa, il campista lo ignora.

La negazione del diritto dei popoli alla democrazia

Uno dei peggiori aspetti di questa attitudine è di non prendere assolutamente in considerazione le aspirazioni popolari degli ucraini, ma anche, in generale, dei grandi movimenti democratici in Ucraina, in Bielorussia, in Georgia, in Kazakistan. I popoli in questione sono ridotti a pedine che non sono realmente presenti in questo grande schema storico astratto dove il solo vero attore è il Nemico che vuole estendere la sua dominazione mondiale. Nemmeno viene in mente al campista di sinistra che l’adesione alla NATO di molti paesi rimasti nella sfera di influenza sovietica dopo il 1945 fu per mancanza di una alternativa migliore, una garanzia di sicurezza dopo tutte le aggressioni, annessioni e smembramenti che avevano subito nella loro storia. Certamente la realtà è «più complessa», come ripetono i «non allineati», ma precisamente loro dovrebbero imparare da questo: che i popoli hanno diritto a una loro autonomia, non sono le marionette delle grandi potenze. Il peggiore errore politico del campismo è il pensare che i popoli non siano nulla, che tutto si giochi ai piani alti. A questo modo il terrorismo islamico sarebbe stato presente nella rivoluzione siriana del 2011 sin dall’inizio. Cosi le «rivoluzioni colorate», mobilitazioni popolari nello spazio post-sovietico che hanno partecipato a partire dagli anni 2000 al grande movimento di emancipazione democratica ai quattro angoli del mondo, non sarebbero state altro che forme camuffate di imperialismo americano. Quindi l’occupazione di piazza Maidan nel 2014, che fece parte del grande ciclo di movimenti di occupazione di pubbliche piazze, avrebbe portato il marchio dei «neonazisti».

Da questo schema consegue una «relativizzazione di responsabilità». Il teorico dell’alter-mondialismo e della «sinistra globale», in passato meglio ispirato, Boaventura de Souza Santos, afferma senza batter ciglio che «la democrazia non è che una facciata degli Stati Uniti» e paragona il «colpo di stato del 2014» in Ucraina con il golpe che ha destituito Dilma Roussef nel 2016 in Brasile. In entrambi i casi si tratterebbe dello stesso tentativo di ampliare la sfera in influenza degli Stati Uniti: «La politica del cambio di regime non tenta di creare delle democrazie, ma unicamente dei governi fedeli agli interessi degli Stati Uniti». Non c’è modo migliore di negare la soggettività democratica dei popoli, ridotta a giocattolo nelle mani dell’imperialismo americano [2]. Significa dimenticare che le multinazionali americane e europee non hanno mai prosperato così tanto come nel regime mafioso e ultra-repressivo russo, che assicurava loro una pace sociale assoluta. In realtà questo autore non fa che ripetere la vecchia nozione del ventesimo secolo, come se la Russia o la Cina rappresentassero una alternativa «progressista» al capitalismo occidentale, alternativa da «salvare» in modo che lo contrasti. In realtà questi paesi offrono declinazioni del capitalismo tra le più mostruose, dato che associano la peggiore dittatura politica sulla popolazione e lo sfruttamento ad oltranza delle ricchezze a beneficio di una piccolissima classe di predatori ultra-ricchi.

Il campismo di sinistra o «l’antimperialismo degli idioti»

Alcune proteste contro le «guerre imperiali» sono a senso unico: denunciano volentieri gli attacchi americani, israeliani o europei, ma dimenticano sistematicamente i bombardamenti russi o iraniani sulle popolazioni civili in Siria, che hanno fatto molte più vittime dei primi.

Come spiegava nel 2018 Leila Al-Shami in un testo impattante intitolato «L’antimperialismo degli idioti» [2], riferendosi alla coalizione Hands off Syria che, nei suoi comunicati e manifestazioni, non diceva una parola sui massacri commessi da russi ed iraniani, venuti a schiacciare la rivolta democratica e a difendere il regime di Bachar El-Assad: «Cieca di fronte alla guerra sociale che infuria in Siria, questo tipo di visione considera il popolo siriano, quando viene considerato, come l’insignificante pedone di una partita di scacchi geopolitica». Questo tipo di antimperialismo a senso unico è stato denunciato dagli autori di una lettera aperta, molti dei quali siriani:

«Dopo l’inizio della sollevazione siriana dieci anni fa, e soprattutto dopo che la Russia è intervenuta in Siria al lato di Bachar el-Assad, si assiste a una evoluzione tanto curiosa quanto sinistra: il sostegno ad Assad in nome dell’antimperialismo da parte di alcuni che generalmente si definiscono progressisti o di sinistra, e la conseguente propagazione di disinformazione manipolatrice che svia sistematicamente l’attenzione dai ben documentati abusi di Assad e dei suoi alleati. […] quelli che non concordano con le loro perentorie opinioni sono frequentemente (e falsamente) additati come «esaltati dal cambio di regime» o come idioti utili agli interessi politici occidentali.[…] Tutti i movimenti in favore della democrazia e della dignità che vanno contro gli interessi dello stato russo o cinese sono regolarmente rappresentati come il frutto di ingerenza occidentale: nessuno di questi movimenti è considerato come autoctono, nessuno riflette decenni di lotta nazionale indipendente contro una dittatura brutale (come in Siria); e nessuno rappresenta realmente le aspirazioni della gente, che reclama il diritto di vivere degnamente invece che essere oggetto di repressione ed abusi. In realtà, quel che unisce queste correnti cosiddette antimperialiste è il rifiuto di affrontare i crimini del regime di Assad e di riconoscere che che c’è stato un sollevamento popolare contro Assad ed è stato brutalmente represso.» Gli autori del testo concludono con queste parole che dovrebbero far riflettere anche i più superficiali: «Quelli e quelle che si sono direttamente opposti al regime di Assad, spesso pagando a caro prezzo, non l’hanno fatto a causa di un complotto imperialista occidentale, ma perché decenni di abusi, di brutalità e di corruzione erano e rimangono intollerabili.» [3]

Quello che è successo in Siria di riproduce in Ucraina. È quello che preoccupa i militanti di sinistra ucraini, che dall’inizio dell’invasione sollecitano la sinistra del resto del mondo a liberarsi del «punto di vista americano-centrico». Autore di una importante «Lettera alla sinistra occidentale»[4], il ricercatore ucraino Volodymyr Artiukh spiega che, fuori dal mondo post-sovietico, la sinistra non si è ancora resa conto delle nuove condizioni storiche determinate dalla strategia russa, che non ha nulla a che fare con gli strumenti di egemonia americani e più in generale occidentali, del soft-power e degli investimenti economici: «Malgrado quello che alcuni di voi pensano, la Russia non sta reagendo, adattandosi o facendo concessioni; la Russia ha recuperato la sua capacità d’azione ed è in grado di plasmare il mondo circostante.[…] La Russia è diventato un agente autonomo, le sue azioni sono determinate dalla sua dinamica politica interna, e le conseguenze delle sue azioni sono ormai contrarie agli interessi occidentali. La Russia plasma il mondo che la circonda, impone le sue regole come facevano gli Stati Uniti, ma con altri mezzi.» Secondo lui, bisogna smettere di ragionare come se le Russia non facesse che rispondere all’umiliazione inflittale nel crollo dell’Unione Sovietica e comprendere che ora sono l’Europa e l’occidente ad essere in una posizione «reattiva». Aggiunge: «le spiegazioni basate sugli Stati Uniti sono quindi superate. Ho letto tutto quel che è stato scritto e detto a sinistra sul crescendo del conflitto dell’anno scorso tra Stati Uniti, Russia e Ucraina. La maggior parte di quegli scritti erano terribilmente sbagliati, peggiori delle narrazioni dominanti. Il loro potere predittivo era nullo.»

Di fatto, l’unilateralismo della denuncia raggiunge un picco in un articolo [5] di Tariq Ali in New Left Review, rivista di riferimento della sinistra occidentale. Il 16 febbraio, ossia 8 giorni prima dell’invasione, si fa beffe delle voci di un supposto attacco massivo della Russia in Ucraina e incolpa esclusivamente, senza sforzarsi di analizzare in alcun modo il regime putiniano, i guerrafondai americani. Sostiene che l’Ucraina, che non sarebbe altro che «NATOlandia», non ha bisogno di supporto ma che deve cominciare a mostrare a Putin il «rispetto» che merita, senza farsi problemi a fare proprie le parole di un ammiraglio tedesco.

La sinistra occidentale dovrebbe quindi mobilitarsi contro la guerra americana, che è la minaccia principale, come ha saputo fare in Siria: «Stop the War non è un partito politico. Include conservatori e sostenitori dell’indipendenza scozzese. Il suo obiettivo è di fermare le guerre scatenate dagli Stati Uniti o la NATO, quale che sia il pretesto. I politici e i mercanti d’armi che sostengono queste guerre non lo fanno per rinforzare la democrazia, ma per servire gli interessi egemonici della più grande potenza imperiale del mondo. Stop the War e molti altri continueranno il compito di opporsi malgrado le minacce, le calunnie o il servilismo»

Questo testo condensa quel che c’è di peggio nel discorso «antiguerra» della sinistra occidentale. C’è solo la NATO, nient’altro che la NATO, che vuole la dominazione del mondo e cerca la guerra per fare profitti ed ingrandire la sua sfera di influenza. In conseguenza, il comportamento di Putin non sarebbe altro che un contro-effetto della NATO, non avrebbe esistenza propria, e nemmeno il suo regime. È questa cecità che ha suscitato l’ira dello storico Taras Bilous [6], un militante dell’organizzazione ucraina Social Movement e redattore della rivista Commons. Mai, o quasi mai, spiega, questa sinistra occidentale così solerte a segnalare le «necessità in materia di sicurezza» della potenza nucleare russa ha ricordato questi stessi bisogni da parte dell’Ucraina, che abbandonò il suo armamento nucleare in cambio della garanzia di inviolabilità, patto che Putin ruppe nel 2014.

La realtà dell’imperialismo russo

Tenere finalmente conto di questo imperialismo russo e studiare da vicino i suoi metodi e intenzioni specifiche non è quindi invertire la stupidità campista e farne il solo Nemico, bensì affermare che ogni analisi che non lo consideri seriamente si squalifica di per sé.

Per la sinistra, questa cecità è ancora più colpevole dato che questo imperialismo non solo pretende di espandersi ai suoi margini, ma anche di destabilizzare i paesi dove la democrazia liberale è ancora in vita, anche se nella forma degradata con la quale la conosciamo. E’ un imperialismo militare ma anche eminentemente politico: cerca di estendere dappertutto una visione dittatoriale e nazionalista del potere dentro la quale le libertà civili e politiche non hanno alcuna ragion d’essere.  Per questo motivo il modello putiniano ha tanti sostenitori nella destra ed estrema destra globale. È perché esiste uno stretto rapporto tra il regime di terrore interno e la politica estera: come potrebbe, una dittatura che perseguita i suoi oppositori, a volte li assassina, che vieta ogni libera espressione della società civile, tollerare – soprattutto nei paesi direttamente confinanti – l’esistenza di società più libere politicamente?  Il sostegno di Putin a Lukashenko, a Tokaïev e a Kadyrov è perfettamente coerente: impero all’esterno e dittatura all’interno vanno a braccetto. Ma sappiamo che le ambizioni di Putin vanno oltre: ogni ostacolo interno o esterno al suo potere deve essere eliminato. Lo schiacciamento della rivoluzione democratica siriana con le bombe e le armi chimiche era un avvertimento a tutti i popoli desiderosi di liberarsi dei loro tiranni, e forse un messaggio allo stesso popolo russo. Se la linea del fronte per la dittatura comincia in Russia, tutti i paesi vicini o meno sanno ora quello che li aspetta se niente impedisce la sua espansione.

Parliamoci chiaro, il nemico di Putin non è il capitalismo come sistema di sfruttamento, è la democrazia alla quale egli intende condurre una guerra spietata. Quello che lo preoccupa è la potenza delle masse in lotta contro la corruzione economica e politica, ossia contro il suo potere. Queste masse mobilitate, come abbiamo visto anche in Bielorussia, vedono nella Unione Europea un modello politico più desiderabile delle dittature predatorie che subiscono.

È stato l’accordo tra Ucraina e Unione Europea che ha deciso Putin a cominciare a scorticare l’Ucraina dopo la «rivoluzione del febbraio 2014».

Certamente è comprensibile che una parte della cosiddetta sinistra «radicale» si vergogni di vedere rivoluzioni popolari nel mondo post-sovietico fare dell’Unione Europea una speranza e un orizzonte, lei che giustamente critica la natura profondamente neo-liberale e capitalista di quell’Europa. Ma se è giusto criticare la «troppo poca democrazia» dell’Unione Europea, è in nome dell’esigenza di autogoverno e soprattutto non è per riprendere la retorica putiniana secondo la quale queste rivoluzioni sono dei colpi di stato fomentati dalla NATO. Bisogna dirlo forte: è mille volte meglio per la causa dell’uguaglianza, della democrazia e della libertà la insufficiente democrazia dell’occidente che le barbare dittature di Bashar, Putin e Lukashenko, modello di tutti i fascismi contemporanei. Il putinismo ha una coerenza ideologica che lo colloca tra le tutte ideologie neo-conservatrici ed identitarie che hanno tanto successo in questi anni. Come ha scritto Edwy Plenel [7], questa ideologia prende la forma della «promozione di una Russia eterna, basata sulla sua identità cristiana e slava, come alternativa alla democrazia moderna, vista come un inganno occidentale». Misto di neo-zarismo, di panslavismo e di stalinismo, il putinismo non ha nulla, assolutamente nulla di progressista e di democratico.  Al contrario è un pericolo mortale per il popolo russo e per tutti gli altri. Da qui la necessità di combatterlo senza tregua.

* Pierre Dardot e Christian Laval, filosofi e sociologi, sono tra le figure più interessanti e prolifiche della ricerca marxista francese degli ultimi decenni. Entrambi universitari hanno indagato, oltre l’opera di Marx, lo sviluppo del neoliberalismo e delle sue logiche. Questo articolo è la seconda parte di una serie di quattro interventi apparsi sul sito francese Mediapart nelle ultime settimane (https://blogs.mediapart.fr/pierre-dardot-et-christian-laval/blog/180322/reinventons-linternationalisme-24-la-faillite-d-un-anti-imperialisme-sens-uniq). . La traduzione in italiano è stata curata da Murpa Corelli e pubblicata sul sito dei nostri compagni di Brescia di Sinistra Anticapitalista.

[1] Etienne Balibar: «Il pacifismo non è un’opzione» 

A colloquio con Etienne Balibar. “Il pacifismo non è un’opzione” * MPS – Movimento per il socialismo (mps-ti.ch)

[2] Boaventura de Sousa Santos, «Las claves de una catástrofe anunciada, El lamentable papel de Europa en la guerra Rusia – Ucrania y las lágrimas que desató» – https://www.pagina12.com.ar/406933-el-lamentable-papel-de-europa-en-la-guerra-rusia-ucrania-y-l

[3] Leila Al-Shami, «L’anti-imperialismo degli idioti» – http://rproject.it/2018/04/lantimperialismo-degli-idioti/

[4] Volodymyr Artiukh, «Lo US-plaining non basta. Alla sinistra occidentale, sui vostri e sui nostri errori» – https://www.dinamopress.it/news/lo-us-plaining-non-basta-alla-sinistra-occidentale-sui-vostri-e-sui-nostri-errori/

[5] Tariq Ali, «News from Natoland» – https://newleftreview.org/sidecar/posts/news-from-natoland

[6] Taras Bilous, «Lettera da Kiev alla sinistra occidentale» – https://left.it/2022/03/03/lanti-imperialismo-degli-idioti-lettera-da-kiev-alla-sinistra-occidentale/

[7] Edwy Plenel, « Contre l’impérialisme russe, pour un sursaut internationaliste » – https://www.mediapart.fr/journal/international/020322/contre-l-imperialisme-russe-pour-un-sursaut-internationaliste

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