Tempo di lettura: 7 minuti

Se c’è qualcosa che dimostra che la carestia e l’insicurezza alimentare sono causate dall’uomo piuttosto che dai capricci della natura e del clima, è proprio l’attuale crisi alimentare che sta portando milioni di persone in tutto il mondo verso la fame.
La guerra Russia‑Ucraina ha messo in luce il disastro globale dell’approvvigionamento alimentare, che però si stava preparando già da prima della guerra. La filiera alimentare è sempre più globale. La Grande Recessione del 2008‑2009 aveva iniziato a interrompere quella catena, basata com’era su multinazionali alimentari che controllavano l’offerta degli agricoltori di tutto il mondo. Queste società indirizzavano la domanda, generavano la fornitura di fertilizzanti e dominavano gran parte della terra arabile. Quando la Grande Recessione ha colpito, esse hanno perso profitti, per cui hanno ridotto gli investimenti e aumentato la pressione sui produttori alimentari nel “sud globale”.
Le crepe in questi pilastri dell’approvvigionamento alimentare sono state accompagnate da un aumento dei prezzi del petrolio, dalla domanda esplosiva di biocarburanti a base di mais, da alti costi di spedizione, da speculazioni sui mercati finanziari, scarse riserve di grano, gravi perturbazioni meteorologiche in alcuni importanti settori di produzione del grano e dall’aumento di politiche commerciali protezionistiche. Questo era il “clima” alimentare nella lunga depressione fino al 2019, prima che la pandemia colpisse.

Prezzo di alimenti, combustibili e fertilizzanti in rapporto alla crescita del Pil in Paesi dalle basse e medie entrate, 2000–2022 (Fao/Fmi/Banca Mondiale)

La durata della crisi alimentare dopo la Grande Recessione è stata relativamente breve, ma è stata seguita da un’altra esplosione dei prezzi alimentari nel 2011‑2012. Infine, il “boom delle materie prime” è terminato e i prezzi dei generi alimentari sono rimasti relativamente stabili per un po’. Ma l’emergenza pandemica ha provocato una nuova crisi quando la catena di approvvigionamento globale è crollata, i costi di spedizione sono aumentati vertiginosamente e la fornitura di fertilizzanti si è esaurita. L’indice dei prezzi dei cereali ha mostrato che i prezzi hanno raggiunto il livello del 2008 nel 2021.

Il mondo non si è ripreso dalle conseguenze della pandemia di Covid‑19, la peggiore crisi economica dalla Seconda guerra mondiale. E questo è un momento in cui molte economie devono far fronte a ingenti oneri di debito rispetto al reddito nazionale. L’Africa è la regione più vulnerabile. Il Nord Africa è un enorme importatore netto di grano, la maggior parte del quale proviene da Russia e Ucraina, quindi deve affrontare una crisi alimentare particolarmente acuta. L’Africa subsahariana è prevalentemente rurale, ma le sue popolazioni urbane in crescita sono relativamente povere e hanno maggiori probabilità di consumare cereali importati. Gli agricoltori in molte parti dell’Africa stanno lottando per accedere ai fertilizzanti, anche a prezzi gonfiati, per problemi di spedizione e cambio valutario. Costi esorbitanti eroderanno i profitti degli agricoltori e potrebbero ridurre gli incentivi per aumentare la produzione, smorzando i benefici di riduzione della povertà derivanti dall’aumento dei prezzi dei generi alimentari.
I Paesi già colpiti da conflitti e cambiamenti climatici sono eccezionalmente vulnerabili. Lo Yemen devastato dalla guerra è fortemente dipendente dai cereali importati. L’Etiopia settentrionale è una delle regioni più povere della Terra, che deve affrontare un conflitto in corso e una crisi umanitaria. E il Madagascar è stato colpito da successive tempeste tropicali e cicloni a gennaio e febbraio, distruggendo il suo sistema alimentare. In Afghanistan, i tassi di mortalità infantile sono in aumento a causa del crollo dell’economia e del collasso dei servizi sanitari di base. Il Pil del Myanmar si è ridotto del 18% dopo il colpo di stato militare del febbraio 2021.
La guerra fra Russia e Ucraina ha solo esacerbato questo disastro della sicurezza alimentare e dei prezzi. La Russia e l’Ucraina rappresentano oltre il 30% delle esportazioni mondiali di cereali, la Russia da sola fornisce il 13% dei fertilizzanti globali e l’11% delle esportazioni di petrolio e l’Ucraina fornisce la metà dell’olio di girasole mondiale. Oltre a ciò, questo conflitto rappresenta un enorme shock di approvvigionamento per il sistema alimentare globale, e una guerra prolungata in Ucraina e il crescente isolamento dell’economia russa potrebbero mantenere alti per anni i prezzi di cibo, carburante e fertilizzanti.
L’invasione russa dell’Ucraina ha portato l’indice globale dei prezzi alimentari ai massimi storici. L’invasione ha reso inattivi i porti ucraini del Mar Nero, un tempo intensamente trafficati, rendendo incolte le terre e frenando al contempo la capacità di esportazione della Russia. La pandemia continua ad ostacolare le catene di approvvigionamento, mentre i cambiamenti climatici minacciano la produzione in molte delle regioni agricole del mondo, con più siccità, inondazioni, aumento del riscaldamento e incendi.
Milioni di individui vengono spinti verso la fame secondo il Programma alimentare mondiale. Quelli considerati “denutriti” sono aumentati di 118 milioni nel 2020 dopo essere rimasti sostanzialmente invariati per diversi anni. Secondo stime attuali questa cifra è aumentata di circa 100 milioni.

I livelli di fame acuta (il numero di persone che non possono soddisfare i bisogni di consumo di cibo a breve termine) sono aumentati di quasi 40 milioni l’anno scorso. La guerra è sempre stata il principale motore della fame estrema e ora il conflitto Russia‑Ucraina sta aumentando il rischio di fame e carestia per molti altri milioni di persone.

Secondo il direttore operativo del Fmi Kristalina Georgieva, «per diversi Paesi questa crisi alimentare si aggiunge a una crisi del debito. Dal 2015 la quota di Paesi a basso reddito che si trova in una situazione di crisi del debito o quasi è raddoppiata, passando dal 30 al 60%. Per molti, la ristrutturazione del debito è una priorità urgente … Sappiamo che la fame è il più grande problema risolvibile del mondo. Una crisi incombente rappresenta il momento di agire con decisione e risolverlo».
Ma le soluzioni tradizionali a questo disastro sono inadeguate o utopiche, o entrambe. L’appello è che i “grandi produttori di grano” risolvano i colli di bottiglia logistici, liberino le scorte e resistano all’impulso di imporre restrizioni alle esportazioni alimentari. Le nazioni produttrici di petrolio dovrebbero aumentare le forniture per contribuire a ridurre i costi dei carburanti, dei fertilizzanti e di spedizione. E i governi, le istituzioni internazionali e persino il settore privato devono offrire protezione sociale tramite cibo o aiuti finanziari.
Nessuna di queste proposte sta trovando ascolto. Molto poco viene fatto dalle maggiori potenze capitalistiche per aiutare quei Paesi poveri con milioni di persone affamate e malnutrite. Alla fine del mese scorso, la Commissione europea ha annunciato un pacchetto di aiuti da 1,5 miliardi di euro, insieme a misure aggiuntive, per sostenere gli agricoltori nell’Ue e proteggere la sicurezza alimentare del blocco. I leader del Gruppo della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, del Programma Alimentare Mondiale dell’Onu e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio hanno chiesto un’azione urgente e coordinata per affrontare il problema della sicurezza alimentare. Belle parole ma nessuna azione concreta.
Un vero aiuto consisterebbe nella cancellazione dei debiti dei Paesi poveri. Ma tutto ciò che il Fmi e le maggiori potenze hanno offerto è stata una sospensione del pagamento del debito: i debiti rimangono ma i rimborsi possono essere ritardati. Anche questo “rimedio” è patetico. In totale, negli ultimi due anni, i governi del G20 hanno sospeso solo 10,3 miliardi di dollari. Solo nel primo anno della pandemia, secondo la Banca Mondiale, i Paesi a basso reddito hanno accumulato un onere del debito per un totale di 860 miliardi di dollari.
L’altra “soluzione” proposta dal Fmi è stata aumentare il volume dei Diritti Speciali di Prelievo, cioè il denaro internazionale, da utilizzare per aiuti extra. Il Fmi ha iniettato 650 miliardi di dollari di aiuti attraverso il programma DSP. Ma a causa del sistema delle “quote” per la distribuzione dei DSP, le quote DSP sono sproporzionatamente inclinate verso i Paesi ricchi: l’Africa ha ricevuto meno DSP della Bundesbank tedesca!
Le condizioni macroeconomiche stanno ora scatenando rivolte per il cibo. In un nuovo rapporto, intitolato “La riduzione in tempi di conflitto”, l’Unctad ha illustrato gli scenari futuri. Lo Sri Lanka, la cui crisi del debito è in corso da diversi anni, è un utile esempio di dinamiche chiave. Le rimesse e le esportazioni sono crollate durante la pandemia, che ha sconvolto anche il settore cruciale del turismo. Il rallentamento della crescita ha messo a dura prova il bilancio e ha esaurito le riserve di valuta estera, lasciando adesso Colombo in difficoltà per importare petrolio e alimenti. Le carenze sono acute. Due uomini sulla settantina sono morti mentre aspettavano in fila per il carburante, come ha riferito Al Jazeera. I prezzi del latte sono aumentati e gli esami scolastici sono stati annullati a causa della carenza di carta e inchiostro. Mentre lo Sri Lanka lotta per onorare i 45 miliardi di dollari di debito a lungo termine che ha, di cui oltre 7 miliardi di dollari in scadenza quest’anno, potrebbe aggiungersi ai Paesi che sono falliti durante la pandemia, tra cui Argentina e Libano, quest’ultimo fortemente dipendente dalle importazioni di grano.
Invece di aumentare l’offerta, liberare scorte alimentari e cercare di porre fine alla guerra in Ucraina, i governi e le banche centrali stanno aumentando i tassi di interesse che faranno crescere l’onere del debito per i Paesi poveri affamati di cibo. Come ho spiegato nei post precedenti – e l’Unctad concorda – gli aumenti dei tassi di interesse della Banca centrale non fanno nulla per controllare l’inflazione creata dalle interruzioni dell’offerta, ma sono invece responsabili nel provocare una recessione globale e una crisi del debito dei “mercati emergenti”.
Le crescenti proteste e gli sconvolgimenti politici preoccupano le grandi potenze più delle persone che muoiono di fame. Come ha affermato il Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen: «L’inflazione sta raggiungendo i livelli più alti visti da decenni. Prezzi nettamente più elevati per cibo e fertilizzanti hanno messo sotto pressione le famiglie di tutto il mondo, specialmente quelle più povere. E sappiamo che le crisi alimentari possono scatenare disordini sociali».
Negli anni 40 dell’Ottocento, quando il capitalismo divenne il modo di produzione dominante a livello globale, Marx parlò di un “nuovo regime” di produzione alimentare capitalista industriale, connesso all’abrogazione delle leggi sul mais e al trionfo del libero scambio dopo il 1846. Ricollegò questo “nuovo regime” alla conversione di “grandi appezzamenti di seminativi in Gran Bretagna”, guidata dalla “riorganizzazione” della produzione alimentare attorno agli sviluppi nell’allevamento e nella gestione del bestiame e dalla rotazione delle colture, insieme agli sviluppi relativi nella chimica dei fertilizzanti a base di letame.
La produzione alimentare capitalista aumentò notevolmente la produttività alimentare e trasformò la produzione alimentare in un’impresa globale. A metà degli anni 50 dell’Ottocento, queste tendenze erano già evidenti: quasi il 25% del grano consumato in Gran Bretagna veniva importato, e di questo il 60% da Germania, Russia e Stati Uniti. Ma portò anche crisi regolari e ricorrenti nella produzione e negli investimenti che crearono una nuova forma di insicurezza alimentare. La carestia e la fame non potevano più essere attribuite alla natura e al tempo, se mai fosse stato possibile. Si trattava chiaramente, invece, del risultato delle disuguaglianze della produzione capitalistica e dell’organizzazione sociale su scala globale. Ed era il più povero a soffrire. In un’occasione, Karl Marx scrisse che la carestia «ha ucciso solo i poveri diavoli».
E con l’agricoltura industriale arrivò lo sfruttamento e il trattamento degli animali tanto crudele quanto quello riservato agli esseri umani. Marx scrisse in un taccuino inedito«Disgustoso!». L’alimentazione nelle stalle era un «sistema di celle di prigione» per gli animali. «In queste prigioni gli animali nascono e restano finché non vengono uccisi. La domanda è se questo sistema collegato a un sistema di allevamento che fa crescere animali in modo anomalo riducendone la massa ossea per trasformarli solo in carne e in una massa di grasso – mentre prima [prima del 1848] gli animali rimanevano attivi stando il più possibile all’aria aperta – alla fine non si tradurrà in un grave deterioramento della forza vitale».
Questa è una crisi globale e richiede un’azione globale nello stesso modo in cui avrebbe dovuto essere affrontata la pandemia e come la crisi climatica richiede. Ma un tale coordinamento globale è impossibile se l’industria alimentare globale è controllata ed è di proprietà di alcuni produttori e distributori alimentari multinazionali e l’economia mondiale si dirige verso un’altra crisi.

* Michael Roberts è un noto economista marxista britannico che ha lavorato per oltre quarant’anni come analista finanziario nella City londinese. È autore, tra gli altri, dei libri The Great Recession: A Marxist View (2009), The Long Depression (2016) e Marx 200: a review of Marx’s economics (2018). La traduzione in italiano è stata cura da Andrea Di Benedetto ed è apparsa sul sito www.assaltoalcielo.it

Print Friendly, PDF & Email