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La giostra delle alleanze. Il Movimento 5 Stelle e la sinistra. La crisi democratica.

C’è una forbice enorme tra la realtà profonda e drammatica del Paese e quanto appare alla superfice nelle pagine dei giornali e dei media quando descrivono la posta in gioco nello scontro tra i poli elettorali in corsa per le prossime politiche.

La realtà vera è la condizione sociale di milioni di persone in totale povertà ed altrettanti in semipovertà, di disoccupazione e precarietà, di livelli salariali da fame, di un carovita che non dà tregua, di una sanità che precipita ogni giorno sotto i colpi della progressiva privatizzazione, di una scuola pubblica alla deriva; sono le condizioni di cui tutte le maggiori forze politiche sono totalmente responsabili, a partire dal presunto banchiere “santo” che ha gestito in prima persona l’ultimo governo e da quel Conte che viene rappresentato come l’antagonista dell’Agenda Draghi e come tale reietto dalla stampa mainstream ma che, dal 2018 a oggi, non è rimasto nemmeno un minuto all’opposizione per governare prima con Salvini, poi con il Pd, poi con Salvini, il Pd e Draghi. Per questo, lo anticipiamo, riteniamo che un’alleanza della sinistra radicale e il M5S sarebbe un gravissimo errore.

Dall’altra parte della barricata abbiamo i ricchi che sono diventati ancora più ricchi, aziende che fanno profitti ed elargiscono senza problemi cospicui dividendi ai loro azionisti, grazie anche al continuo foraggiamento pubblico. Si pensi che solo l’Eni, in soli sei mesi, ha registrato 7 miliardi di utili. Abbiamo una razza padrona che ritiene di poter utilizzare la manodopera come meglio crede, che persegue la riaffermazione piena delle divisioni in classe e del diritto divino dei possidenti di agire al disopra delle stesse modeste leggi che dovrebbero contenere la loro onnipotenza. Di che stupirsi allora, se in questo contesto brilla la stella avvelenata della Meloni – o forse sarebbe meglio chiamarlo buco nero – essendo assente la mobilitazione delle classi lavoratrici e delle forze sindacali contro questo stato di cose presenti.

Così quello che appare non è la realtà tragica, tra cui che nell’ultima settimana ci sono state di nuovo 1200 vittime di covid, su cui da tempo i governi hanno rinunciato a una politica decente di contrasto, ma l’invereconda giostra delle porte girevoli dei diversi partiti padronali alla ricerca di consensi e delle alleanze strumentali che permettano loro di difendere posizioni, carriere, privilegi individuali e collettivi.

La giostra delle alleanze

Per descrivere quanto avviene nel cosiddetto “centro della politica” servirebbe infatti la sferzante penna del grande Balzac, le ipocrisie, le miserie, le povertà intellettuali, le protervie personali e i bassi interessi. Tanti soggetti e tanti briganti e masnadieri politici al servizio dei padroni, privi di una reale base sociale, ma sostenuti e valorizzati dai media borghesi, come strumenti per una diversione di massa e di garanzia nella gestione del potere delle classi dominanti.

Questa situazione esprime però anche un’altra forbice presente nella società: da una parte la grande forza della borghesia nell’imporre fino in fondo le politiche liberiste contro le classi lavoratrici; dall’altra parte la difficoltà dei capitalisti stessi di darsi una direzione di governo stabile e credibile. Queste politiche sono la causa della miseria economica e sociale di milioni di lavoratrici e lavoratori, di disoccupati, di giovani, dell’oppressione delle donne ed erodono il consenso politico e sociale dei tradizionali partiti borghesi che gestiscono la società e lo stato capitalistico.

Si evidenzia così la crisi di direzione della borghesia, la difficoltà a produrre nelle elezioni partiti forti con adeguati consensi popolare e quindi governi stabili per gestire le sue politiche. E’ un fenomeno non solo del nostro paese, ma che caratterizza in forme diverse un po’ tutti i paesi occidentali, vedi Gran Bretagna, Francia e anche gli USA.

Ma torniamo ai “partitini di centro”. A dare credibilità a questa nebulosa politica un ruolo fondamentale lo gioca il PD di Letta, un partito che la di là delle tante metamorfosi subite, mantiene tuttavia un impianto strutturale reale nel paese.

Il PD di Letta – come per altro già fecero quello di Veltroni e poi quello di Renzi – per fronteggiare la coalizione delle destre, data vincente da tutti i sondaggi e ben decisa a capitalizzare la crisi del governo Draghi su cui ha avuto un ruolo decisivo, non ha trovato di meglio che individuare  negli interlocutori “centristi”, per altro assai litigiosi tra loro, ma tutti ferocemente liberisti, il punto di approdo e di “forza” delle sue alleanze elettorali, rese fortemente obbligatorie dalla vigente e pessima legge elettorale.

Per altro questa era già stata la scelta politica del PD due anni fa quando subì e accettò l’operazione di Renzi, Mattarella e Confindustria di lasciar cadere il governo Conte 2, tutto sommato il governo meno a destra di tutti gli ultimi anni (solo per la composizione politica della maggioranza che lo ha sostenuto, non certo per le politiche poste in essere), per diventare il paladino estremo del governo Draghi.

Letta negli ultimi giorni ha dovuto lasciare in sordina la propaganda dell’agenda Draghi (qualcuno deve averlo informato che il popolo italiano non era poi così infatuato della politica governativa come pretendevano i giornali, dovendo pagarne ogni giorno le conseguenze), ma la sostanza del suo programma resta quella, con qualche vago accenno sociale del tutto irrilevante e pronto a cadere in nome della alleanza con il “centro” e della governabilità. La domanda che in molti si chiedono – non volendo accettare una realtà antipatica –  è: ma perché il PD sceglie deliberatamente  alleati che non potranno in alcun modo impedire la vittoria delle destre con a capo la Meloni? E poi perché non avanza un programma laburista per cercare di ritrovare un consenso popolare nei ceti più disagiati? La risposta è molto semplice, il PD non avanza un programma laburista perché oggi è un programma inaccettabile per la borghesia. E la prima preoccupazione del PD è di proporsi come il miglior gestore di questo sistema capitalista; e lo fa non solo per opportunismo, ma perché questa è la sua natura così come dimostrano anni di politiche governative di cui è stato attivo protagonista.

Al di là della propaganda il PD di Letta non è poi così preoccupato della vittoria delle destre e di un governo reazionario che la borghesia cercherebbe di utilizzare a suo vantaggio per una ulteriore offensiva contro i lavoratori. Se lo fosse non avrebbe demonizzato come sta facendo il M5S e una eventuale alleanza con la formazione di Conte.

Né sembra Letta particolarmente preoccupato che una forte vittoria in termini di eletti della Meloni e soci, potrebbe consentire a questi di manomettere la Costituzione senza passare attraverso un referendum popolare.

Non possiamo dimenticarci che fu proprio il centro sinistra agli inizi del secolo a colpire un aspetto fondamentale della Carta del ’48, modificando il titolo V, né al tentativo operato dal PD di Renzi di stravolgerla ulteriormente ed infine l’approvazione del famigerato art. 81 sul pareggio di bilancio che taglieggia le politiche sociali col consenso della maggior parte dei partiti.

M5S e Sinistra

Assistiamo, e durerà ancora per alcuni giorni, a un surreale gioco dei 4 cantoni, con un quotidiano scambio di posizioni e di alleanze, combinate a veti incrociati, il peggio della politica di cui sono pienamente partecipi insieme a Calenda, postosi al centro del mondo, anche i fuoriusciti da FI, nemici giurati dei lavoratori. Nulla di strano per il PD, in fondo ci hanno governato insieme in diverse occasioni. E, per non farci mancare nulla, ecco anche le trame furbesche del solito Renzi.

In questo contesto al M5S, il partito non partito, né di destra né di sinistra, uscito con le ossa rotta dal tentativo di smarcarsi parzialmente da Draghi, dopo averne sostenuto, come abbiamo detto in apertura, le misure in una serie di passaggi fondamentali, tra cui la partecipazione alla guerra, gira la testa ed è alla ricerca di una sua identità nel quadro della natura borghese del partito stesso.

Solo che in questo gioco di porte girevoli si sono infilati, non solo la lista composta dai Verdi e Sinistra italiana, che credo tuttavia in ultima analisi difficilmente abbandonerà l’alleanza con il PD, ma anche i dirigenti della nascente coalizione “Unione Popolare”. Dopo l’assemblea del 9 luglio di Roma in cui bene o male era uscita una proposta di coalizione democratica radicale, ma anche di classe, alcuni non hanno trovato di meglio che cercare una alleanza con il M5S, cioè modificando il perimetro politico del progetto, ma anche e soprattutto l’assetto politico alternativo con un riferimento di classe. Di qui non solo la nostra totale indisponibilità se questo percorso mai arrivasse in porto ma anche la sottolineatura che questa “trovata” mostra una profonda debolezza di intenti, una fragilità politica che potrebbe facilmente riprodursi nel corso di eventi ben più difficili, in cui occorrerà più che mai mantenere la barra dritta.

E’ da verificare se la nomina di De Magistris a capo politico della coalizione e il lancio della difficile campagna della raccolta delle firme significa la chiusura della attenzione verso il M5S o se questa continua in parallelo. La nostra organizzazione farà nei prossimi giorni tutte le verifiche necessarie sia politiche che organizzative per assumere una posizione definitiva su quanto sta avvenendo.

La crisi democratica

Queste vicende politiche italiane, che sarebbero quasi comiche se non ci fosse alle spalle il dramma sociale prima descritto e la possibilità assai concreta che le destre reazionarie arrivino al governo del paese mettono in luce anche un altro aspetto della realtà attuale del sistema capitalista e delle politiche borghesi: il profondo deterioramento della democrazia parlamentare e più in generale della democrazia borghese, quale si era consolidata nel nostro paese con la vittoria della Resistenza e poi con la forza del movimento dei lavoratori e delle Sinistre.

La democrazia parlamentare, i diritti democratici (non solo quelli sociali che pure sono strettamente correlati) sono sempre più erosi e rimessi in discussione da parte della classe dominante di fronte alla crisi capitalista complessiva e alle difficoltà a gestirla. La corsa verso la predominanza degli organi esecutivi su quelli legislativi data ormai da decenni, si moltiplicano i fenomeni autoritari, governi messi in piedi senza una reale sostegno di voto popolare costituiti direttamente in funzione delle esigenze del sistema. Si modificano le leggi elettorali in funzione della presunta governabilità a scapito di una reale rappresentanza popolare come sta avvenendo nel nostro paese da 30 anni a questa parte, da quanto cioè è stato fatto saltare il sistema proporzionale, che garantiva tutte le forze politiche e anche quelle sociali e tutti i territori.

E’ una tendenza che coinvolge tutti i paesi che hanno imboccato il vicolo cieco del liberismo, sia nella versione europeista, sia in quella sovranista. Per ripristinare e perpetuare lo sfruttamento selvaggio c’è bisogno di impastoiare il conflitto sociale (repressione poliziesca e concertazione sindacale), imbalsamare il sistema elettorale (leggi elettorali basate su premi di maggioranza e sbarramenti) e impostare un pilota automatico dell’azione di governo (fiscal compact, patti di stabilità, austerità, trappola del debito, accordi internazionali sulla libera circolazione delle merci o direttive Ue sulle privatizzazioni ecc…): è così fin da quando Mrs. Thatcher, arrivando al potere nel 1979, vietò gli scioperi politici, di solidarietà tra categorie di lavoratori, nel Regno Unito. Anche le grandi agenzie finanziarie sovranazionali non hanno mai fatto mistero della loro allergia per le Costituzioni nate dopo la II Guerra mondiale nei paesi in cui fu più forte la Resistenza al nazifascismo. 

Per questo, in Italia, abbiamo dovuto assistere a una modifica delle leggi elettorali, una più brutta dell’altra e giudicate anche palesemente anticostituzionali, fino a quella attualmente in vigore, una vera e propria mostruosità,  di cui autori sono stati il PD di Renzi e Forza Italia di Berlusconi, di cui oggi tutti si lamentano ma che corrisponde alla volontà comune delle principali forze politiche e della borghesia di ingessare il voto popolare per garantire la governabilità borghese e che non a caso sono un ulteriore spinta al disimpegno e alla astensione di settori sempre più larghi. Il M5S – che è riuscito a tradire ogni istanza fondativa (dall’acqua pubblica ai No a Tav, Triv, Tap, F35 ecc…) – ha dato un suo contributo a questo processo involutivo con la sua demagogia sulla riduzione dei costi della politica e poi riuscendo a far modificare la Costituzione riducendo drasticamente il numero dei parlamentari. Se qualcuno si era accontentato della promessa del ritorno al proporzionale come contropartita di questa riforma reazionaria, ha dovuto fare i conti con la realtà del fatto che neanche è stata modificata la pessima legge elettorale in vigore.

Così adesso ci troviamo davanti a una legge e al suo combinato disposto col numero dei parlamentari di Camera e Senato che non solo non è rappresentativa del voto reale, che non solo non garantisce i territori, ma che anche può permettere a una coalizione che ottenga poco più del 40% di avere una maggioranza di due terzi del Parlamento e quindi di poter cambiare la Costituzione evitando anche il referendum popolare.

Come se non bastasse nella attuale vicenda elettorale sono stati immessi altri vulnus antidemocratici: i sostenitori diretti o indiretti dell’agenda Draghi hanno introdotto regole di presentazione delle liste che permettono a tutti, grandi o piccoli, amici del banchiere, di essere esentati dalla raccolta delle firme, non così per quelli che sono fuori dal coro, cioè in particolare le forze della sinistra radicale che dovranno nel giro di pochi giorni, e nel mese di agosto, avere le sottoscrizioni necessarie per essere della partita. Anche il semplice emendamento di poter utilizzare la firma digitale per sottoscrivere le liste è stato bocciato dal parlamento.

In realtà è la stessa precipitazione della crisi e delle elezioni voluta da Draghi e da Mattarella che lascia molti dubbi su un percorso democratico, come già era stato per l’insediamento di questo governo. Tutto viene fatto dall’alto e molto in fretta, andando oltre le stesse norme parlamentari, tutto per avere in funzione un governo amico ad ottobre quando si dovrà concretizzare con la legge di bilancio gli orientamenti dell’Europa liberista.

Non saremo certo noi a rimpiangere questo parlamento e i governi che ha prodotto, anche se siamo consapevoli che il futuro potrebbe essere peggiore. Ma proprio per questo, senza arruolarci nel partito del voto utile o del male minore, senza scorciatoie retoriche consolatorie, pensiamo che dobbiamo prepararci a giocare la partita in ultima istanza decisiva anche se difficilissima, cioè il rilancio del movimento sociale e sindacale di classe contro i padroni e i loro governi, la lotta e la mobilitazione sulle fondamentali rivendicazioni di salario contro il carovita, di occupazione contro la precarietà, di difesa della sanità della scuola pubblica. Sono questi gli elementi essenziali in ogni caso della nostra campagna politica, contro le forze reazionarie e fasciste della destra ed estrema destra e contro tutti i sostenitori dei Draghi del capitale, ma anche in alternativa a quel partito maggioritario per 4 anni in Parlamento, ma del tutto integrato e gestore della realtà capitalista.

*Sinistra Anticapitalista

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