Tempo di lettura: 6 minuti

Ogni volta che devono propinarci un nuovo gasdotto, ogni volta che denunciamo che nuove infrastrutture per il gas ci legheranno per decenni all’uso di combustibili fossili, ci rispondono che le pipeline verranno utilizzate a favore della transizione energetica, grazie alla possibile riconversione dal trasporto di gas naturale a quello dell’idrogeno.
L’enfasi è incentrata sulle magnifiche prospettive dell’idrogeno verde, prodotto con l’uso di energie rinnovabili. Ma, come ci insegna ReCommon, oggi l’idrogeno ‘verde’ costituisce meno dello 0,1% dell’idrogeno UE, mentre più del 90% deriva dai combustibili fossili, e in particolare il gas.
“La creazione di tutto questo clamore, a livello nazionale e globale, sposa direttamente gli interessi dell’industria del gas. Per un’economia interamente basata sull’idrogeno, sarà pressoché impossibile assorbire la domanda esclusivamente con idrogeno verde. Quindi, di fatto, il flusso di idrogeno ‘fossile’ continuerebbe a scorrere”.1
L’intensa opera di pressione esercitata dall’industria del gas sulle istituzioni dell’Unione Europea ha prodotto, nell’aprile dell’anno scorso, l’inserimento nella tassonomia europea anche dell’idrogeno blu (prodotto con i combustibili fossili), grazie all’introduzione del limite di 3 Kg al quantitativo massimo di CO2 che può essere emessa producendo 1 Kg di idrogeno, affinché quest’ultimo possa essere considerato ‘pulito’ dalle istituzioni di Bruxelles (con tutto ciò che ne consegue in termini di finanziamenti)2.
In questo modo la costruzione di un’economia basata sull’idrogeno diventa lo strumento per perpetuare e ampliare l’utilizzo del gas fossile contro ogni ipotesi di decarbonizzazione.
Rimandiamo per tutti questi aspetti al dossier di ReCommon “La montatura dell’idrogeno”, concentrandoci invece su un altro aspetto, e in particolare chiedendoci se il ciclo dell’idrogeno, anche quello verde, possa avere effetti climalteranti.
Un recente studio commissionato dal governo britannico ai ricercatori del National Centre for Atmospheric Science e delle Università di Cambridge e di Reading, ha prodotto dei modelli previsionali sul possibile impatto delle perdite di idrogeno incombusto sulla composizione atmosferica, scoprendo che l’idrogeno può generare indirettamente un effetto serra due volte più potente di quanto si pensava in precedenza.
La ricerca ha utilizzato un modello chimico-climatico per calcolare i cambiamenti nella composizione atmosferica che potrebbero fare seguito ad emissioni di idrogeno nell’atmosfera, analizzando una serie di casi di aumento o diminuzione del livello di idrogeno atmosferico. Successivamente, sono stati considerati gli impatti di questi cambiamenti sul forzante radiativo e sul potenziale di riscaldamento globale (GWP).

Ne riportiamo parte delle conclusioni:
L’idrogeno non è un gas serra, ma i cambiamenti nella sua quantità nell’atmosfera modificheranno le concentrazioni di importanti gas serra (metano, vapore acqueo e ozono) sia nella troposfera che nella stratosfera3.
Abbiamo utilizzato dei modelli sui cambiamenti che subirebbero questi gas in risposta al cambiamento dei rapporti di miscelazione dell’idrogeno atmosferico, per produrre la valutazione ad oggi più completa del potenziale di riscaldamento globale (GWP) dell’idrogeno”.
“Abbiamo sviluppato una serie di scenari per esplorare la risposta atmosferica ai cambiamenti nelle emissioni di idrogeno e di altre sostanze associate al passaggio ad un’economia dell’idrogeno.
L’entità di qualsiasi cambiamento dipende dall’assorbimento dell’idrogeno e dalla sostituzione delle tecnologie dei combustibili fossili.
Dipende anche dalle emissioni di idrogeno nella catena di approvvigionamento.
Questi aspetti sono incerti e quindi abbiamo esplorato una serie di potenziali cambiamenti nel carico di idrogeno atmosferico. Abbiamo cercato di modellare l’impatto di cambiamenti grandi ma plausibili, consentendoci sia di rilevare un segnale di cambiamento che di esplorare la linearità di questi cambiamenti su una gamma di rapporti di miscelazione dell’idrogeno atmosferico
.
A tal fine, abbiamo modellato l’impatto dell’aumento dell’idrogeno dalla sua attuale concentrazione di fondo di circa 0,5 parti per milione (ppm) fino a valori fino a 2 ppm, implicazioni atmosferiche dell’aumento dell’utilizzo dell’idrogeno che riteniamo coprano gran parte dell’intervallo di incertezza di qualsiasi futura economia dell’idrogeno, nonché precedenti stime di letteratura4.
L’idrogeno agisce come un pozzo chimico di assorbimento per il radicale idrossile (OH), quindi l’aumento delle concentrazioni di idrogeno porta a una riduzione dell’OH troposferico, che a sua volta si traduce in un aumento della vita del metano.
Sulla base dei nostri esperimenti, concludiamo che se le emissioni di metano rimangono costanti, un aumento delle emissioni di idrogeno comporterebbe una vita del metano più lunga e una maggiore abbondanza di metano.
Considerando nei calcoli solo la variazione dell’idrogeno, [si evince che] la durata del metano aumenta linearmente con l’aumento dell’idrogeno. Quando si include l’effetto del radicale idrossile sulla quantità di metano, per ogni aumento di 1 ppm di idrogeno la vita del metano aumenta di circa un anno, e il metano aumenta di circa il 12%, se le emissioni di metano rimangono costanti
”.
In pratica, le emissioni fuggitive di idrogeno incombusto prodotte in fase di produzione, trasporto, utilizzo dell’idrogeno, reagirebbero in atmosfera con lo ione OH per formare acqua, neutralizzando così una quantità di radicale idrossile.
Ma il radicale idrossile è conosciuto come detergente dell’atmosfera. È il principale agente reattivo capace di ossidare la maggior parte dei composti chimici, metano compreso5.
In carenza di uno dei suoi principali fattori di ossidazione, la degradazione del metano in troposfera diventerebbe più lenta.
Lo studio ci tiene a sottolineare che tali previsioni muterebbero in presenza di una diminuzione delle emissioni di metano e di altri inquinanti (monossido di carbonio, ossidi di azoto e composti organici volatili). Ci permettiamo di dire che tale diminuzione non ci sembra all’ordine del giorno, anzi.
Come abbiamo già avuto modo di affermare, la panoramica sulle politiche energetiche di guerra non lascia ben sperare riguardo all’abbandono dei combustibili fossili e alla produzione dei relativi inquinanti, a cui si vanno a sommare automatismi già in corso6, che prefigurano un’escalation dell’aumento delle emissioni di metano indipendentemente dall’attività antropica.
L’aumento dell’idrogeno in atmosfera potrebbe portare conseguenze anche sul livello di ozono troposferico, che però dipende “non semplicemente dai cambiamenti nella quantità di idrogeno ma anche dai cambiamenti nelle emissioni di altri agenti chimici poiché l’abbondanza di ozono è controllata da una serie di complessi cicli di produzione e perdita in cui radicali idrossilici, metano, altri composti organici volatili e ossidi di azoto svolgono tutti un ruolo”.
Negli scenari considerati dai ricercatori, una crescita della concentrazione di idrogeno avrebbe un effetto diretto molto lieve sull’aumento dell’ozono negli strati più bassi dell’atmosfera, a cui andrebbe sommato un effetto indiretto determinato dall’aumento del metano. Tali effetti potrebbero essere però neutralizzati nell’ipotesi in cui diminuissero gli altri inquinanti.
Lo studio prende anche in considerazione gli effetti di un aumento dell’idrogeno atmosferico sul forzante radiativo, che misura l’influenza di un fattore (ad esempio l’aumento di un gas nell’atmosfera) sull’alterazione del bilancio tra energia entrante ed energia uscente nel sistema Terra-atmosfera.
È l’indice del peso di un determinato fattore nel meccanismo dei mutamenti climatici. Un forzante positivo è associato ad un riscaldamento della superficie terrestre, mentre un forzante negativo è associato ad un raffreddamento: “L’adozione dell’idrogeno come fonte di energia potrebbe far risparmiare grandi emissioni di anidride carbonica e fornire un significativo beneficio per il clima, ma eventuali aumenti di ozono troposferico, vapore acqueo e metano, conseguenti all’aumento dell’idrogeno atmosferico tenderebbero tutti ad aumentare il forzante radiativo, compensando parzialmente i vantaggi climatici del passaggio all’idrogeno. Lo abbiamo valutato, in primo luogo, considerando la variazione del forzante radiativo calcolato nei vari scenari considerati”.
Nei calcoli in cui ipotizziamo la fuoriuscita di idrogeno nell’atmosfera, il nostro i calcoli indicano un aumento del forzante radiativo (cioè una tendenza al riscaldamento). Quando aumenta solo l’idrogeno nei nostri modelli sperimentali, calcoliamo un forzante radiativo effettivo di 0,148 W m-2 per un aumento dell’idrogeno di 1,5 ppm; quando il limite inferiore del metano viene aumentato di 340 ppb, coerentemente con la diminuzione dei radicali idrossilici indotta dall’idrogeno, la forzatura radiativa si avvicina a 0,5 W m-2.
Al contrario, se non si verificano perdite di idrogeno nell’atmosfera e si riducono le coemissioni di metano e altre coemissioni, il forzante radiativo cala a -0,29 W m-2 (una tendenza al raffreddamento)”.
La ricerca ha analizzato i possibili effetti di un aumento dell’idrogeno atmosferico sul potenziale di riscaldamento globale (global warming potential – GWP), che esprime il contributo nel tempo di un gas all’effetto serra confrontandolo con l’effetto della CO2, il cui potenziale di riferimento è pari a 1: “Stimiamo che il GWP (nell’intervallo di tempo di 100) dell’idrogeno sia 11 ± 5; un valore doppio rispetto ai calcoli pubblicati in precedenza. Circa un terzo di questo [valore] deriva dalle variazioni del vapore acqueo stratosferico causate da un aumento dell’idrogeno atmosferico”.
In definiva, i ricercatori ribadiscono più e più volte che per abbattere gli impatti sull’atmosfera e sul clima di una economia basata sull’idrogeno bisogna determinare un abbassamento globale del livello degli altri inquinanti, oltre ad impedire le emissioni fuggitive dal ciclo di produzione, trasporto e utilizzo dell’idrogeno stesso.
Ma tutto questo è coerente con le attuali scelte di politica energetica?
L’abbattimento delle emissioni inquinanti di metano, monossido di carbonio, ossidi di azoto e v.o.c. (composti organici volatili) può realizzarsi solamente con un reale abbandono dei combustibili fossili, una prospettiva inattuabile se l’economia dell’idrogeno verrà basata sull’idrogeno blu.
Allo stesso tempo, impedire le emissioni fuggitive di idrogeno è particolarmente complicato, tenendo conto che si tratta della molecola più piccola e leggera della tavola periodica. Gli attuali gasdotti, che lasciano già abbondantemente passare perdite di molecole pesanti come il metano, non sono certo adeguati all’obiettivo.

*articolo apparso su https://ecor.network/ il 10 maggio 2022

1) ReCommon, La montatura dell’idrogeno. Favola dell’industria del gas o racconto dell’orrore sul clima? febbraio 2021.
2) Tassonomia UE più ‘permissiva’ sull’idrogeno: limite di CO2 fissato a 3 Kg per ogni Kg di H2 prodotto, hydronews.it , 23/04/21.
3) La troposfera è la fascia sferoidale aeriforme dell’atmosfera terrestre che si trova in basso a diretto contatto con la superficie terrestre. La stratosfera è il secondo dei cinque strati in cui è convenzionalmente suddivisa l’atmosfera terrestre (troposfera, stratosfera, mesosfera, termosfera e esosfera). Comincia intorno ai 12 km (8 km ai poli e 20 km all’equatore) e termina a un’altitudine di circa 50 km, di spessore variabile a seconda della latitudine.
4) Tromp. T. K., Shia, R.-L., Allen, M., Eiler, J. and Yung, Y. L., Potential environmental impact of hydrogen on the stratosphere, Science, 300, 1740-1742, 2003.
Warwick, N. J., Bekki, S., Nisbet, E. G., and Pyle, J. A., Impact of a hydrogen economy on the stratosphere and troposphere studied in a 2-D model, Geophys. Res. Lett., 31(5), L05107, doi:10.1029/2003GL019224, 2004.
Schultz, M., Diehl, T., Brasseur, G. P. and Zittel, W., Air pollution and climate-forcing impacts of a global hydrogen economy, Science, 302, 624-627, 2003. 
5) Chimica nella Troposfera: componenti gassose e particolato, materiali del CdL triennale in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e la Natura, Università di Trieste, Docente Pierluigi Barbieri.
6) Metano dal permafrost, il disgelo del “gigante addormentato” dell’Artico, rinnovabili.it, 28 ottobre 2020.