Pubblichiamo questo interessante articolo sulla situazione dei rider (coloro che consegnano a domicilio cibo e bevande per conto di ristoranti di vario genere) e delle loro lotte. Un fenomeno (vedi vicende Divoora) in espansione anche da noi. (Red)
“Gig economy” e “platform worker”
Tra i tanti anglicismi oggi di moda, due sono meritevoli di particolare attenzione perché delineano una delle ultime frontiere dello sfruttamento capitalistico: “gig economy” e “platform worker”. La gig economy (“economia dei lavoretti”) viene definita dalla Treccani come “Modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, e non sulle prestazioni lavorative stabili e continuative, caratterizzate da maggiori garanzie contrattuali”.1 Esempio tipico i rider, i ciclofattorini che ci portano a casa cibo e bevande per conto delle aziende di delivery (consegna a domicilio) o gli autisti di Uber.
Nel modello padronale questi lavoratori, privi di ogni diritto, sono completamente isolati l’uno dall’altro e controllati da una piattaforma digitale (rientrano quindi nella più ampia categoria dei “platform worker”), sono malamente retribuiti esclusivamente sulla base del lavoro svolto, licenziabili senza pietà. Ovviamente l’ideologia padronale rappresenta questo modello di organizzazione del lavoro come un mondo idilliaco in cui studenti o lavoratori dedicano ogni tanto una parte del loro tempo libero, arrotondando il loro reddito principale con qualche lavoretto occasionale (magari divertendosi pure). Nella realtà dei fatti i lavoratori della gig economy vivono in genere solo di questo lavoro e spesso sono disoccupati di lungo corso o immigrati impossibilitati a trovare impieghi migliori.
Un recente studio dell’’INAPP2 permette di circoscrivere le dimensioni del fenomeno dei platform worker in Italia. Nel 2020/21 rientravano in questa categoria 570.000 lavoratori, così suddivisi: 36,2 % consegna pasti a domicilio (i rider), 14% consegna prodotti o pacchi, 4,7% autisti (tipo Uber), 9,2 % lavori domestici, 34,9% attività on line, 1% altre attività). Il 70% dei lavoratori ha tra i 30 e i 49 anni, nell’80 % dei casi questa è la principale fonte di reddito di chi lo svolge (era il 49% nel 2018), solo l’11% ha un contratto di lavoro dipendente. In molti casi, secondo lo studio, si può parlare di “caporalato digitale” con lavoratori “schiavi dell’algoritmo”, che decide del loro futuro in base alle prestazioni o ai giudizi dei clienti. Nel complesso “si tratta di un lavoro povero, fragile […] una nuova precarietà digitale”.
Per quanto riguarda il quadro italiano (ma non solo) occorre aver chiaro che questa nuova precarietà è il punto di approdo di decenni di deterioramento progressivo delle condizioni contrattuali dei lavoratori, attraverso la diffusione sempre più massiccia del lavoro non garantito, la legalizzazione di falsi lavori autonomi, l’introduzione di modelli contrattuali parasubordinati con poche o nulle garanzie, la diffusione del lavoro gratuito attraverso i meccanismi dello stage e dell’alternanza scuola-lavoro.
Una pietra miliare di questo deterioramento dei diritti è rappresentata dal cosiddetto “Modello Expo”. Il 23 luglio 2013 CGIL-CISL-UIL sottoscrivono un accordo che, in deroga a tutti i contratti nazionali e a fronte di pochissime assunzioni a tempo determinato, prevede un amplissimo uso degli stage (compensati con 516 euro mensili più buono pasto) e del lavoro volontario gratuito. Due tipologie di sfruttamento che hanno permesso lo svolgimento della kermesse milanese nel 2016.3 È utile tenere conto di questi precedenti quando vediamo i sindacati concertativi ergersi a difesa dei lavoratori atipici e tuonare contro i “contratti pirata”…
Rinviando ad un futuro approfondimento il tema del “lavoro su piattaforma” nel suo complesso, in questo articolo ci soffermiamo sui rider, il settore più noto dei platform worker, che ha saputo esprimere notevoli capacità di organizzazione e di lotta.
Rider e logistica: questioni preliminari
È meritevole di analisi il fatto che, pur essendo i ciclofattorini concettualmente inquadrabili nel comparto produttivo della logistica, vengono trattati (a parità dell’intensità dello sfruttamento) dallo Stato e dai suoi apparati repressivi in modo molto diverso.
I lavoratori della logistica in lotta si trovano ad affrontare il gangsterismo omicida del padronato, nell’indifferenza quasi totale di magistratura e forze dell’ordine, che spesso mirano più a colpire i lavoratori attivi (con ampio uso di arresti pretestuosi, fogli di via e altre misure preventive) che a reprimere gli omicidi padronali.4
Nel caso dei ciclofattorini, al contrario, l’interesse della politica è abbastanza forte, per quanto molto intermittente (il parlamento italiano ha approvato una legge, per quanto capziosa) e la magistratura è intervenuta in diverse occasioni, per sopperire alle scarse tutele assegnate ai lavoratori.
È evidente il diverso valore strategico dei due settori produttivi. La logistica propriamente detta è un nodo cruciale della produzione. Fermare lo spostamento di merci significa bloccare l’intera economia. Al contrario bloccare la consegna di pasti a domicilio ha un forte impatto emotivo sui consumatori ma scarsissime conseguenze sul piano economico generale.
I lavoratori dei magazzini sono invisibili al consumatore medio, mentre il rider che ci porta il cibo a domicilio o che vediamo pedalare per strada suscita un moto spontaneo di simpatia.
Per usare un esempio brutale: ciascuno di noi è molto sollecito nei confronti del proprio cane o gatto, mentre non presta molta attenzione alle sofferenze dei polli da batteria e degli altri animali da macello. D’altra parte noi stessi siamo carne da macello per il Capitale… è una questione di “empatia” o, per usare una parola desueta, di capacità o meno di provare “solidarietà”.
Qualcuno potrebbe obiettare che la severità repressiva dello Stato dipende dalla durezza delle lotte messe in campo dai lavoratori della logistica, ma è facile rispondere che questa durezza è resa spesso necessaria dalla violenza di un padronato che opera secondo schemi mafiosi e gangsteristici, facendo strame dei contratti e colpendo fisicamente chi cerca di opporsi.
Al contrario nella “gig economy” i padroni operano per lo più in guanti bianchi, impongono il loro dominio con sofisticati strumenti informatici e pseudolegali e danno molta importanza a “public relations” indispensabili per i loro affari. In questo contesto i rider hanno buon gioco a sfruttare la simpatia di cui godono spontaneamente, impostando campagne “di immagine” che hanno spesso prodotto risultati significativi.
È evidente che lo stesso modello di mobilitazione non può essere aprioristicamente trasferito da un settore all’altro.
I rider: una storia breve ma intensa
I ciclofattorini incominciano a comparire nelle strade delle nostre città nel corso del 2015, con lo sbarco in Italia di Foodora e Deliveroo, seguite rapidamente dagli altri colossi del settore: Glovo (che assorbe Foodora), Just Eat ecc. Il modello organizzativo del delivery prevede che l’azienda fornisca una app per smartphone attraverso cui il lavoratore viene chiamato quando serve. Un complesso algoritmo decide chi chiamare e chi no creando una graduatoria basata sulla fedeltà e l’affidabilità. In poche parole: se sei disposto a rispondere sempre e comunque, a qualunque ora e con qualunque tempo alle chiamate sali ai vertici della classifica, se sei meno disponibile perdi posizioni. In questo modello il lavoratore non ha alcuna garanzia, viene pagato con cifre risibili, non gode di ferie, malattie, assicurazioni sul lavoro, deve metterci la bicicletta di suo e spesso persino pagare il borsone per le consegne.
Inizialmente i rider sono prevalentemente studenti universitari che fanno consegne per raggranellare qualche soldo, ma da subito emergono i problemi. Torino è l’epicentro delle prime proteste: Foodora decide unilateralmente di peggiorare le condizioni contrattuali dei lavoratori (assunti all’epoca come co.co.co) passando da un compenso orario (5,40 euro lordi) ad uno a cottimo (3 euro lordi a consegna, 2,70 netti). Le colorate manifestazioni di protesta suscitano simpatia nell’opinione pubblica, dichiarazioni di sostegno da parte dell’amministrazione comunale e persino la solidarietà di qualche ristoratore. I circa 300 ciclofattorini rivendicano l’eliminazione dei contratti co.co.co. e del cottimo e l’introduzione di un part time verticale con una paga oraria fissa di 7,50 euro netti, un bonus di un euro a consegna fisso, un contributo per le riparazioni alla bici commisurato alle ore di lavoro, un contributo per le spese internet del cellulare.5 L’azienda risponde offrendo il risibile aumento del cottimo (da 3 a 4 euro lordi a consegna) e “licenzia” alcuni tra i lavoratori più attivi (basta escluderli dall’app e non chiamarli più). Mentre prosegue la mobilitazione (che si estende anche a Milano) inizia una estenuante battaglia legale dagli esiti alterni.
Intanto la composizione sociale dei rider sta mutando rapidamente, sempre meno studenti che arrotondano e sempre più disoccupati che traggono dal lavoro il loro reddito principale. Sempre più numerosi anche gli immigrati (non di rado irregolari).
La mobilitazione intanto si estende e si coordina in tutto il paese. Tra i successi ottenuti dai ciclofattorini organizzati merita di essere ricordato l’accordo raggiunto nel 2018 tra la Riders Union di Bologna e alcune aziende per definire una serie di diritti minimi6 e l’inquadramento, nei primi mesi del 2019, dei rider come lavoratori dipendenti nel contratto della logistica riconosciuto da una azienda di Firenze.7 A seconda dei casi i rider si organizzano in comitati spontanei, con i sindacati di base o confederali.
Della questione si interessa anche la politica ed in particolare il Movimento 5 Stelle che è prodigo di promesse. Dopo lunga gestazione viene però partorito il consueto compromesso al ribasso (DL 3 settembre 2019 n. 101, convertito nella legge 128/2019). Ai lavoratori vengono riconosciuti in via teorica alcuni diritti minimali come la tutela dei dati personali e il diritto alla non discriminazione. Viene stabilito che “L’esclusione dalla piattaforma e le riduzioni delle occasioni di lavoro ascrivibili alla mancata accettazione della prestazione sono vietate”. Viene riconosciuta l’assicurazione INAIL contro gli infortuni, il diritto a percepire un compenso minimo orario (con la conseguente proibizione del cottimo), e un’integrazione salariale nel caso di lavoro notturno, festivo o col maltempo.
Il punto fondamentale, cioè la natura giuridica del rapporto di lavoro, rimane però irrisolta, per cui i ciclofattorini, secondo i casi, possono essere considerati lavoratori parasubordinati (co.co.co.), autonomi o subordinati. La decisione viene demandata ad “accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative”, che possono persino derogare in peggio le norme di legge. Insomma una legge capziosa, fatta apposta per essere elusa e per venire incontro alle esigenze di profitto delle lobby padronali.
Da notare che nel frattempo è giunta a conclusione la lunga battaglia legale intrapresa nel 2016 dai rider di Torino. La Corte di Cassazione, con sentenza 24 gennaio 2020, n. 1663, riconosce che il lavoro del ciclofattorino deve essere ricondotto alla fattispecie del lavoro subordinato. Di conseguenza la legge appena varata risulta addirittura peggiorativa rispetto agli orientamenti della magistratura.
Mentre la diffusione della pandemia fa aumentare esponenzialmente le consegne a domicilio l’associazione padronale Assodelivery approfitta della nuova legge per sottoscrivere, nel settembre 2020, con il sindacato postfascista UGL un accordo capestro che getta nuovamente i lavoratori nel calderone del lavoro autonomo e reintroduce dalla finestra quel cottimo che la legge aveva cacciato dalla porta. Da notare che sebbene persino il Ministero del Lavoro abbia stigmatizzato l’accordo, considerando il sindacato privo della necessaria rappresentatività, il contratto mantiene pieno valore legale. Ciliegina sulla torta: l’accordo riconosce i diritti sindacali solo all’UGL stessa e non agli altri sindacati né tanto meno ai numerosi comitati di base.8 Insomma, uno dei tanti “contratti pirata” sottoscritti per peggiorare le condizioni contrattuali dei lavoratori.
L’accordo suscita forti reazioni tra i lavoratori, con agitazioni e scioperi, mentre diverse sentenze riconoscono l’illegittimità dell’accordo.
Nel frattempo anche la magistratura milanese, pressata dall’attenzione dell’opinione pubblica, interviene pesantemente commissariando Uber Eats per caporalato, infliggendo sanzioni a varie aziende e avviando indagini fiscali. Clamorose le parole del PM Greco secondo cui 60.000 rider vanno regolarizzati come parasubordinati perché“non sono schiavi” (febbraio 2021).9
A questo punto Just Eat, una delle maggiori piattaforme, decide di smarcarsi, abbandona Assodelivery e sottoscrive (marzo 2021, poco dopo un riuscito sciopero) un accordo con i confederali che riconosce i rider come lavoratori dipendenti inserendoli in una sezione appositamente creata del comparto della logistica.10
Una scelta che sicuramente paga in termini di immagine e infatti il CEO di Just Eat Jitse Groen può pavoneggiarsi a tutta pagina sul “Corriere della sera” ergendosi a paladino dei diritti dei lavoratori e dichiarando: “Sono convinto che il modello basato sui rider freelance non sia sostenibile […] Il passo successivo? Rendere i consumatori più consapevoli del fatto che ora ci sono rider con diritti e rider senza”.11
A scompigliare ulteriormente le carte è intervenuto, nella seconda metà del 2021, lo sbarco in Italia di due nuove aziende di delivery, la turca Getir e la tedesca Gorillas, specializzate nella consegna ultraveloce (entro dieci minuti dall’ordine). Per sottrarre alla concorrenza i rider migliori le due aziende offrono contratti a termine con regolare inquadramento nel contratto del commercio e la disponibilità di biciclette elettriche.12
La lotta continua
Il quadro che abbiamo fin qui delineato consente di trarre alcune prime, parziali conclusioni: un segmento di lavoratori teoricamente “non organizzabile” per la frammentazione (ogni rider è solo con la sua app) ha saputo al contrario produrre forme specifiche di organizzazione, comunicazione, identità e lotta, con risultati di rilievo. Il fatto che le attività di delivery si svolgano essenzialmente nei grandi centri e che molti dei rider più attivi provengano da esperienze politiche precedenti (centri sociali, comitati di base) ha indubbiamente il suo peso. I successi ottenuti sono tanto più rimarchevoli se consideriamo che i lavoratori hanno di fronte multinazionali abituate a definire le loro strategie a livello europeo se non mondiale.
Di fronte alle mobilitazioni dei lavoratori e alla conseguente attenzione da parte dell’opinione pubblica e della magistratura, il fronte padronale, come abbiamo visto, si è diviso. Da un lato le maggiori piattaforme (Assodelivery) giocano il ruolo di “padrone delle ferriere”, cercando di spremere il massimo dai lavoratori e si trincerano dietro il contratto UGL (peraltro difeso da “illustri” giuslavoristi come Pietro Ichino13) nonostante le numerose pronunce contrarie della magistratura. Dall’altra parte Just Eat, Getir e Gorillas hanno assunto un atteggiamento più pragmatico, la prima sottoscrivendo un accordo con i confederali, le altre applicando il contratto del commercio ai dipendenti. Nella diversa scelta conta molto la durissima concorrenza tra le diverse piattaforme, quelle più “illuminate” ci guadagnano in termini d’immagine e scommettono su un probabile cambio del quadro normativo che sembra profilarsi.
Infatti a dicembre 2021 La Commissione Europea14 ha presentato una proposta di Direttiva sui platform worker. La bozza (peraltro attesa dal 2017) individua cinque criteri per riconoscere il platform worker come lavoratore dipendente: 1-2) la retribuzione e le regole di condotta sono stabilite unilateralmente dall’azienda, 3) la piattaforma supervisiona il lavoro e lo valuta, anche attraverso strumenti elettronici, 4) la piattaforma limita la possibilità di definire l’orario di lavoro e di accettare o rifiutare gli incarichi, 5) la piattaforma limita la possibilità di lavorare per altre aziende. Il rapporto di lavoro subordinato è sempre presunto quando si verifichino almeno due di queste condizioni e spetta all’azienda l’onere di dimostrare che si tratta invece di lavoro autonomo. Le app utilizzate devono garantire trasparenza sull’utilizzo degli algoritmi per il monitoraggio e la valutazione dei lavoratori.
La reazione delle aziende è sovrapponibile a quella già vista in Italia: Just Eat approva mentre Delivery Platforms Europe, associazione tra le altre principali piattaforme, si oppone raccontando la barzelletta che i maggiori costi renderebbero antieconomica l’attività con conseguente perdita di posti di lavoro (ovvero: lavoro sì purché a condizioni schiavili).
Non possiamo prevedere quale sarà l’esito finale di questa proposta (che deve affrontare le insidie lobbistiche ed essere tradotta in legge nei singoli Stati), vale la pena di registrare intanto le critiche del sindacato concertativo olandese FNV (attivo in battaglie legali contro Uber e Deliveroo) che ha definito “ingenui” i criteri individuati dalla Commissione perché le piattaforme potrebbero facilmente aggirarli e sono interessate a farlo dato che il loro modello di business consiste nell’”evitare i costi di occupazione”. Sulla stessa linea Fairwork (progetto dell’Oxford Internet Institute) che ha sottolineato la capacità delle multinazionali di adattarsi rapidamente al mutare delle norme nazionali per eluderle, inoltre la bozza non prevede tutele per i lavoratori residualmente riconosciuti come autonomi15.
Risulta di conseguenza istruttivo dare un’occhiata a quanto sta avvenendo in Spagna dopo l’adozione della“Ley rider” (la prima ad inquadrare, da agosto 2021, i ciclofattorini come lavoratori dipendenti): Deliveroo ha abbandonato il paese, Glovo (utilizzando cavilli vari) mantiene l’80 % dei rider come autonomi, Uber Eats ha “disconnesso” (licenziato) i suoi fattorini esternalizzando ad altre aziende la fornitura di manodopera, Just Eat ha sottoscritto un accordo con i sindacati maggiori mentre le quattro new entry Getir, Gorillas, Dija e Rocket assumono i loro fattorini con contratti subordinati (Rocket sta contrattando un accordo coi sindacati).16.
In definitiva è sempre la lotta e non il diritto formale a stabilire i diritti dei lavoratori e in Italia le mobilitazioni dei rider continuano in pieno. Intanto le indagini della magistratura milanese si sono sgonfiate: “La montagna ha partorito il topolino”, osservano i lavoratori, al posto dell’astronomica ammenda di 733 milioni di euro inizialmente comminata le aziende se la cavano con “corsi di formazione online su salute e sicurezza per ogni lavoratore e devono pagare 90 Mila euro circa di multa, 15 Mila euro poi spettano a ciascun amministratore delegato a causa della responsabilità civile e penale […]”17
Per quanto riguarda Just Eat, i lavoratori hanno potuto verificare che non è tutto oro quello che luccica. Si è conquistata, è vero, l’assunzione come lavoratori subordinati ma l’accordo appare decisamente peggiorativo rispetto al contratto della logistica, per cui si sta sviluppando la mobilitazione per l’applicazione integrale del contratto di comparto.18
(19) Quanto a Getir e Gorillas è troppo presto per dire se i contratti a tempo determinato sottoscritti si tradurranno o meno in posti di lavoro stabili.
*articolo apparso sulla rivista Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe n. 3, Maggio 2022
1 https://www.treccani.it/vocabolario/gig-economy_%28Neologismi%29/
2Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, “Lavoro virtuale nel mondo reale: i dati dell’Indagine Inapp-Plus sui lavoratori delle piattaforme in Italia”, A cura di Francesca Bergamante, Francesca Della Ratta, Massimo De Minicis, Emiliano Mandrone, gennaio 2022, https://www.startmag.it/wp-content/uploads/Policy-brief_lavoratori_piattaforme_Italia.pdf alcune citazioni sono tratte dal comunicato stampa dell’INAP https://www.inapp.org/it/inapp-comunica/sala-stampa/comunicati-stampa/04012022-lavoro-inapp-%E2%80%9Caltro-che-gig-economy-8-lavoratori-su-dieci-delle-piattaforme-%C3%A8-una-fonte-di-sostegno-importante-o-addirittura-essenziale%E2%80%9D
3 Cfr in particolare gli art. 5 e 6 del protocollo e i relativi allegati http://www.bollettinoadapt.it/wp-content/uploads/2014/07/prot_expo_23_07_13.pdf , “Modello Expo ? No grazie!”, Umanità Nova, 15 novembre 2016 https://umanitanova.org/modello-expo-no-grazie/
4 Sulle lotte della logistica si veda l’articolo di Visconte Grisi in questo stesso numero di “Collegamenti”
5 https://www.dissapore.com/ristoranti/torino-foodora-protesta-rider/
6 https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/04/16/riders-lalba-di-un-nuovo-sindacato-a-bologna-la-prima-internazionale-e-la-carta-dei-diritti-torino-non-ci-sono-solo-i-tribunali/4295344/
7 https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/10/rider-a-firenze-i-primi-assunti-a-tempo-indeterminato-con-le-tutele-del-contratto-nazionale-della-logistica/5169206/
8 Gionata Cavallini, “Il Ccnl Rider Ugl-Assodelivery Luci e ombre di un contratto che fa discutere”, https://consulentidellavoro.mi.it/rivista-sintesi/articoli-in-evidenza/il-ccnl-rider-ugl-assodelivery-luci-e-ombre-di-un-contratto-che-fa-discutere/
9 https://www.agi.it/cronaca/news/2021-02-24/uber-eats-procura-milano-indagine-fiscale-11532359/
10 https://www.agi.it/economia/news/2021-03-29/rider-just-eat-contratto-dipendenti-assunzione-11973432/
11 Diana Cavalcoli, “Modello Just Eat”, Corriere della sera, 6 dicembre 2021,
12Andrea Gianni, “Rider, una svolta. Ma c’è da pedalare”, Il Giorno (Milano), 10 dicembre 2021, https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/rider-1.7135448
13 https://www.lavoce.info/archives/69553/contratto-per-i-rider-e-davvero-pirata/
14Mirella Castigli, “Direttiva UE su rider e salario minimo: l’Italia vuole agire in fretta”, https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/proposta-direttiva-ue-sui-rider-e-salario-minimo/ ; Federica Capponi, Bollettino ADAPT 13 dicembre 2021, n. 44, http://www.bollettinoadapt.it/ricerca-2/?pdf=173245
15 Fairwork Response to the European Commission’s Proposal for a Directive on Platform Work, https://fair.work/en/fw/blog/fairwork-response-to-the-european-commissions-proposal-for-a-directive-on-platform-work/#continue
16https://elpais.com/economia/2021-12-27/la-irrupcion-de-cuatro-nuevas-plataformas-de-reparto-sacude-el-sector-tras-la-entrada-en-vigor-de-la-ley-de-riders.html
17 https://www.facebook.com/deliverancemilano post del 1 dicembre 2021
18 https://bresciaanticapitalista.com/2021/12/20/riders-in-sciopero-dopo-torino-in-centinaia-scioperano-a-roma-e-genova/
(19) nota redazionale. Infatti Gorillas ha già annunciato il ritiro dal mercato italiano, Getir è in forte difficoltà e preferisce un turnover spietato alla regolarizzazione dei precari (aggiornamento 5 giugno 2022) vedi https://www.facebook.com/deliverancemilano post del 27 maggio 2022