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Siamo oggi qui presenti, cittadine e cittadini, organizzazioni e partiti politici, per dire che non vogliamo nessun piano di riarmo per la Svizzera, che non accettiamo nessun progetto volto ad aumentare la produzione e l’acquisto di nuove armi, che ci battiamo al contrario per un disarmo generale.

Il disastro della guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina è sotto gli occhi di tutti noi. Oggi, 31 maggio, siamo al 97 esimo giorno di guerra e la situazione peggiora. Si intensificano i bombardamenti, le distruzioni assurde e ingiustificate, gli atti di totale disprezzo della vita umana. Qualsiasi prospettiva di negoziato viene regolarmente invalidata dalla realtà di quanto succede sul terreno. Nessuna organizzazione internazionale ha voce in capitolo, se non quella per denunciare le atrocità commesse. I leader occidentali si dilettano in passerelle mediatiche, interventi ad effetto opinione pubblica. Molti Governi, con un tempismo quantomeno sospetto, si sono affrettati a rivedere i loro programmi militari. La NATO, Patto Atlantico nato nel 1949 per rispondere ad un eventuale attacco da parte dell’allora Unione Sovietica, e dato quasi morente dopo la caduta del muro di Berlino, ha improvvisamente ripreso un ruolo centrale nella politica militare dell’Occidente. Addirittura Paesi come la Finlandia e la Svezia, da decenni neutrali, hanno depositato negli scorsi giorni la richiesta di adesione alla NATO. Per non citare la Germania, che da deciso di portare al 2% del suo Pil le spese per la difesa oltre ad una tantum di 100 miliardi di euro per il rinnovamento delle sue forze armate.

Gli Stati Uniti, accusati da più parti di sottovalutare i potenziali pericoli in Europa e ormai concentrati sull’altro gigante economico mondiale, la Cina, hanno ripreso il loro ruolo di gendarme e sono leader indiscussi della reazione occidentale all’aggressione armata di Putin contro l’Ucraina.

Se Putin, con la decisione di invadere militarmente l’Ucraina, voleva mettere in difficoltà la NATO, il risultato è un vero disastro!

In tutto questo quadro, per nulla rassicurante, quale ruolo gioca La Svizzera?

Di fronte alla prospettiva di un ulteriore sviluppo dei programmi di riarmo e quindi della possibilità di inserirsi in un vasto progetto di produzione e vendita di armamenti con lauti benefici finanziari, la destra svizzera non poteva certo stare alla finestra, assistere a un tale banchetto senza rivendicare un posto a tavola.

 Ad aprire le danze ci ha pensato il Consiglio Federale, per bocca della ministra Amherd, che 6 giorni dopo l’inizio dell’invasione chiedeva spudoratamente ai promotori dell’iniziativa contro l’acquisto degli F35 di ritirarla alla luce degli avvenimenti in Ucraina. La raccolta di firme è in corso e siamo a circa 100’000.

A seguire in rapida successione, parecchi politici borghesi si erano affrettati a chiedere due miliardi di franchi in più per l’esercito. Con una velocità veramente notevole, la Commissione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati ha accettato ad inizio aprile una mozione che propone di alzare progressivamente il bugdet dell’esercito dagli attuali 5 miliardi annuali a 7 entro il 2030, ciò che significherà l’1% del prodotto interno lordo. Stessa musica quella sentita al Consiglio Nazionale con una mozione praticamente identica.  Questa lista della spesa così generosa comprende difesa dello spazio aereo, rafforzamento delle truppe di terra, cyber difesa, ammodernamenti vari. Naturalmente esercito e Consiglio Federale, con il solito teatrino e per bocca della ministra Viola Amherd, si sono dichiarati non sorpresi da questa accelerazione. E pure naturalmente, sempre la ministra Amherd, si è affrettata ad aggiungere che l’incremento di questi mezzi finanziari per la difesa non andrà a scapito di altri settori d’attività dello Stato.

Questa dinamica tesa ad incrementare tutto il settore dell’armamento in Svizzera è però presente da tempo nella politica svizzera.  Da anni le imprese dell’industria svizzera degli armamenti rivendicano un alleggerimento delle disposizioni che regolano le esportazioni di materiale bellico e chiedono di poter operare in condizioni migliori per far fronte alla concorrenza internazionale. La difesa dei posti di lavoro in questo caso diventa un baluardo irrinunciabile! Addirittura la Commissione della politica di sicurezza del Parlamento chiedeva al Consiglio Federale nel 2013 di lottare contro la discriminazione di cui è oggetto l’industria svizzera della sicurezza e degli armamenti.

La decisione di Putin di scatenare la guerra contro l’Ucraina ha fornito un assist fenomenale ad un apparato politico e militare che si preparava da tempo a creare le condizioni per una ripresa in grande stile di tutto il settore degli armamenti in Svizzera. Di conseguenza va molto bene fare leva sull’insicurezza creata da questa guerra, paventare scenari di guerra anche alle nostre latitudini, addirittura spingere per un ulteriore rafforzamento degli accordi già in vigore con la NATO, magari anche cominciare ad immaginare l’adesione svizzera alla NATO.

Attualmente la Svizzera spende circa lo 0,7% del proprio Pil per le forze armate (contro ad esempio il 2% che la NATO raccomanda ai suoi membri). L’esercito svizzero è passato dagli 800’000 uomini alla fine degli anni 1990 ai 140’000 del 2018. Nel 1989,  il 35% della popolazione svizzera accolse l’iniziativa denominata “Per un Svizzera senza esercito”, qualche anno dopo un’altra iniziativa contro l’acquisto di aerei da guerra F/A 18 raccolse il 43% di consensi, il servizio civile in alternativa al servizio militare a partire dal 1996 ha contribuito ad erodere il mito della difesa nazionale e creato non poche difficoltà ai fautori dell’aumento delle spese militari, nel 2020 il Decreto federale per l’acquisto di nuovi aerei da combattimento è stato accettato per un nulla con appena il 50,1% dei consensi.

Ci voleva dunque un evento eclatante, come appunto questa guerra in Europa, a cui aggrapparsi e forzare la mano.

Questa è la coerenza e queste sono le aspirazioni che stanno guidando le scelte di gran parte della classe politica e imprenditoriale di questo Paese.

La velocità con la quale cercano di convincerci che dobbiamo accettare spese faraoniche per la difesa armata stride impietosamente con la lentezza, da più parti denunciata, con la quale vengono applicate le sanzioni contro gli oligarchi russi. Qui nessuno si strappa le vesti, nessuno paventa scenari apocalittici. Anzi, la somma degli averi congelati, pari a circa 6 miliardi di franchi su un totale di 150/200 miliardi, è stata addirittura abbassata perché qualche oligarca è stato tolto dalla lista dopo aver ceduto i suoi averi a persone non sanzionate (mogli, parenti, conoscenti). Come nessuno si sente imbarazzato più di tanto di fronte al ruolo vergognoso che assume la Svizzera nel settore del commercio delle materie prime. Ticino compreso, dove il prossimo 23 e 24 giugno si terrà a Lugano un meeting internazionale dedicato a questo settore economico e che vedrà la partecipazione di attori internazionali, politici e imprenditori nostrani.

Bene, prendete nota che ci saremo anche noi e anche lì manifesteremo la nostra opposizione!

Questo è il nostro orizzonte, totalmente diverso e anche molto più coerente di chi oggi cerca di convincerci che le nostre priorità sono quelle della difesa armata.

Ci batteremo contro l’ennesimo scippo di risorse pubbliche, cioè nostre, di tutte e tutti noi. Dobbiamo far sentire il nostro NO a questi progetti. Dobbiamo impedire con le nostre azioni che, sfruttando la tragedia ucraina, la Svizzera padrona e imprenditoriale investa somme enormi nella politica degli armamenti e continui a smantellare lo stato sociale, riversando sulle cittadine e cittadini i costi di una crisi di sistema che lei stessa ha provocato.

Non ci interessano nuove armi, un esercito con maggiori risorse o una legge per le esportazioni di materiale bellico più permissiva.

Vogliamo invece una salute di qualità per tutte e tutti, vogliamo scuole accessibili, vogliamo servizi garantiti, vogliamo una vera politica di accoglienza per chiunque fugga da una guerra, vogliamo tassare davvero i grandi patrimoni, vogliamo una vera politica ambientale di rottura, con scelte finalmente in linea con l’urgenza climatica, vogliamo la fine delle disparità di genere, vogliamo andare in pensione con redditi decenti, vogliamo una AVS che garantisca una vita dignitosa e non vogliamo nessun aumento dell’età lavorativa!

Questa è la nostra coerenza. Questa è la nostra bussola.

In tutta la Svizzera sono in corso proteste come la nostra, da più parti si stanno attivando, o riattivando, forze che esigono uno stop a questa politica liberticida. Se sapremo organizzarci e riprendere le mobilitazioni, se sapremo creare una dinamica di opposizione all’altezza della situazione, non riusciranno nei loro piani.

Facciamoci sentire ovunque!

Arrivederci al 23 giugno al LAC di Lugano per dire il nostro NO al commercio delle materie prime!