Non viene voglia di fare alcun commento sull’esito dei ballottaggi nelle elezioni amministrative parziali in Italia, su cui i giornali e i loro “opinionisti” si sono sbizzarriti nel corso degli ultimi giorni. Davanti agli occhi abbiamo le infamie che si producono del mondo e in Italia: le stragi di Putin e le ingiunzioni imperiali della Russia neozarista di resa senza condizioni all’Ucraina, le richieste di Zelenski di avere sempre più armi armi e sostegno fino alla fine (alla fine di che…?) per vincere la guerra, la scelta del G7, della Nato e dei paesi che ne fanno parte di rafforzare a dismisura questo strumento militare degli imperialismi occidentali contro gli altri imperialisti (Russia e Cina), fino all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO con la condizione imposta dal dittatore turco Erdogan della consegna dei prigionieri politici curdi, con buona pace della lotta contro l’ISIS che proprio le organizzazioni indipendentiste curde hanno svolto in questi anni; sono in tanti ormai a parlare, come fosse una cosa, normale di nuova guerra mondiale e di uso delle armi atomiche, con i media che sembrano voler abituare l’opinione pubblica, più che mai pacifista a questa eventualità distruttiva. Ma abbiamo anche la spaventosa strage del governo spagnolo nell’enclave di Ceuta, le infinite stragi dei migranti che si compiono sul confine messicano/americano, quelle nel Mediterraneo, l’avanzare delle correnti e delle ideologie più reazionarie e misogene a partire dai pronunciamenti della Corte suprema americana. Abbiamo davanti in Italia la nuova ondata di Covid, alimentata dalle scelte del governo di abbandonare qualsiasi protocollo di sicurezza, le sue scelte di partecipare appieno con uomini e mezzi alla corsa al riarmo e alla guerra del G7 e della Nato, mentre contemporaneamente si vuole dividere il paese portando avanti l’autonomia differenziata, un governo che nulla fa contro la precarietà e le morti sul lavoro e che vuole tacitare le lavoratrici e i lavoratori e i pensionati, strozzati dal carovita con un ulteriore taglio al cuneo fiscale che significa soltanto dare qualche soldi in più in busta paga, mentre contemporaneamente si tagliano sempre più servizi fondamentali come la sanità.
In questo quadro internazionale e nazionale cupo, il PD di Letta si è esaltato di fronte ai, per altro modesti, risultati del ballottaggi nei Comuni dove si votava per l’elezione del sindaco e dei consigli comunali, proclamando una grande vittoria contro le destre. La realtà che va sottolineata è un’altra, ben diversa dal punto di vista democratico e sociale: a partecipare al voto sui ballottaggi è stata una percentuale degli aventi diritto al voto ancora molto inferiore a quella del primo turno, cioè intorno al 40%. Il che significa che le grandi vittorie delle/i candidate/i a sindaco del centro sinistra, come naturalmente quelle/i della destra, sono avvenute con un consenso ultraminoritario, poco più del 20% delle elettrici ed elettori. Ma di questo nessuno si preoccupa: è questa la concezione della democrazia delle classi dominanti e di tutti i parti maggiori che in forme diverse ne curano gli interessi.
Ma anche a prescindere da questa considerazione fondamentale, tenuto conto dei due turni di voto (nel primo turno le destre avevano conseguito un grande successo in tre capoluoghi), la vittoria del PD è molto contenuta. Il partito di Letta conquista 10 città capoluogo di provincia (anche grazie al se pur debole apporto del M5S) rispetto alle 5 che aveva prima, ma le destre vincono in 13 città e le liste civiche in 3. Se il PD riconquista città importanti come Verona e Catanzaro è anche vero che perde Palermo e esce sconfitto a Genova. Se poi si tiene conto dei comuni capoluoghi con più di 15 mila abitanti, cioè 142 comuni, il centro sinistra passa da 45 a 51 e il centro destra resta ai 48 che già amministrava; il M5S scende da 8 a 2.
Un’ultima considerazione, quella fondamentale: Pd e centrosinistra non hanno conquistato particolare nuovi voti, sia dagli incerti sia dai cittadini che avevano votato a destra, semplicemente sono riusciti a limitare l’astensione nel loro campo e a preservare maggiormente il loro elettorato nel secondo turno, in alcuni casi favoriti anche dalle divisioni e dai contrasti delle forze della destra, che in alcune situazioni hanno presentato candidati distinti o poco significativi sul piano cittadino.
Ne consegue che sarebbe sbagliato trarre dal voto del 26 giugno la previsione che le prossime elezioni politiche potrebbero confermare questo trend di voto, tenuto anche conto che si trattava pure sempre di una frazione, se pure significativa, di elettorato.
Inoltre molti di quelli oggi orientati a destra, tra cui ampi settori delle periferie popolari, che non sono andati al voto possono tornare domani al voto nelle elezioni politiche generali confermando le previsioni dei sondaggi che da tempo danno le forze delle destre molto vicino al 50% delle intenzioni di voto.
Per quanto riguarda la discussione sul “campo largo” di Letta e sui tanti commenti degli opinionisti dei giornali e dei dirigenti della galassia politica del centro, rivolti a dare buoni consigli al PD o a promuovere i propri partitini più o meno personali c’è poco da dire. Sono progetti organizzativi del tutto omologhi tra loro, segnati dagli interessi delle varie congreghe, tutti quanti espressione della classe dominante, nemici accaniti delle classi lavoratrici.
La crisi infinita del Movimento 5 stelle, l’uscita di Di Maio e degli altri parlamentari a lui collegati e le continue discussioni con il deus ex machina Beppe Grillo, indebolisce sicuramente una delle gambe fondamentali del progetto di campo largo di Letta, pur non potendo escludere sorprese in termini di consenso elettorale di questo movimento nelle prossime elezioni politiche nella sua rinnovata veste con Conte come portavoce.
Per dare più corpo al “campo largo di Letta, alcuni esponenti del PD, e delle forze politiche della sinistra moderata a questo partito alleate, nonché alcuni giornalisti, invocano una apertura sociale, un centro sinistra più attento alle istanze popolari. Chiedono a Letta di dare uno “spessore sociale” alla coalizione in formazione per recuperare una parte di voto popolare. Conoscendo fin troppo bene quale sia il baricentro politico e di classe (borghese) del PD e anche del Movimento 5 stelle, è una operazione non solo velleitaria, ma anche truffaldina, attraverso cui con un po’ di propaganda sociale e di qualche promessa su questo o quel punto si spera di attivare al voto settori di lavoratrici e lavoratori disillusi. Truffaldina perché sappiamo bene come i partiti del cosiddetto centro sinistra, di cui il PD è l’asse fondamentale, siano del tutto interni alle politiche liberiste dell’Europea capitalista, imperialista e razzista, di Draghi, di difesa degli interessi del capitalismo e della borghesie europee.
Tornare al sociale, significa invece tornare alla lotta di classe, partire dalle condizioni materiali delle classe subalterne, dalla situazione di precarietà, di disoccupazione di sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori per costruire la mobilitazione e la lotta contro i padroni e il loro governo e quindi anche contro i partiti che ne curano gli interessi, siano quelli apertamente di destra, reazionari, razzisti e fascistizzanti sia quelli che si presentano come “civili e progressisti”, ma che sappiamo bene agiscano in funzione delle scelte fondamentali della grande borghesia.
Questi ultimi si ammantano oggi, più o meno bene, con una campagna sui diritti civili, più che altro propagandati a fini elettorali che non espressi in misure e leggi reali che garantiscano l’efficacia. Per non parlare della vergogna e della violenza delle politiche contro i migranti di cui sono tutti i partiti maggiori responsabili.
Le forze anticapitaliste, le organizzazioni sindacali di classe tengono invece strettamente unite le battaglie sociali per il salario, le pensioni, l’occupazione e i diritti sociali con quelli civili, non separabili tra loro, contro ogni oppressione sfruttamento e discriminazione.
Si deve più che mai partire dalla ripresa della soggettività delle classi lavoratrici, dai movimenti sociali, tra cui quello più che mai fondamentale in questa fase, quello pacifista, il movimento femminista contro la violenza sulle donne e quello per la difesa dell’ambiente, per costruire una reale mobilitazione.
L’obiettivo necessario e chiaro si esprime più che mai nella parola insorgenza, cioè la lotta a partire dalle proprie condizioni e dai propri obbiettivi per unirsi (la convergenza) con le altre e altri, costruendo la mobilitazione necessaria per contrastare con efficacia la politica del governo che in autunno si esprimerà nella legge di bilancio e in tutte le misure ad essa collegate (gestione del PNRR, legge sulla concorrenza, autonomia differenziata, ecc.).
Tutto questo senza scordarsi mai che al centro sta la lotta contro la guerra e le politiche di guerra che noi decliniamo nella nostra opposizione all’imperialismo russo, a quello occidentale, per i diritti di tutti i popoli, a partire da quello ucraino, alla propria autodeterminazione, contro le spese militari, per una politica di accoglienza dei profughi, per forti investimenti in scuola e sanità.
E’ un percorso difficile ma necessario per creare le condizioni di una lotta effettivamente generale non tanto con la proclamazione generica di uno sciopero generale, ma costruendo un percorso che lo renda prima credibile e poi possibile.
Da ultimo bisogna prepararsi anche ad affrontare la scadenza elettorale del prossimo anno, che ampi settori sociali vedono ormai lontana dai propri interessi, ma che altri vedranno come importante nella ricerca di una alternativa di governo quale sarebbe necessaria.
E’ di certo un problema da affrontare ma lo si può fare solo se si ha ben presente che al centro c’è la riorganizzazione sociale delle lotte, senza la quale, non solo è difficile pensare a qualche risultato decente anche politico; inoltre anche, nel caso mai si realizzasse, un parziale successo sarebbe effimero e assai poco incidente sulle condizione di vita delle masse popolari.
Inoltre il percorso politico elettorale dovrebbe essere fatto nel migliore dei modi cioè con una reale capacità di coinvolgimento di settori sociali, cosa possibile solo se si rispettano le priorità indicate prima.
Sinistra Anticapitalista partecipa di certo alle discussioni su queste problematiche, ma lo facciamo con occhi attenti alle priorità sociali dell’autunno, tra cui anche il dibattito che si sta aprendo nella maggiore confederazione sindacale italiana.
L’intreccio tra i temi sociali e quelli politici ed anche elettorali, la gerarchia di impegni che intercorre tra loro, l’abbiamo discusso nel nostro recente seminario con diverse forze sia sociali e politiche a cui rimandiamo.
P.S. Il seminario di Sinistra Anticapitalista “Dentro un crocevia della storia” è stato un bel momento di discussione e approfondimento dei quadri e dei militanti della nostra organizzazione, ma anche degli ospiti invitati. Daremo conto dei suoi contenuti pubblicando via via sul nostro sito i diversi momenti dei lavori politici svolti.
*Sinistra Anticapitalista