Per un’Ucraina sottratta alle imposizioni neoliberali del capitalismo occidentale, così come all’aggressione del capitalismo russo.
I prossimi 4 e 5 luglio si terrà a Lugano la cosiddetta “Conferenza per le Riforme dell’Ucraina”. Appuntamento fissato da tempo, essa si inserisce in una serie di conferenze iniziate nel 2014 sotto la presidenza di Porosenko. Ha poi subito una battuta d’arresto a causa delle prime aggressioni militari della Russia. L’attuale presidente Zelensky ha provato a far ripartire le riforme discusse e programmate, ma la pandemia di COVID-19 ha di nuovo interrotto il processo. Si tenta ora con l’incontro internazionale previsto a Lugano di riprendere il percorso.
Queste conferenze hanno ufficialmente il compito di presentare le riforme già realizzate, in via di realizzazione e quelle che dovrebbero arrivare, in campo economico e amministrativo. Ora, a seguito della guerra di aggressione scatenata da Putin, l’appuntamento è ormai stato “resettato”, in queste ultime settimane e in particolare sotto la regia del Consigliere federale Cassis, all’insegna della “ricostruzione” dell’Ucraina, dello sviluppo del paese una volta terminata la guerra.
In realtà, visto anche il ruolo fondamentale dei Paesi capitalistici più importanti e delle istituzioni finanziarie internazionali che hanno partecipato, da protagonisti finora, a questi appuntamenti (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Banca Europea per gli Investimenti, Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, Unione Europea, NATO, OCSE…), la Conferenza non vedrà modificati i propri orientamenti di fondo; l’accentuazione dell’aspetto della “ricostruzione” non modificherà quelle che erano le prospettive di “sviluppo” dell’Ucraina che la comunità internazionale, sotto l’egida delle organizzazioni internazionali che abbiamo menzionato, delineate nelle conferenze precedenti.
In breve, l’obiettivo è di fare il punto (integrando l’aspetto della “ricostruzione”) sullo sviluppo delle riforme neoliberali in Ucraina. Particolarmente interessati a questo sviluppo, come detto, sono gli organismi finanziari del capitalismo internazionale che sperano di creare nuove occasioni di investimenti e profitti. La logica non cambia. Le enormi ricchezze naturali dell’Ucraina, come le sue materie prime e le sue terre particolarmente fertili, non sono evidentemente estranee a questi interessi. L’occasione data dalla guerra e dalla ricostruzione che prima o poi avverrà, moltiplicano gli appetiti.
L’esempio forse più evidente riguarda la Riforma Agraria, banco di prova di diversi Governi che si sono succeduti dal dicembre del 1991, data dell’Indipendenza del Paese. Presentata come tentativo per risolvere i gravi problemi legati alla corruzione e trasformare l’Ucraina in una vera super potenza agricola, l’obiettivo è di scardinare un vecchio sistema che prevedeva una moratoria per la vendita dei terreni coltivabili. Di fatto una liberalizzazione del mercato agricolo, con il grande rischio di espellere da questo settore moltissime lavoratrici e lavoratori, a tutto vantaggio dei grandi gruppi nazionali e soprattutto internazionali.
Il governo Zelensky, durante la pandemia, ha forzato la mano per portare a termine questa Riforma e molte proteste hanno già avuto luogo. La maggioranza della popolazione ucraina avversa questa Riforma, ben consapevole delle conseguenze e, soprattutto, consapevole dell’enorme importanza delle proprie terre agricole. Non a caso l’Ucraina si è guadagnata l’appellativo di granaio d’Europa.
Queste politiche neoliberiste sono le stesse che conosciamo in molti Paesi e i governi che si sono succeduti negli ultimi anni sono pienamente inserite in questa logica.
È quindi importante che in questa occasione, contrariamente agli intenti dei governi e delle istituzioni internazionali presenti, possa avere voce un progetto di sviluppo, di “ricostruzione”, diverso da quello immaginato negli anni scorsi e che ora sembra imporsi alla luce dell’emergenza della guerra.
Un progetto di ricostruzione che metta al centro, prima di tutto, i bisogni e i diritti del popolo ucraino; certo i diritti politici (la resistenza all’invasione mette al centro il diritto all’indipendenza e all’autodeterminazione); ma, anche e soprattutto, i diritti sociali, economici e culturali che poggino, per la loro soddisfazione, sulle ricchezze naturali e le competenze economiche sviluppate negli ultimi anni nel paese (pensiamo a quelle industriali e a quelle digitali).
Per fare che questo sia possibile, è necessario, tra le altre cose, che il mondo occidentale (così come quello orientale rappresentato dalla guerra – in parte anche di rapina – di Putin) rinunci a tutto quanto oggi non permette all’Ucraina di poter riflettere liberamente e sovranamente sul proprio futuro: a cominciare dal debito estero accumulato in questi anni che dovrebbe semplicemente essere annullato.
Non ci si può opporre al desiderio di Putin di “spartirsi” il territorio ucraino e poi tentare di “spartirsi” le ricchezze dell’Ucraina: questa ipocrisia del capitalismo occidentale, che vede coinvolti i maggiori paesi imperialisti – a cominciare dagli Stati Uniti, deve essere denunciata con forza.
Per questo, proprio in concomitanza con la conferenza di Lugano, sarebbe importate cercare di dare voce ad una narrazione del futuro dell’Ucraina diversa da quella che vogliono imporre Cassis, i paesi imperialisti (tra i quali la Svizzera ha – da sempre – un posto importante) e le loro organizzazioni internazionali.
Per questo appare necessario coinvolgere tutte le forze che si sono mobilitate contro l’aggressione di Putin all’Ucraina e che chiedono la fine immediata di questa aggressione, oltre che l’abbandono dei territori occupati, in un’ampia discussione pubblica sul futuro dell’Ucraina, sottratta ai ricatti e alle imposizioni neoliberali del capitalismo occidentale così come all’aggressione del capitalismo russo, per la (ri)costruzione di un’Ucraina democratica, indipendente, solidale e sociale.
*articolo apparso su https://naufraghi.ch/ il 30 maggio 2022