Tempo di lettura: 5 minuti

Pubblichiamo questa riflessione del Collettivo femminista io l’8 ogni giorno. Essa fa seguito alla denuncia e alla richiesta (fatta la Municipio di Lugano e agli sponsor) di rinunciare al previsto concerto di Fabri Fibra a Lugano e al dibattito che ne è scaturito. (Red)

Con cultura dello stupro, un concetto in uso negli studi sociologici e femministi fin dagli anni ‘70, si intende un sistema di pensiero che tende a giustificare e normalizzare la violenza sessuale nei confronti delle donne.

Secondo una celebre definizione, la cultura dello stupro è: «(…) un complesso di credenze che incoraggiano l’aggressività sessuale maschile e supportano la violenza contro le donne. Questo accade in una società dove la violenza è vista come sexy e la sessualità come violenta. In una cultura dello stupro, le donne percepiscono un continuum di violenza minacciata che spazia dai commenti sessuali alle molestie fisiche fino allo stupro stesso. Una cultura dello stupro condona come “normale” il terrorismo fisico ed emotivo contro donne.» (Emilie Buchwald, Pamela Fletcher, Martha Roth; Transforming a Rape Culture, Minneapolis,1993)

Le recenti reazioni alla nostra lettera aperta contro l’organizzazione da parte del LAC di un concerto di Fabri Fibra a Lugano sono un’evidente dimostrazione di quanto la nostra società, la nostra classe politica e i nostri media siano ancora profondamente intrisi dalla cultura dello stupro.

In nome dell’arte, cui tutto è concesso, e della libertà d’espressione, numerose sono state le voci che si sono levate a difesa del cantante. Ci colpisce come quasi tutti i suoi difensori non citino mai direttamente i versi incriminati, da noi esplicitamente trascritti nella nostra lettera aperta e nel nostro argomentario di approfondimento. Abbiamo discusso a lungo all’interno del collettivo sull’opportunità di reagire o meno al concerto organizzato dal LAC. Siamo ben consapevoli che, purtroppo, sono fin troppe le canzoni e i cantanti che possono essere accusati di sessismo e di veicolare un’immagine degradante della donna. Nel caso di Fabri Fibra, tuttavia, il problema è di altra natura. Non si tratta di “semplice” sessismo o di volgarità, ma di vere e proprie incitazioni allo stupro e al femminicidio.

Non conservatevi datela a tutti anche ai cani
se non me la dai io te la strappo come Pacciani (Su le mani, 2006)
Giro in casa con in mano questo uncino
Ti ci strappo le ovaie e che cazzo me le cucino! (Venerdì 17, 2004)

È di questo che stiamo parlando. Sono queste le cosiddette “canzoni forti”, come sono state definite da più parti (forti in che senso?). E la questione centrale è: esistono dei limiti nei confronti della violenza sessista e sessuale o, pur di vendere dischi, è tutto consentito?

Perché, al di là delle ipocrisie, al centro delle preoccupazioni vi sono la commercializzazione, il profitto, i soldi che giustificano tutto pur di vendere dischi e biglietti.

Lo stesso Fabri Fibra, in un’intervista del 2018, ha semplicemente ammesso che queste “provocazioni” perseguivano l’unico scopo di “avere una voce e un ruolo nel mercato”.

All’interno del mondo pubblicitario esistono regole precise che tentano di porre limiti alle rappresentazioni eccessivamente sessiste o degradanti. Come spiegano anche molte persone esperte della produzione musicale rap, esiste di fatto all’interno delle logiche di questo genere musicale un meccanismo molto simile a quello in atto nel mondo pubblicitario. Chi spinge più in là il limite della trasgressione, attira maggiormente l’attenzione, si fa un nome nell’ambiente e vende di più. Quindi non nascondiamoci dietro l’argomento dell’artista come un essere svincolato del mondo materiale e che si muove e si esprime mosso da logiche ben diverse da quelle del comune mortale!

A difesa di Fabri Fibra si sono sentiti paragoni assurdi e fuori luogo: dai quadri di Caravaggio alle foto di Mapplethorpe ai film di Pasolini. Vogliamo invece renderci conto che il pubblico di Fabri Fibra è anche composto da una folta schiera di giovani che non hanno gli strumenti per “mettere a distanza” i contenuti di queste canzoni e che vivono il mondo musicale come una comunità d’appartenenza identitaria, da cui riprendere codici e sistema di valori, cercando di imitare stile, posture, pensieri ed atteggiamenti dei propri idoli?

Nessuna di noi è così ingenua da credere che via sia un legame diretto, di causa-effetto, tra l’ascolto di questi testi e la riproduzione di comportamenti sessisti e violenti. È tuttavia altrettanto ingenuo pretendere che le produzioni musicali o artistiche massivamente consumate dai giovani non abbiano alcuna influenza sulla loro rappresentazione dei rapporti tra i sessi.

Ma – anche lasciando da parte il discorso sulle giovani generazioni – le reazioni di numerosi adulti sono particolarmente significative. La nostra lettera aperta poteva essere una buona occasione per iniziare a parlare di cultura dello stupro, per approfondire tutti quei messaggi e sistemi di pensiero che continuano a perpetuare e normalizzare una rappresentazione violenta della sessualità e sexy della violenza. E invece no: la violenza scompare (confusa con semplice volgarità o contenuti espliciti) e si sente solo parlare di cultura, arte e libertà. Come se vivessimo in un mondo in cui ad essere maggiormente minacciata è la libertà di espressione artistica e non l’integrità psico-fisica delle donne e delle persone LGBTQI+!

Proviamo a immaginare che i versi in questione di Fabri Fibra, invece di inneggiare alla violenza contro donne e gay, prendessero allo stesso modo di mira le persone di colore o gli ebrei. Sentiremmo ancora parlare tranquillamente di “semplice provocazione”? Di “metafore”? Di “libertà artistica”? No, perché la società nei confronti di questi atteggiamenti e messaggi esplicitamente razzisti e antisemiti ha saputo dotarsi di limiti chiari e di leggi a tutela di queste categorie. E l’arte continua a vivere benissimo anche se privata della libertà di inneggiare al linciaggio delle persone di colore o di celebrare i forni crematori.

È dunque forse chiedere troppo che limiti simili vengano definiti anche nei confronti dei messaggi e delle rappresentazioni che inneggiano alla violenza contro le donne? La domanda non è tanto “se si possono porre limiti all’espressione artistica”, visto che nei confronti di altre categorie già esistono. Ciò che occorre chiedersi è per quale motivo la violenza contro le donne resti una zona franca esente da ogni tentativo di limitazione e perché noi donne dobbiamo continuare ad essere le vittime sacrificali e silenti sull’altare di una presunta libertà artistica?

Il sessismo, l’oggettivazione, la denigrazione e la violenza nei confronti delle donne sono ancora percepiti come qualcosa di banale, di accettabile e certamente meno grave, ad esempio, del razzismo.

È importante invece iniziare a vedere come le violenze maschili sulle donne siano un fenomeno strutturale, profondamente radicato nell’organizzazione e nel sistema di pensiero della nostra società. La cultura dello stupro non è un vago concetto astratto, ma si produce e riproduce concretamente in ogni presa di posizione che minimizza e banalizza dei messaggi che incitano alla violenza sulle donne.

C’è chi dice che i testi incriminati sono ormai “vecchi” e che Fabri Fibra li ha scritti quando non era ancora maturo. Vorremmo innanzitutto precisare che il cantante è nato nel 1976 e all’epoca aveva dunque 28 e 30 anni, non 16! E, sì, è vero che sono passati più di 10 anni e che negli ultimi dischi – forse anche perché diventato di fatto un artista maggiormente mainstream – non si sono più toccati eccessi simili a quelli citati, pur trovando ancora costantemente diversi testi che restano intrisi di sessismo e pur avendo continuato a proporre sul palco, anche in anni recenti, le canzoni incriminate. Ci siamo anche noi poste la domanda: è corretto chiedere l’annullamento di un concerto per quanto scritto e cantato 10 anni fa? La risposta che ci siamo date è che Fabri Fibra ha avuto più di 10 anni per prendere coscienza di quanto fatto, per scusarsi, per mettere le distanze da alcuni testi. Ma non lo ha mai fatto. E un’ampia fetta del mondo culturale e musicale continua a far finta che non vi sia più alcun problema.

Le persone crescono e i tempi cambiano: la coscienza di cosa siano le violenze sessiste e sessuali è probabilmente più acuta oggi. Cosa facciamo allora? Nascondiamo sotto il tappeto gli errori passati? Non è anche questa una forma di cancel culture? Oppure proviamo tutte e tutti insieme ad affrontare questi temi con serietà e coraggio? Ammettendo i propri errori, cercando di capire come la cultura dello stupro sia radicata in vari ambiti e come si perpetua invisibilmente. Cercando insieme, discutendo apertamente, di definire quelle che sono le libertà da non toccare e quelli che sono i limiti da non valicare. Chiedendosi quali sono i ruoli e le responsabilità che ciascuno deve assumersi in questo ambito, a partire dalle istituzioni, dalla politica e dai mass media.

Non chiudiamo gli occhi di fronte alla cultura dello stupro!