Lo scorso 19 maggio i principali media ticinesi salutavano con enfasi la vendita del comprensorio immobiliare di Via Beltramina di proprietà della Cassa Pensione della Città di Lugano (CPdL). Il Corriere del Ticino titolava addirittura «Colpo della Cassa pensioni». L’unico colpo l’ha realizzato l’acquirente, la Fondazione d’investimento Avadis che si trova fra le mani un fondo immobiliare altamente redditizio.
Con questa operazione è stato dato con tutta probabilità un colpo definitivo alla possibilità, evidentemente remota in una città come Lugano, di imbastire una politica sociale in materia di alloggi accessibili a prezzi inferiori a quelli del mercato, capace di intercettare i bisogni di una parte crescente della popolazione a basso o medio reddito. Una politica che potrebbe anche contribuire a frenare l’esodo di cittadini da Lugano. Invece, ancora una volta, si assiste all’ennesima alienazione di un bene pubblico, un ulteriore passo verso il punto di non ritorno. A una velocità elevata, la CPdL sta completando la svendita di immobili di sua proprietà diretta. A marzo 2017 è stato ceduto il “Quartiere Ronchetto”, 6 palazzi per complessivi 156 appartamenti popolari, più alcuni spazi commerciali, al fondo immobiliare privato SF Sustainable Property Fund (SFP). Nello stesso anno si registra anche la cessione dell’immobile Casa Resega dotato di 20 appartamenti. Nel 2018 è stato il turno del complesso immobiliare di Via Industria a Pregassona, dotato di 126 appartamenti popolari e concesso alla Fondazione di Previdenza UBS AST Immobilien Schweiz. A fine gennaio 2022 è stato sacrificato il Rione Madonnetta con i suoi 79 appartamenti popolari, andati nelle mani del fondo d’investimenti privati Patrimonium AG di Baar. A maggio 2022, infine, la vendita appunto alla Fondazione d’investimento Avadis dell’immobile in via Beltramina con i suoi 117 appartamenti popolari. Fino al 2016 la CPdL possedeva 768 appartamenti popolari. A maggio 2022, restavano in suo possesso diretto solo 270, una riduzione del 65% del proprio patrimonio immobiliare, in massima parte costituito da appartamenti collocati nei quartieri popolari di Molino Nuovo e Pregassona.
Questa politica in materia immobiliare delle CPdL, sulla quale il Municipio di Lugano ha un’influenza importante, ci porta a due conclusioni. In primo luogo appare conclamata l’opzione di passare dagli investimenti immobiliari diretti a livello locale agli investimenti immobiliari finanziari, ossia un evidente processo di “finanziarizzazione” del patrimonio previdenziale dei dipendenti che fanno parte di questa cassa pensione. Gli immobili di proprietà diretta della CPdL sono ceduti (conferimento in natura) ai vari fondi privati d’investimento citati in cambio di partecipazioni al loro capitale azionario. Nell’immediato questa opzione offre rendimenti più elevati: dal 2016 al 2021, la redditività media degli “immobili indiretti” è stato del 6,01%, contro un reddito netto medio sul periodo 2012-2021 degli “immobili diretti” pari al 4,25%.
Se nell’immediato gli investimenti immobiliari finanziari apportano maggiori guadagni, non è detto che in un futuro più lontano ciò sarà ancora il caso. Colpiscono infatti, dopo questi pochi anni di partecipazioni finanziarie immobiliari, gli sbalzi a livello della loro redditività[1]. Inoltre non va dimenticato il fatto che la CPdL perde qualsiasi controllo diretto sulla gestione del proprio patrimonio. Con l’apporto dello stabile di via Beltramina, la CPdL otterrà un pacchetto di azioni della Fondazione d’investimento Avadis. Non è dato sapere a quanto ammonterà la quota azionaria. Anche supponendo che questa sia del 5%, l’opinione della CPdL conterà come il due di picche, non avrà nessun margine di manovra per impedire, per esempio, scelte d’investimento azzardate, speculative, della fondazione. Una perdita di controllo tanto più importante che solo 3,6 degli 11,7 miliardi di franchi sono investimenti immobiliari in Svizzera, cioè in un mercato “conosciuto”. Nessuno può garantire, soprattutto sul lungo termine, che gli investimenti nei mercati immobiliari internazionali possano essere considerati più sicuri rispetto agli investimenti immobiliari diretti in loco, tanto più se effettuati nel segmento, quello degli alloggi popolari inferiori al prezzo di mercato, dove la domanda è storicamente e nettamente superiore all’offerta. In conclusione, il tempo ci dirà se le scelte della CPdL si riveleranno utili per gli interessi almeno degli assicurati, oppure si è scelto di seguire una via perigliosa, tanto gli eventuali “incidenti” saranno scaricati sui dipendenti attivi e inattivi della città di Lugano.
In secondo luogo deve essere chiaro che con la politica scelta dalla CPdL, con la benedizione del Municipio, è stata eliminata la possibilità, concreta e teorica, d’imbastire una politica degli alloggi diametralmente opposta. Infatti, il patrimonio immobiliare della CPdL, sommato con il poco ancora detenuto dal Comune di Lugano, poteva costituire il punto di partenza materiale sul quale costruire nel tempo una politica pubblica degli alloggi che rispondesse ai bisogni sociali delle fasce di reddito medio basse. Da questo patrimonio si sarebbe potuto sviluppare un intervento ancora più diffuso, articolato e importante anche numericamente. Detto altrimenti, si è ipotecato un importante ammortizzatore sociale la cui necessità è già oggi patente. Anche in questo frangente, valuteremo nel tempo la lungimiranza di questa scelta.
Bugie per giustificare la vendita degli immobili della CPdL
Un altro aspetto che colpisce nella vicenda dell’immobile di via Beltramina è che per giustificare questa vendita si sia fatto riferimento ai vincoli imposti dalla Legge sulla previdenza professionale (LPP). Mauro Guerra, direttore della CPdL, si è così espresso dalle colonne del Corriere del Ticino (19.05.2022): «La sola proprietà di via Beltramina (…) costituiva l’8% dei nostri investimenti immobiliari, quando la legge dice che non si può superare il 5%. Eravamo già in deroga». Quindi, seguendo il pensiero del direttore Guerra, la cessione di via Beltramina sarebbe, in ultima analisi, una conseguenza della necessità di rispettare la LPP.
L’ Ordinanzasulla previdenza professionale per la vecchiaia,i superstiti e l’invalidità(OPP 2)prevede all’articolo 54b che gli investimenti in immobili «non possono superare, per ogni oggetto, il 5 per cento del patrimonio totale». Allo stesso modo, l’articolo 55 (capoverso 1, lettera c) della stessa ordinanza fissa che «alle singole categorie d’investimento si applicano i seguenti limiti riferiti al patrimonio totale: (…) c. 30 per cento: per gli investimenti immobiliari, di cui al massimo un terzo all’estero». Ecco che la legge sembrerebbe dare ragione al direttore Guerra e alla CPdL. Senonché, l’articolo 50 della OPP 2 recita chiaramente che «L’istituto di previdenza può, se il suo regolamento lo prevede, estendere le possibilità d’investimento secondo gli articoli 53 capoversi 1–4, 54, 54a, 54b capoverso 1, 55, 56, 56a capoversi 1 e 5 nonché 57 capoversi 2 e 3, purché comprovi in modo concludente nell’allegato al conto annuale l’osservanza dei capoversi 1–3». Detto molto semplicemente, esistono dei limiti legali in materia di investimenti immobiliari – quello citato da Guerra per esempio – ma a questi si può facilmente derogare non essendo gli stessi “ferocemente” vincolanti. Lo afferma lo stesso Consiglio federale: «In effetti, i limiti per gli investimenti di cui all’articolo 55 dell’ordinanza sulla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità (OPP 2; RS 831.441.1) non vanno intesi in senso assoluto. Giusta l’articolo 50 capoverso 4 OPP 2, l’istituto di previdenza può superare il limite per gli investimenti immobiliari se è previsto dal suo regolamento e purché comprovi in modo concludente nell’allegato al conto annuale l’osservanza dell’articolo 50 capoversi 1 a 3 OPP 2 (rispetto dei principi di diligenza, sicurezza e diversificazione appropriata). Nel bollettino della previdenza professionale n. 109 (disponibile solo in francese e in tedesco), l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali stabilisce esplicitamente che un istituto di previdenza non è costretto in alcun modo a vendere beni immobili, anche se la quota di questo tipo di investimenti è superiore al 30 per cento. Il limite fissato va invece inteso piuttosto come un segnale di allerta: gli istituti che lo raggiungono o lo superano devono affrontare il tema e soprattutto verificare che siano rispettati gli obblighi in materia di sicurezza e di diligenza. Inoltre, nel rapporto sul futuro del secondo pilastro, che stilava un bilancio generale della situazione della previdenza professionale, era stato proposto di innalzare i limiti per gli investimenti immobiliari. Nel quadro dell’indagine conoscitiva, però, le parti interessate hanno nettamente respinto l’idea, argomentando che questi limiti rivestono una funzione puramente indicativa e non sono pertanto vincolanti»[2]. Già molto chiaro così. Ma vale la pena di andare a vedere cosa scriveva l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali. Nel bollettino della previdenza professionale n° 109, edizione speciale “Prescrizioni d’investimento nella previdenza professionale”, alle pagine 3-4, l’UFAS scriveva che «esistono certamente degli istituti di previdenza con più del 30% del loro patrimonio investito in immobili. Il nuovo regolamento non impone loro di vendere i loro beni immobili, se ci si basa sul processo d’investimento delineato più sopra. I 30% della parte dell’immobiliare hanno piuttosto un valore di segnale: l’istituto di previdenza che vuole superare questo limite deve domandarsi se il dovere di diligenza è allora rispettato e la sicurezza garantita. Nel caso in cui la risposta è sì, essa può superare scientemente il limite al momento della definizione della sua strategia d’investimento, autorizzare tali scarti nel regolamento d’investimento e indicarne brevemente i motivi nei conti annuali. Allo stesso modo, la riforma delle prescrizioni d’investimento non assolutamente quale obiettivo quello di forzare gli istituti di previdenza a separarsi dai “buoni” oggetti immobiliari, che rappresentano pochi rischi e permettono di generare buoni rendimenti». A essere determinante, ai fini della legge, sono il rispetto del dovere di diligenza (la ponderazione dei rischi, sicurezza degli investimenti e la loro diversificazione) e il fatto che i superamenti dei limiti citati siano fissati in regolamento. L’UFAS concludeva, a pagina 5, affermando che «le nuove restrizioni non obbligano a separarsi dei buoni oggetti immobiliari. I limiti [del 5% e del 30%] hanno un valore di segnale per invitare a mostrarsi prudenti e ad apportarne la prova scritta».
La CPdL, come si può leggere nel suo 104° Rapporto di gestione 2021, si è dotata da anni di un “Regolamento investimenti”, il quale, sulla base appunto dell’articolo 50 capoverso 4 OPP2, prevede che «la quota investita in immobili (al 31.12.2021 pari al 35,28%) può arrivare al massimo (margine tattico superiore) al 45% del patrimonio totale (40% per gli immobili in Svizzera). (…) Per l’immobile di via Beltramina, può essere superata la soglia del 5% per singolo investimento».
Alla luce di quanto abbiamo qui presentato, appare evidente che le dichiarazioni del direttore Guerra non solo non dicono tutta la verità, poiché tese a difendere la vendita di via Beltramina e attribuire tale vendita una necessità “imposta” della legge che, tra l’altro, non permetterebbe più alla CPdL di continuare ad agire in un regime “di deroga”. La CPdL agiva in pieno rispetto delle regole e poteva in tutta tranquillità mantenere intatto il suo patrimonio immobiliare diretto posseduto a Lugano. Anzi, modificando il “Regolamento investimenti”, avrebbe potuto aumentarlo, fino al 50%.
Certo, il direttore Guerra e la CPdL avanzeranno la risposta di ripiego che la svendita del patrimonio immobiliare locale è stata adotta per rispettare il principio di prudenza in materia delle nuove prescrizioni d’investimento, basato in particolare sulla diversificazione. Una linea di difesa che non regge davanti ai fatti. Guerra dovrebbe spiegare quali maggiori garanzie sono offerte da una diversificazione degli investimenti immobiliari in fondi privati che agiscono a livello svizzero e internazionale, fondi sui quali la CPdL ha un margine d’intervento del tutto insignificante. Perché investire nel mercato immobiliare inglese, italiano, francese, offrirebbe più garanzie che investire negli immobili a Lugano? La CPdL ha vantato una solidità anche quando investiva principalmente in valori immobiliari locali con affitti sussidiati.
Inoltre, il concetto di “diversificazione” non può essere limitato alla sola dimensione geografica. Diversificare significa investire nei settori che a lungo termine garantiscono una redditività interessante e sicura. Il settore degli alloggi popolari a Lugano risponde sicuramente a questo criterio. In una città dove gli affitti sono elevati, la domanda di alloggi a prezzi anche solo parzialmente al di sotto di quelli di mercato costituisce un bisogno che sarà assolutamente costante nel tempo. Lo Studio sull’alloggio a Lugano, pubblicato dalla città nel novembre 2013, indicava a pagina 27 che «il fabbisogno di alloggi a pigione moderata a Lugano è correlato al numero di poveri della Città e, quindi, quantificabile nel 25% del totale degli alloggi in affitto». E la situazione oggi non è certamente mutata. Il 15 novembre 2018, rispondendo all’interrogazione no. 994 “Case popolari Tami in Via Trevano e gestione immobiliare della Cassa Pensione”, il Municipio di Lugano osservava che «evidentemente si tratta di edifici datati nei quali mancano certi confort. Vi è comunque da rilevare che non vi sono mai appartamenti sfitti poiché la richiesta di questi oggetti è molto alta». Il concetto di “sicurezza derivante dalla diversificazione” non ha un’interpretazione unilatere come vogliono far credere i dirigenti della CPdL. E visto che in gioco ci sono le pensioni di 3’014 contribuenti attivi, cambiamenti strategici come quelli intrapresi avrebbero dovuto essere l’oggetto di un ampio dibattito piuttosto che della solita politica del fatto compiuto.
Aberrante un’altra giustificazione del direttore Guerra, apparsa sempre sul Corriere del Ticino: «bisogna poi considerare che a Lugano la popolazione è calata e lo sfitto è aumentato, come il fatto che con l’approvazione del progetto del Polo sportivo se ne andrà un inquilino, la Polizia comunale, che oggi occupa circa 3’000 metri quadrati sui 13’800 totali». Se si vuole parlare della diminuzione della popolazione a Lugano, bisogna farlo in modo serio. Per esempio interrogandosi su quali fasce di popolazione stanno abbandonando la città e sui motivi di questo “esodo”. Magari emergerebbe che a partire sono le fasce di popolazione con redditi elevati, i cui rappresentanti non vivono negli appartamenti della CPdL. Magari si scoprirebbe che se a “fuggire” fosse anche una quota di cittadini e di cittadine appartenenti alle fasce di reddito medio-basse, il motivo potrebbe essere dovuto alla penuria di appartamenti a prezzi accessibili per questa tipologia di popolazione. Magari il dibattito pubblico richiamato più sopra avrebbe potuto portare alla conclusione che una politica diversa degli alloggi, più moderata rispetto al mercato, costituisce un fattore di attrazione o, almeno, di argine al calo della popolazione. Sul problema dello sfitto non vogliamo dilungarci: questo problema non tocca gli appartamenti popolari in mano alla CPdL e alla città di Lugano. Anzi, con una politica seria di affitti a pigione moderata si giustificherebbero addirittura nuovi investimenti in questo segmento da parte delle istituzioni citate. In ogni modo, appare poco serio richiamare lo sfitto quale giustificazione per vendere delle proprietà redditizie. Tanto più che i fondi privati d’investimento che si sono “pappati” questi immobili non hanno intenzione di trasferirli in altre regioni del paese, dovranno continuare a sfruttarli in loco. E questi fondi non sembrano spaventati dello sfitto luganese… Infine insinuare che il trasferimento della Polizia comunale sia una delle giustificazioni della vendita di via Beltramina appare di dubbio gusto. Questo trasferimento è stato una delle operazioni più assurde delle tante che accompagnano il PSE. Infatti, i cittadini e le cittadine per lo spostamento dell’Amministrazione comunale e della Polizia al PSE pagheranno rispetto a oggi 2 milioni di franchi in più. Anche in questo frangente si tratta esclusivamente di una scelta politica, senza nessun altro motivo se non quello di rispondere agli interessi degli investitori privati. Non ci sono fattori “esogeni” ad aver spinto il Municipio e il consiglio comunale di Lugano a promuovere questa operazione assurda. In sintesi, l’inquilino se ne va perché il suo referente politico ha deciso così. Ora degli inquilini sostitutivi si potevano trovare, senza vendere lo stabile. Anche la Fondazione d’investimento Avadis dovrà trovare, dal 2027, un nuovo inquilino per i 3’000 m2 lasciati liberi ma ciò non sembra essere stato un fattore di dissuasione nell’acquistare lo stabile. Non ci sorprenderebbe che il futuro inquilino sia la città di Lugano, bisognosa magari di nuovi spazi per rispondere ai bisogni delle cittadine e dei cittadini…
In conclusione, il castello di carta costruito dal direttore Guerra suona come una manovra per non assumere la responsabilità diretta di una scelta volontaria decisa dagli organi dirigenti della CPdL, scelta che nella sua essenzialità coincide con un processo di privatizzazione di un patrimonio collettivo di una cassa pensione pubblica, a favore del rafforzamento del processo di “finanziarizzazione” degli attivi pensionistici, legandosi con fondi d’investimento privati che cercano la massima redditività senza tener conto di altri parametri sul lungo termine. Come già detto, è solo il tempo che ci dirà se gli investimenti sui mercati immobiliari nazionale e internazionale saranno più vantaggiosi di quelli realizzati in loco e nel settore degli alloggi popolari. Al di là di queste considerazioni, ancora una volta bisogna prendere atto che queste scelte fondamentali sono prese in totale assenza di un dibattito democratico collettivo. La vendita di appartamenti popolari concerne gli attivi della CPdL ma anche gli abitanti della città di Lugano. È una questione politica di società. Ed è inaccettabile che ancora una volta, dopo il dibattito sul PSE, un altro tema importante sia affrontato – per modo di dire…- manipolandone i punti essenziali, cercando cioè di presentare delle scelte come se fossero imposte da un determinato contesto e subite passivamente, mentre rispondono a una “strategia” elaborata e decisa in piena autonomia da responsabili chiaramente individuabili. Non dobbiamo abituarci e non dobbiamo accettare questo modo di fare politica.
[1] Nel 2016 il reddito degli immobili diretti è stato del 6,88%, nel 2017 del 5,70%, nel 2018 dello 0,31%, nel 2019 del 10,33%, nel 2020 del 6,95% e nel 2021 del 5,94%.
[2] https://www.parlament.ch/it/ratsbetrieb/suche-curia-vista/geschaeft?AffairId=20141034